Lev Tolstoj - Guerra e pace. Ediz. integrale

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Scritto tra il 1863 e il 1869 e pubblicato per la prima volta tra il 1865 e il 1869 sulla rivista Russkij Vestnik, riguarda principalmente la storia di due famiglie, i Bolkonskij e i Rostov, tra le guerre napoleoniche, la campagna napoleonica in Russia del 1812 e la fondazione delle prime società segrete russe. Per la precisione con cui i diversissimi piani del racconto si innestano all'interno del grande disegno monologico e filosofico dell'autore Lev Tolstoj, Guerra e pace potrebbe definirsi la più grande prova di epica moderna, e un vero e proprio «miracolo» espressivo e tecnico. Guerra e pace è considerato da molti critici un romanzo storico, in quanto offre un ampio affresco della nobiltà russa nel periodo napoleonico.

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La principessa arrossì e fece un gesto di sconforto.

— No, Andrea, no... Io dico, che tu sei tanto, tanto mutato...

— Il dottore, se non mi sbaglio, vuole che tu vada a letto più presto... Va, va a dormire.

La principessa non rispose; un lieve tremito le agitò il labbro ombreggiato di peluria. Il marito si alzò, scrollò le spalle e si diè a passeggiar per la camera.

Piero con occhi stupiti ed ingenui guardava attraverso gli occhiali ora all’uno ora all’altra. Fece atto di alzarsi per andar via, ma poi ci ripensò e non si mosse.

— Che m’importa a me che ci sia il signor Piero, – proruppe la principessa con una smorfietta piagnolosa. – È tanto oramai che te lo volevo dire, Andrea: perchè sei tanto mutato verso di me? Che ti ho fatto? Tu parti per l’armata, tu non hai di me nessunissima pietà. Perchè?

— Lisa! – disse soltanto il marito; ma la voce suonava preghiera, minaccia, e anche mònito severo che delle parole sfuggitele si sarebbe presto pentita.

Ma ella, nonchè calmarsi, incalzò con più calore:

— Tu mi tratti come un’ammalata o come una bambina. Di tutto io mi accorgo. Forse che eri così sei mesi fa?

— Lisa, vi prego di smettere, – supplicò in modo più significativo il principe Andrea.

Piero, sempre più agitato, si alzò e si accostò alla principessa. Non potea sopportare la vista delle lagrime, e stava egli stesso lì lì per piangere.

— Calmatevi, principessa. Forse così vi pare, perchè, vi assicuro, io pure l’ho sperimentato... perchè... perchè... No, scusate, un estraneo qui è di troppo... Ma no, dico, calmatevi... Addio...

— Ma no, Piero, non andar via, – lo arrestò il principe. – La principessa è così buona, che non mi priverà del piacere di passar la serata con te.

— Lo sentite? non pensa che a sè? – esclamò la principessa, piangendo di rabbia.

— Lisa! – alzò la voce il principe, in segno che gli scappava oramai la pazienza.

In un baleno, all’espressione dispettosa e ferina del bel visino sottentrò un’espressione supplice e paurosa. I begli occhi lagrimosi si volsero timidi e fiduciosi al marito. Così un cane fedele, ad una sgridata del padrone, si accovaccia tremando e dimena debolmente la coda dimessa.

— Dio mio! Dio mio! – sospirò la principessa; e raccolta con una mano la gonna, si avvicinò al marito e lo baciò sulla fronte.

— Addio, Lisa, – disse il principe Andrea, inchinandosi e baciandole la mano, come avrebbe fatto con una estranea.

***

I due amici tacquero, nè l’uno nè l’altro avendo voglia di rompere il silenzio. Piero guardava all’amico, e questi con la piccola mano si fregava la fronte.

— Andiamo a cena, – disse il principe Andrea traendo un sospiro ed avviandosi alla porta.

Entrarono in una elegante e ricca sala da pranzo. Tutto in essa portava quello speciale suggello di nuovo, che è proprio della casa di due freschi sposi: tovaglioli, argento, maioliche, cristalli. A metà della cena, il principe Andrea appoggiò i gomiti sulla tavola, e come uomo che da tempo abbia un peso sul cuore e si decida di botto a sfogare, cominciò a parlare con una nervosa irritazione, affatto nuova per l’amico Piero:

— Non pigliar moglie, amico mio, dà retta a me... Non pigliar moglie, finchè non sarai più che sicuro di aver fatto il possibile per resistere alla tentazione, finchè non ti accorgerai di aver sempre continuato ad amare la donna da te scelta, finchè non l’avrai conosciuta a fondo, se no commetterai uno sproposito amaro ed irreparabile... Ammogliati quando sarai vecchio decrepito, se non vuoi perdere quanto in te c’è di buono e di nobile, se non vuoi rimpicciolirti, annullarti in meschinità mortificanti... Sì, sì, sì! Non guardarmi così sbalordito... Se un qualunque avvenire ti starà davanti, tu sentirai ad ogni momento, che per te tutto è finito, tutto è chiuso e sbarrato, meno il salotto, dove sarai allo stesso preciso livello di un servo o di un idiota... Eh, via!

