Kerrel arretrò, di poco, un passo o due. Quel gruppetto d’uomini cominciò ad allargarsi lentamente, lasciando a uno a uno il fascio di luce finché ne rimasero soltanto tre, un piccolo schermo tra Kerrel e i prigionieri. Le gambe di Trehearne si piegarono. Teneva gli occhi fissi sul disgregatore.
Kerrel non si arrese: «Supponi che non abbiano fallito. Supponi che sia tutto finito, i mille anni di vita dei Vardda. Dovremmo permetter loro di godersi quanto hanno conquistato?»
«Sante parole» interloquì Trehearne. L’oscurità era profonda e fitta, fuori dal fascio di luce. «Nobili parole. Quasi ti credo. Ma tu hai altri motivi.»
«Lo ammetto. Ma non c’entra con questo. Nessuna donna è mai stata così importante da interferire in faccende come questa.» Chiese pianamente all’ufficiale. «Li lasceremo qui?»
«Vuoi deporre quell’arma?»
Arretrò di un altro passo. «Voi tre, in faccia ai prigionieri, scostatevi.»
«Benissimo» esclamò l’ufficiale. « Prendetelo! »
Trehearne balzò nell’oscurità. Vide i tre uomini di faccia a lui scomparire. L’arma crepitò e fece fuoco, contro nessuno in particolare: un avvertimento. E poi la notte fu tutta un trambusto frenetico.
Disteso sulla roccia nera, sulle dure creste di aria congelata, Trehearne osservava la goffa danza di quegli uomini avvolti in informi scafandri e tondi caschi bruniti, dentro e fuori il nitido fascio di luce in cui ormai rimanevano soltanto loro. Avevano accerchiato Kerrel nell’oscurità e, silenziosi, l’avevano sorpreso alle spalle, ma avevano le mani impacciate dai guanti ed era difficile tenere la presa sul liscio tessuto della tuta di Kerrel. Egli sfuggì loro, e poi fu di nuovo parte del gruppo e non si riconoscevano l’un l’altro e le loro voci si levarono in mozze grida furibonde. Solo Kerrel non parlava. Trehearne strisciò pancia a terra lontano dal fascio di luce e le ombre che erano Quorn e Edri lo seguivano. D’un tratto Edri gli batté sul casco e poi fece un cenno e Trehearne vide la solitaria figura di un uomo lasciare la zona illuminata e addentrarsi nell’oscurità, pur rimanendo distinguibile nei suoi contorni dalla loro posizione, verso il luogo dove prima si trovavano i prigionieri.
Trehearne gridò forte: «Parla Trehearne. Sta dirigendosi verso di noi, alla nostra destra, proprio fuori della zona illuminata.»
Gli uomini cominciarono a correre, disseminandosi qua e là e poi il disgregatore fece fuoco più volte, insistente, sistematico; rastrellando tutto il terreno dove avrebbero dovuto trovarsi i prigionieri, i lampi azzurri crepitavano negli interfonici come violente tempeste.
Trehearne e gli altri fuggirono ancor più lontano, arrancando sull’aspro terreno e i lampi azzurri li inseguivano. Poi due uomini si gettarono su Kerrel prendendolo alle spalle. Cadde e il disgregatore gli sfuggì di mano
I due uomini si rialzarono dopo un momento con una certa lentezza. Qualcuno si avvicinò con una torcia e poi altri, e poi tutti, compresi Trehearne, