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Federico Moccia: Ho voglia di te

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"La conosco anch'io quella canzone." Canticchia malamente

qualcosa.

"Sì, è proprio quella." Cerco di dare un taglio a quell'esibizione

da Corrida.

Ma mi salva l'aereo. Sta-tup. Un rumore secco, metallico. Un

movimento duro e un piccolo sussulto dell'aereo.

"Oddio e che è?" La signora si avventa sulla mia mano destra,

l'unica libera.

"È il carrello, non si preoccupi."

"Ma come non mi preoccupo! E fa tutto questo rumore? Sembra

che si è staccato..."

Poco lontano la hostess e gli altri membri dell'equipaggio

prendono

posto sulle poltrone libere e qualche strano posto laterale vicino

alle uscite. Cerco Eva, la trovo, ma non guarda più dalla mia

parte. La signora cerca di distrarsi da sola. Ci riesce. Molla la

mia

mano in cambio di un'ultima domanda.

"Perché è finita?"

"Perché Babi si è messa con un altro. "

"Ma come? La sua ragazza? Con tutto quello che mi ha raccontato?"

Quasi si diverte più lei ora a mettere il dito nella piaga.

L'aereo

e il suo atterraggio sono passati in second'ordine. E mi tempesta

di

domande fino all'ultimo anzi, presa dalla foga, è passata al tu. E

va

giù diretta. Da quando l'hai lasciata, hai più fatto l'amore con

un'altra

donna? E ancora giù in picchiata, come gli Stukas di quei cartoni

animati, Linus il barone rosso. Ci torneresti insieme? Pazienza

e le sue sparatorie. Perdonare è possibile? Ne hai parlato con

qualcuno? O la birra ha fatto effetto o è lei e le sue domande che

mi fanno girare la testa. O il dolore di quell'amore non ancora

dimenticato.

Non capisco più nulla. Sento solo il rullare del motore

dell'aereo e la turbina al contrario in fase di atterraggio. Ecco,

ho

un'idea, posso salvarmi da questo interrogatorio...

"Guardi le luci della pista. Non ce la possiamo fare" le dico

ridendo,

di nuovo padrone del gioco.

"Oddio, è vero, eccole..." Guarda dal finestrino spaventata

l'aereo

e le sue ali che quasi sfiorano terra e ondeggiano indecise. Con

un guizzo da vecchia pantera, mi afferra la mano destra al volo.

Guarda

di nuovo fuori. Ancora un ultimo istante, si butta con la testa

nella

poltrona, spinge con le gambe in avanti quasi volesse frenare lei

con i suoi piedi. Mi stampa le unghie nella carne della mano. Con

qualche morbido rimbalzo l'aereo tocca terra. Subito le turbine

dei

motori girano al contrario, quell'enorme massa di acciaio trema

impazzita

con tutte le sue poltrone, signora compresa. Ma lei non si dà

per vinta. Stringe gli occhi e trema prendendosela con la mia

mano.

"Il comandante informa che siamo arrivati a Roma Fiumicino.

La temperatura esterna..."

Un tentativo di applauso si alza dal fondo dell'aereo spegnendosi

quasi subito. Non è più di moda.

"Be', ce l'abbiamo fatta."

La signora sospira: "Grazie a Dio!".

"Magari ci incontreremo un'altra volta."

"Oh sì, mi ha fatto molto piacere parlare con te. Ma sono tutte

vere quelle cose che mi hai raccontato?"

"Come è vero che lei mi ha stretto la mano." Le mostro la destra

e il segno delle unghie.

"Oh, quanto mi dispiace."

"Non fa nulla."

"Dia qui."

"No, sul serio, è tutto a posto."

Qualche telefonino comincia a squillare. Sorrisi e tranquillità

del dopo atterraggio. Quasi tutti aprono le cappelliere sopra i

loro

posti e tirano giù pacchi di regali portati dall'America, più o

meno

qualcosa di inutile, pronti a mettersi in fila e guadagnare

l'uscita il

prima possibile. Dopo le ore immobili nell'aereo, dove si è

costretti

a fare un bilancio degli anni passati fino a quel momento, si

ritorna

alla fretta del non pensare, ai falsi pensieri, alla corsa verso

l'ultimo

traguardo.