E accompagnò le parole con un violento gesto della mano.

Piero si tolse gli occhiali, assumendo così un’espressione di più franca bontà, e guardò stupito all’amico.

— Mia moglie, – riprese a dire il principe Andrea, – è una donna eccellente. È una di quelle rarissime donne, con le quali il tuo onore può riposar tranquillo con la testa fra due guanciali... Eppure, che non darei oggi, Dio mio, per non essere ammogliato! Questa è una confidenza che faccio a te per il primo, perchè ti voglio bene.

Così dicendo, rassomigliava ancor meno a quel Bolconski, che in casa di Anna Scherer, sdraiato in poltrona, stringeva gli occhi e smozzicava a denti stretti frasi francesi. Gli tremavano tutti i muscoli del viso in una nervosa esaltazione; gli occhi, testè semispenti, scintillavano. Era evidente che quanto più per solito appariva insensibile e senza vita, tanto più diveniva energico in questi momenti d’irritazione quasi morbosa.

— Tu non capisci, perchè dico questo, – continuò. – È tutta la storia della vita. Tu parli di Bonaparte e della sua carriera... Ma Bonaparte, quando lavorava, quando un passo dopo l’altro si avvicinava alla meta, Bonaparte era libero, non guardava che a quell’unica meta, e la raggiunse. Ma fa di esser legato ad un donna, e come un forzato alla catena avrai perduto ogni libertà. Tutte le tue speranze, tutte le tue energie ti saranno di peso, ti cruceranno col pentimento e col rimorso. Salotti, balli, pettegolezzi, vanità, nullaggine, ecco il cerchio magico dal quale io non posso uscire. Adesso vado alla guerra, alla più grandiosa guerra che sia mai stata al mondo, e non so niente di niente, e non son buono a nulla. So soltanto essere amabile, mordace, e in casa della Scherer mi ascoltano volentieri. E quella balorda società, senza la quale mia moglie non può vivere, e quelle donne... Oh, se tu potessi sapere che cosa sono coteste donne mondane, e le donne in generale! Mio padre ha ragione. Egoismo, vanità, ebetismo, vuotaggine, eccoti le donne, quando si mostrano in tutto e per tutto quali sono realmente. A vederle così, fra la gente, in società, pare che in esse qualche cosa ci sia... Ma no, niente, niente, niente! No, anima mia, non pigliar moglie, dà retta all’amico.

— Stupisco, – disse Piero, – che voi vi stimiate incapace, e che tutta la vostra vita sia sciupata, quando invece l’avvenire vi aspetta, e voi stesso...

Non compì la frase, ma si sentiva dal tono in qual conto tenesse l’amico e quanto da lui s’attendesse. Per lui, il principe Andrea era il modello di tutte le perfezioni, avea tutte le qualità che a lui mancavano e che costituiscon la forza del volere. Ammirava la sua disinvoltura tranquilla con ogni sorta di gente, la memoria fenomenale, l’erudizione vastissima, l’attitudine costante allo studio e al lavoro. Quanto all’assenza di ogni filosofia speculativa, più che parergli un difetto, la giudicava una forza.

Per semplici ed intimi che siano i rapporti tra amici, l’adulazione o la lode sono indispensabili, come l’unto alle ruote.

— Che serve occuparsi di me?... io son un uomo finito, – disse il principe Andrea. – Parliamo di te, piuttosto.

– Di me? – esclamò Piero cordialmente ridendo. – E che c’è da dire di me?... Son un figlio naturale... senza nome, senza fortuna... e davvero... Sì, pel momento son libero, e non domando di star meglio. Solamente non so a che appigliarmi, e volevo in proposito prender consiglio da voi.

Il principe Andrea lo guardava con benevolenza, ma traspariva da questa, mal suo grado, una segreta coscienza di superiorità.

— Io ti voglio bene, sai, perchè tu sei l’unica persona viva della nostra società. Nulla chiedi, di tutto sei contento. Scegli quel che più ti talenta. Starai bene dovunque... Soltanto, ti prego, non andar più da quei Kuraghin... È una certa vita che non ti si attaglia... Tutte quelle orgie, quella licenza soldatesca, quella volgarità, tutto in somma...

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