Ricevemmo una telefonata della sua futura padrona e le demmo tutte le referenze che voleva. Dopo due settimane Lucienne e Trac vennero licenziati, ma, per loro fortuna, trovarono subito dei ricchi giramondo con i quali restarono per anni. Le frequenti assenze dei loro padroni davano a Trac e Lucienne la possibilità di soddisfare il loro istinto vagabondo.
Margit venne con noi a Bilignin dove, con nostra sorpresa, cominciò a interessarsi alle famiglie dei contadini vicini e lontani. Preparava torte di tutti i tipi per le loro feste e i contadini la consideravano una straniera distinta e affabile. Fu molto compiaciuta e fiera quando uno dei giovani del posto le chiese di sposarlo.
Gertrude Stein ricevette i libri di alcuni giovani scrittori. Margit li lesse e ne fu sconvolta; sperava non fossero quelli i libri che leggevano le giovani americane. Per prepararsi al momento in cui si sarebbe avverato il suo sogno di andare a vivere negli Stati Uniti, di tanto in tanto ci cucinava dei piatti americani, buonissimi, come tutto il resto. I nostri amici del Bugey erano incuriositi e divertiti da quel susseguirsi di cuochi provetti. Margit era orgogliosa della loro approvazione critica. Preparò loro una OMELETTE TRICOLORE
Preparare una purée di spinaci con mezzo kg circa di spinaci ben lavati cotti in una casseruola senza acqua a fuoco medio. Staccarli continuamente dal fondo finché bolliranno. Poi abbassare la fiamma al minimo e coprire la pentola. Cuocere per 10 minuti. Togliere dal fuoco, scolare, far freddare sotto l’acqua corrente. Comprimerli per eliminare l’acqua. Rimettere nella casseruola a fuoco lentissimo per asciugarli completamente. Poi passare al passatutto e al setaccio. Mescolarli con 4 uova e mezzo cucchiaino di sale. Preparare una omelette cuocendola quanto basta per ripiegarla. Metterla da parte, al caldo. Preparare un’altra omelette con i tuorli di 3 uova e 4 uova intere, mezzo cucchiaino di sale e un quarto di cucchiaino di zafferano. Metterci sopra l’omelette di spinaci e ripiegare. Disporre su un piatto di portata con una salsa di pomodoro preparata riscaldando 4 cucchiai di passata di pomodoro con 2 tazze di vino bianco secco. Quando sarà calda, versarci 4 cucchiai di burro fuso mescolato a fuoco medio con 1 cucchiaio di farina. Mescolare fino a quando si otterrà un composto omogeneo sul punto di bollire. Poi aggiungere mezzo cucchiaino di sale, un quarto di cucchiaino di pepe, un pizzico di caienna, di chiodo di garofano e di noce moscata e 1 cucchiaio di succo di cipolla. Far cuocere lentamente per un quarto d’ora, poi aggiungere 4 cucchiai di burro. Non far bollire. Versare intorno alle 2 omelette e servire. Si tratta di una entrèe gustosa e di sicuro effetto.
Quando tornammo a Parigi, Margit, che leggeva sempre avidamente i giornali e si interessava molto di politica internazionale, cominciò a sembrar preoccupata. Disse di non esser più sicura dei suoi progetti per il futuro. Era angosciata per cose che ovviamente non la riguardavano. La sua cucina andò continuamente peggiorando, man mano che si lasciava assorbire da problemi che non riuscivamo a capire. Un giorno, all’improvviso, disse di dover partire, subito, era pedinata dalla polizia. Sarebbe tornata in Finlandia, lì si sarebbe sentita al sicuro. Comperò il biglietto, fece vistare il passaporto e ci disse addio quello stesso pomeriggio. Non riuscimmo mai a sapere se avesse corso davvero un serio pericolo o se si fosse immaginata l’intera faccenda. Ci mandò una cartolina da Helsinki e non sapemmo mai più nulla di lei.
Dopo Margit e fino alle vacanze del 1939 fummo costrette ad accettare i servizi di parecchi domestici provvisori che non val la pena di ricordare. L’estate cominciò molto più felicemente di quanto sarebbe finita, con la buona vedova Roux promossa al rango di cuoca e una simpatica ragazza di campagna a prendersi cura della casa. Con la dichiarazione di guerra, noi, come chiunque altro, cercammo di adattarci di buon grado al nuovo modo di vita. L’epoca dei domestici era finita.
