I biscotti di Baudelaire
Alice Babette Toklas(1877-1967) nacque a San Francisco e nel 1907 si trasferì in Francia dove insieme a Gertrude Stein, inseparabile compagna di una vita, tenne un celebre salotto frequentato dagli artisti dell’avanguardia storica francese e dai letterati statunitensi espatriati: Ernest Hemingway, Thornton Wilder, Paul Bowles e Sherwood Anderson tra gli altri. Protagonista dell’ Autobiografia di Alice B. Toklas scritta da Gertrude Stein, l’autrice di questo libro, uscito negli Stati Uniti con il titolo The Alice B. Toklas Cook Book (1954), scrisse anche What Is Remembered (1963), un’autobiografia che si interrompe di colpo al momento della morte della Stein, nel 1946.
Varianti
A quanto corrisponde...
(breve guida per districarsi tra le unità di misura)
...UNA TAZZA
2 bicchieri di liquido
1/4 di litro di liquido
140 gr di farina
200 gr di zucchero
225 gr di riso
...UN CUCCHIAIO
3 cucchiaini di liquido
10 ml di liquido
12 gr di farina
20 gr di riso
15 gr di sale fino
15 gr di zucchero
...UN CUCCHIAINO
6 gocce di liquido
7 ml di liquido
7 gr di burro
4 gr di farina
7 gr di riso
5 gr di sale fino
5 gr di zuccher
...UN BICCHIERE
10 cucchiai di liquido
100 ml di liquido
120 gr di farina
150 gr di riso
150 gr di zucchero
Da cuoca a cuoca, devo confessare che questo libro, col suo miscuglio di ricette e ricordi, è stato messo insieme durante i primi tre mesi di un attacco di itterizia. Suppongo che in parte sia stato scritto per sfuggire alla monotonia e alla dieta rigorosa della malattia, ed è molto probabile che la nostalgia della vita divertente e della salute di un tempo abbia conferito un lustro speciale a piatti e menu banditi dalla tavola di una malata, ma aleggianti come sogni nei suoi ricordi.
Spesso la malattia lascia la mente libera di vagare e far congetture. Io sono nata in America, ma ho vissuto in Francia per tanto tempo che ormai considero miei entrambi i paesi. Conoscendoli e amandoli, ho cominciato a meditare sulle differenze esistenti tra di essi per quanto riguarda la cucina e l’atteggiamento generale nei confronti del cibo. Ho capito come ogni nazione abbia le sue idiosincrasie nei confronti di cibi e bevande, a seconda del clima, del terreno e del carattere. E ho pensato alle guerre e alle conquiste, e a come le truppe di occupazione portino con sé le loro abitudini e contribuiscano quindi, col tempo, a cambiare la cucina nazionale.
Questi pensieri mi hanno spinto a rovistare nella mia enorme collezione di ricette e a mettere insieme questo libro. L’ho scritto per l’America, ma sarebbe bello che i suoi suggerimenti, oltre a sopravvivere alla traversata dell’Atlantico, riuscissero anche a passare al di là della Manica e a trovare finalmente posto nelle cucine inglesi.
A.B.T., Parigi 1954
I francesi hanno un modo tipicamente francese di accostarsi al cibo; mettono, nel considerare l’importanza della buona cucina, lo stesso rispetto, impegno, intelligenza e interesse che riservano alle altre arti, alla pittura, alla letteratura e al teatro. Quando dico francesi intendo gli uomini, oltre che le donne, perché in Francia gli uomini hanno un ruolo molto attivo per tutto quello che riguarda la cucina. A Parigi mi è capitato di sentire certi operai discutere di come le mogli preparano lo stufato di manzo alla borgognona o di quale sia la miglior ricetta per il cavolo al forno con carne di maiale. A volte succede che una massaia di campagna diventi famosa in tutto il circondario per le sue quenelles , gnocchetti sublimi e, bisogna ammettere, per nulla facili da preparare. Spesso anche nei salotti letterari o politici la conversazione si sposta su argomenti quali la compilazione dei menu e l’accostamento dei vini.