"Arrivederci." "Grazie, buonasera." Hostess più o meno carine

salutano all'uscita dell'aereo. Eva, con fare professionale e un

sorriso stampato, saluta tutti, perfetta.

"Grazie delle birre. "

"Dovere." Mi sorride più naturale, forse.

"Se hai dei problemi..." le lascio un bigliettino.

Lo guarda perplessa: c'è il mio numero di Roma.

"È stato il mio esame al corso di grafica."

"È andato bene?"

"Erano tutti molto soddisfatti. Hanno trovato geniale dividerlo

in bianco e azzurro."

"Carino."

Se lo mette in tasca. Non ho rischiato a dirle che sono della

Lazio.

Poi scendo dalla scala.

Tiepido vento. Settembre. Tramonto, sono appena le otto e

mezzo. In perfetto orario. È bello camminare di nuovo dopo aver

volato per otto ore. Saliamo sul pulmino. Guardo la nostra

compagnia.

Qualche cinese, un robusto americano, un giovane che non

ha smesso di ascoltare uno di quei Samsung YP-T7X da 512 MB che

avevo visto anche a New York. Due amiche in vacanza che non

parlano

più, sature forse della lunga convivenza. Una coppia innamorata.

Ridono, si dicono sempre qualcosa di più o meno utile, si fanno

degli scherzi. Li invidio, o meglio, mi piace guardarli. La mia

compagna di viaggio, la signora cicciotta che ormai sa tutto della

mia vita, mi si avvicina. Mi guarda sorridendo come a dire: "Ce

l'abbiamo fatta, eh?". Annuisco. Quasi mi pento di averle

raccontato

tanto. Poi mi tranquillizzo. Non la vedrò mai più. Controllo

passaporti. Qualche cane lupo tenuto a bada passeggia nervosamente

su e giù cercando un po' di coca o d'erba. Cani a rota

insoddisfatti

ci guardano con gli occhi buoni, strafatti per tenersi in

allenamento. Un poliziotto apre distrattamente il mio passaporto.

Poi ci ripensa, gli sfugge una pagina, la recupera e guarda con

più

attenzione. I miei battiti accelerano un poco. Niente. Non gli

interesso.

Me lo rida, lo richiudo e lo metto nello zaino. Recupero il

mio bagaglio. Esco libero, di nuovo a Roma. Sono stato due anni

a New York e mi sembra di essere partito ieri. Cammino veloce

verso

l'uscita. Incrocio gente che trascina valigie, un tipo corre

affaticato

verso un aereo che forse perderà. Al di là delle transenne parenti

aspettano qualcuno che non arriva. Ragazze belle e ancora

abbronzate

d'estate sono in attesa del loro amore o quello che è stato.

Con le braccia conserte, passeggiando o ferme, con gli occhi

agitati o tranquilli, comunque aspettano. "Taxi, che le serve un

taxi?" Un finto tassinaro mi corre incontro fingendosi onesto: "Le

faccio un buon prezzo". Non rispondo. Capisce che non sono un

buon affare e lascia perdere. Mi guardo in giro. Una signora

bella,

elegante, con un vestito chiaro e dell'oro leggero al collo, tiene

tranquillo

il suo sguardo sulla mia rotta. È bella. Le sorrido. Lei accenna

a una risposta minima che però contiene tutto. Tradimento,

vorrei ma non posso, la sua voglia di libertà. Poi guarda altrove,

rinunciando.

, Continuo a guardarmi in giro. Niente. Che stupido. Ma

certo. Cosa mi aspettavo? Chi sto cercando? È per questo che sei

tornato? Allora non hai capito niente, non hai ancora capito

niente.

Mi viene da ridere sentendomi un cretino.

"Dovrebbe essere arrivato..."

Nascosta dietro una colonna, in silenzio ma con il cuore a mille,

parla sottovoce a se stessa. Forse per coprire il rumore del suo

cuore, che in realtà sta battendo a duemila. Poi prende coraggio.

Un respiro lungo e lentamente si affaccia. "Eccolo. Lo sapevo, lo

sapevo!" Quasi "salta" con i piedi per terra.

"Non ci posso credere... Step. Lo sapevo, lo sapevo, ero sicura

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