Quella colazione segnò l’inizio di uno stato di eccitazione e gratificazione che ci prendeva tutte le volte che riuscivamo ad assicurarci qualcosa al mercato nero. Verso la fine di maggio l’amica dal calesse multicolore (ormai ridipinto di un sobrio blu scuro) venne a trovarci. Volevamo dividere un agnello con lei? Un contadino suo vicino ne avrebbe uccisi due di nascosto il giorno dopo, uno per sé e uno per lei. Sarebbe stata felice di dividerlo con noi. Naturalmente accettammo. Ci avrebbe pensato lei a discutere il prezzo col contadino. La mattina dopo arrivò di nuovo il calesse con un sacco sul fondo. Io, lei e la buona vedova Roux ci trasformammo in macellai. Preparammo la carne, tenemmo da parte qualche costoletta per colazione e mettemmo il resto del prezioso animale in frigorifero. Quando ci sarebbe capitata un’altra fortuna del genere? Con grande sorpresa non passò molto tempo. Nemmeno pochissimo, dato che per giorni e perfino settimane tornammo alla nostra dieta da vacche magre, ma di tanto in tanto ricevevamo la visita di misteriosi uomini e donne con strani involti contenenti cibi sconosciuti... prendere o lasciare. Di solito arrivava la veuve Roux con la notizia che in cucina c’era qualcuno che voleva parlare con me. Oppure entrava ed esibiva trionfante 100 grammi di burro, una salsiccia, un po’ di latte, animelle e cervella, tutte cose che apprezzavamo moltissimo. Una testa di pecora era una festa per il barboncino. Per un po’ mangiammo cibi svariati, insoliti. Poi noi americani entrammo in guerra e il nostro padrone di casa, un ufficiale dell’esercito francese, ebbe bisogno della casa e fummo costrette ad andarcene. L’idea di lasciare Bilignin ci spezzò il cuore. Alcuni amici ci trovarono una casa a Culoz e traslocammo il giorno stesso in cui le truppe tedesche che occupavano la zona sud arrivarono a Belley. A Culoz la vita sarebbe stata meno facile. Non conoscevamo nessuno e la campagna intorno era meno fertile, solo il buon vino bianco secco non sarebbe mancato. Nella vasta proprietà non c’erano orti. Avremmo dovuto ricominciare dall’inizio. Con la casa avevamo anche acquisito due persone di servizio, una bravissima cuoca che ci annunciò subito la sua impossibilità a cucinare alcunché con gli scarsi ingredienti forniti dalle tessere. Il suo umore non si rasserenò nemmeno quando le promettemmo di procurarci molte cose al mercato nero. Era vecchia, stanca e pessimista. E così toccò a me cucinare mentre la cuoca mi sedeva accanto indifferente, apatica e troppo scoraggiata per far attenzione, mentre tentavo di mostrarle come si preparava il POLPETTONE «MAGRO»
Una tazza di carne di vitello tritata, 3 tazze di briciole di pane ammorbidite con vino bianco secco (sia gloria alla nostra inesauribile scorta!), un quarto di cucchiaino di pepe, mezzo cucchiaino di basilico in polvere, mezzo cucchiaino di dragoncello in polvere, mezzo cucchiaino di cerfoglio in polvere, 1 cucchiaino di prezzemolo in polvere, un quarto di cucchiaino di alloro in polvere, 2 cipolle tritate, 3 scalogni tritati e 1 preziosissimo uovo. Mescolare bene, formare un polpettone con un coltello unto e mettere in una pirofila di terracotta unta di grasso. Cuocere nel forno a 190 gradi per 1 ora, bagnando spesso di vino bianco.
Le erbe venivano dall’orto di Bilignin. Le avevo fatte seccare e le tenevo, sminuzzate, in vasetti ermeticamente chiusi.
Due negozianti del villaggio mi sarebbero tornati molto utili. Sostenevano che era loro dovere di bravi francesi vendere tutto quello che i tedeschi proibivano. E dunque, non era forse mio dovere comperare tutto quello che loro vendevano? I ragazzi del posto scendevano giù al Rodano e pescavano di nascosto. Ci portavano non solo pesce ma anche farina, lardo, piccole quantità di noci, e di tanto in tanto una lepre o un coniglio. Invitavamo gente a colazione. La cuoca si rasserenò un po’ anche se continuava a lamentarsi di non aver nulla con cui cucinare se non l’inevitabile vino bianco.