I francesi amano proclamare che la loro cucina ha origini profonde nella cultura e che ha continuato a svilupparsi nel corso dei secoli. Deve proprio a questo, oltre al clima mite e al terreno fertile, la fama universale di cui gode.
Noi stranieri che viviamo in Francia apprezziamo e rispettiamo il loro punto di vista, ma deploriamo l’osservanza troppo rigorosa di una tradizione che non ammette neppure l’idea di variare un condimento o di eliminare un solo ingrediente. Per esempio, un piatto semplice come l’insalata di patate dev’essere accompagnato da cicoria. Inconcepibile servirlo con qualunque altro tipo di verdura. Un atteggiamento strettamente conservatore che però ha fissato, nel corso degli anni, una serie di principi essenziali che hanno reso la cucina francese famosa in tutto il mondo.
I mercati francesi non conoscono tecniche di surgelamento e mettono in vendita – accanto alla carne, al latte e ad alcune varietà di frutta – solo prodotti di stagione e di qualità sempre eccellente: perfino le comuni radici – carote, rape, pastinache e porri (gli asparagi dei poveri) – sono tenere e saporite. Per non dire dell’olio e del burro, comunque ottimi e abbondanti, e del pane, buonissimo e nutriente.
Le guerre cambiano i costumi, le abitudini e i mercati di un paese, e quindi anche la cucina. Per più di cinque anni i francesi vennero privati della maggior parte dei cibi a cui erano abituati e, nel migliore dei casi, costretti a sostituirli con prodotti di qualità molto inferiore. Dopo la liberazione i mercati vennero riforniti, con molta lentezza, di una quantità limitata di prodotti. La popolazione aveva patito la fame per troppo tempo, finendo per perdere la rigorosa capacità di apprezzare il cibo più tradizionale e per dimenticare o ignorare la vecchia abitudine alla critica. E oggi, la cucina francese non è ancora riuscita a tornare al livello di prima.
L’affollatissimo continente europeo, dove si combattono tante guerre, soffre inevitabilmente di privazioni maggiori che non gli Stati Uniti. Le restrizioni in tempo di guerra hanno stimolato l’ingegnosità di noi americani, spingendoci a trovare nuove combinazioni e sostitutivi, e creando un rinnovato, intenso interesse per tutto quanto riguardi la cucina.
I francesi restano indifferenti alle nostre scoperte, alla cucina americana diventata ormai una specie di scienza esatta, agli espedienti escogitati per risparmiare tempo e fatica. E non apprezzano il cibo che esce dalla nostre cucine moderne. Lo trovano troppo esotico o troppo fantasioso. Si potrebbe dire dei francesi quello che si diceva dei loro re borbonici: non imparano niente, non dimenticano niente. Durante la guerra noi americani abbiamo imparato parecchie cose dalle fonti più disparate e, dato che insegnare ci viene naturale, vorremmo far partecipi gli altri del nostro sapere.
La cucina francese non presenta poi tutte quelle difficoltà che si immaginano le donne inglesi e americane. Le quali, se si permettono di indulgere in certi pregiudizi nazionalisti, dovrebbero concedere lo stesso privilegio ai francesi. Per esempio, i francesi usano il loro ottimo burro praticamente per qualunque piatto, e non solo perché il burro dà al cibo un gusto tutto speciale, impossibile da ottenere altrimenti, ma perché si sposa, come dicono loro, con tutti i sapori del piatto in preparazione. E rende le salse più cremose. Il che ci porta immediatamente a stabilire una differenza basilare tra la cucina francese e quella americana. Le famose cinque salse fondamentali della cucina francese non le impediscono di essere asciutta, mentre la cucina americana, anche se priva di salse, è più sugosa.
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