Cibo nel Bugey durante l’occupazione
All’inizio, come cammelli, vivevamo nel passato. Avevamo sempre mangiato molto bene. Il Bugey è famoso per il buon cibo, e non cominciammo a soffrire la fame se non qualche settimana dopo l’applicazione di un rigido razionamento. La quantità di carne concessa per settimana a ciascuno era di 120 grammi circa, e chiaramente insufficiente, ma fino a quando le forze di occupazione decisero di proibire la pesca, il vicino Rodano ci rifornì di trote salmonate, e il Lac-de-Bourget di pregiatissime carpe salmonate, ombre chevalier , lavarelli e pesce persico. Il nostro orto produceva grandi quantità di frutta e verdura di tutti i tipi e di eccellente qualità, e le cantine erano piene di un vino bianco secco delizioso. Stavamo benissimo. Ci mancavano solo latte, burro e uova. Con le tessere potevamo procurarcene quantità infinitesimali, ma di solito, dopo l’approvvigionamento dei tedeschi, non rimaneva assolutamente niente da distribuire tra gli abitanti. I soldati tedeschi erano molto interessati al burro. Si venne a sapere che pareccchi di essi non l’avevano mai assaggiato. Non era forse vero che Hitler aveva chiesto loro se preferivano burro o fucili e che essi avevano dato la risposta giusta? Un giorno, mentre cercavo di comperare qualunque cosa non razionata fosse ancora in vendita, nel negozio entrò un soldato tedesco. Indicò un grosso pezzo di burro e disse, un chilo. Un chilo, esclamò il commesso. Il tedesco fece di sì con la testa, impaziente. Il burro venne pesato e incartato. Il tedesco uscì dal negozio scartando un’estremità dell’involto. Io ero proprio sulla porta, e lo vidi staccare coi denti un pezzetto di burro. Evidentemente non aveva il gusto che si aspettava perché con un gesto brusco lo lanciò violentemente sopra il muro del giardino della casa di fronte. La storia circolò. La gente veniva a vedere il burro. Ma non lo toccava. Restò dov’era.
I contadini dei dintorni non vendevano i loro prodotti. Li barattavano con caffè, zucchero, stivali e camicie da uomo o vestiti da donna. Noi però, a differenza delle famiglie francesi, non avevamo la soffitta piena di questi oggetti. Un giorno i tedeschi proibirono la pesca e così andammo a Belley a far visita al nostro buon macellaio. Ci spiegò che i tedeschi gli lasciavano solo le quantità di carne corrispondenti alle tessere di razionamento. L’unica cosa che poteva procurarci senza problemi erano i gamberi d’acqua dolce. Li pescavano più su, nel Valromey, di solito con un ombrello aperto con l’esca attaccata alle stecche. La mattina dopo quel simpatico macellaio venne in bicicletta fino a Bilignin con uno zaino sulle spalle: duecento gamberi che versò nel trogolo coprendoli di tavole per proteggerli dal sole. Mi diede dei ritagli di carne con cui nutrirli. Li pagai una somma astronomica. Tre giorni dopo tornò con un altro carico di altrettanti gamberi. Potevamo cominciare a offrire colazioni. La pièce-de-résistance era sempre GAMBERI IN BRODO
Per 60 gamberi preparare un bouillon con 2 tazze di vino bianco secco, mezza tazza di cognac, 3 grosse carote e una grossa cipolla tagliata a fettine sottili, 1 cucchiaino di sale, un pizzico di caienna e 3 scalogni tritati. Far bollire coperto per mezz’ora. Poi buttarci i gamberi e far bollire per 10 minuti, girandoli tre o quattro volte. Servire caldo, freddo o tiepido.
I nostri ospiti si portavano il pane o mi davano i buoni per comprarlo. La mia razione e quella di Gertrude Stein andavano ai cani. Quando era stata dichiarata la guerra Gertrude Stein era riuscita a ottenere un lasciapassare dalle autorità per andare a Parigi a sistemare i quadri e prendere i passaporti e altri documenti. Il lasciapassare valeva solo per trentasei ore e Parigi distava quasi seicento chilometri. Non c’era tempo da perdere. Arrivate nell’appartamento di Parigi scoprimmo che lo spazio alle pareti era quattro volte più grande di quello dei pavimenti e così dovemmo abbandonare l’idea di mettere i quadri sul pavimento per proteggerli dai bombardamenti. I passaporti erano così ben nascosti che nessuno avrebbe potuto trovarli, e nel cercarli trovai anche il pedigree del nostro barboncino. Me lo misi in borsa. In seguito le autorità decisero di concedere razioni di cibo anche ai cani di razza e così Basket riuscì a sopravvivere.
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