All’improvviso ci fu ordinato di ospitare dei tedeschi, due ufficiali e i loro attendenti. Preparammo in fretta due stanze nell’ala della casa più lontana dalle nostre camere da letto. Nascondemmo le provviste, ma non facemmo in tempo a raccogliere e a riporre tutti i libri sparsi per casa. Nella miglior stanza per gli ospiti c’era una deliziosa stampa inglese a colori che raffigurava Benjamin Franklin mentre dava una dimostrazione di una sua invenzione sul laghetto di un parco inglese. I tedeschi non la notarono, ma uno degli ufficiali italiani che ci fu ordinato di ospitare in seguito sembrò apprezzarla molto.
Quando gli attendenti entravano in cucina per preparare i pasti degli ufficiali la cuoca impallidiva di rabbia. La cucina dei tedeschi non può trovar posto in un libro di ricette, ma il menu che preparavano tre volte al giorno può interessare qualcuno, come curiosità. Per 1 persona: 1 grossa fetta di prosciutto spessa circa cinque centimentri cotta nel grasso, il contenuto gelatinoso-glutinoso di una scatoletta (per sostituire pane e patate?), il contenuto melmoso di una grossa lattina (per sostituire il caffè?). Tre volte al giorno gli attendenti portavano i pasti in una stanza vuota di fianco alle camere degli ufficiali. Evidentemente mangiavano tutti insieme. Un giorno uno degli attendenti regalò alla cuoca una delle scatolette che sostituivano il pane e le patate. Lei somministrò il contenuto alle nostre quattro galline, la cosa più preziosa che avessimo. Le galline si avvicinarono di buon grado alla scatoletta, assaggiarono e se ne andarono. La cuoca, felice per il bel gesto delle sue galline francesi, buttò quella roba nel torrente di montagna che scorreva lungo due lati della casa.
I tedeschi avevano requisito tutte le automobili di Culoz, compresi i due taxi, ma di tanto in tanto il sindaco era costretto a recarsi a Belley, o qualcuno doveva andare all’ospedale in città, e io e Gertrude Stein riuscivamo a strappare un passaggio, di nascosto. A Belley ci concedevamo un’orgia di amici e di compere. Il pasticciere del posto era famoso in tutta la Francia, soprattutto per i suoi TARTUFI DI CHAMBERY
Sciogliere 120 gr circa di cioccolata a bagnomaria, aggiungere 2 cucchiai di burro e 1 cucchiaio e mezzo di zucchero. Mescolare fino a quando lo zucchero si sarà sciolto. Togliere dall’acqua bollente e aggiungere 2 tuorli d’uovo, uno alla volta, sempre continuando a mescolare. Riporre al fresco (non in frigorifero) per 12 ore. Poi fare delle palline e passarle nel cacao in polvere. Con queste dosi non vengono molti tartufi. Sono squisiti.
Fu in quel periodo che cominciai a dedicarmi alla lettura di enormi libri di cucina pieni di ricette elaborate. Passavo le lunghe serate invernali, accanto alla fiamma modesta del camino, assorta nelle ricette di piatti impossibili da preparare. Dimenticavo il razionamento, perfino l’occupazione, qualche volta, le nuvole nere che si addensavano sulle nostre teste e la possibilità di pericoli molto maggiori che ci rifiutavamo di prendere in considerazione. I grandi chef francesi e le loro invenzioni erano la mia realtà. Gertrude Stein aveva l’abitudine di regalarmi un grosso libro di cucina a ogni Natale, e mantenne questa abitudine anche durante l’occupazione. Malgrado tutte le vie di comunicazione con Parigi fossero interrotte, le 1479 pagine de Il gran libro della cucina di Montagne e Salle riuscì a superare il blocco, dimostrando un’intelligenza ben superiore a quanta ne venga di solito attribuita agli oggetti inanimati.
Un giorno la cuoca mi disse di aver trovato il manoscritto di un libro di cucina del nonno della nostra padrona di casa, Monsieur Lucien Tendret, un famoso giudice e gourmet , autore del Cibo nel paese di Brillat-Savarin . Una copia di questo delizioso libro era stata regalata a Gertrude Stein da un nipote dell’autore. Naturalmente non si tratta di un vero e proprio libro di cucina, come quello che la cuoca mi permise di leggere. Le ricette sono divertenti, ma impraticabili, perfino oggi. Prendete, per esempio la INSALATA DI ARAGOSTA, PETTI DI POLLO E TARTUFI NERI
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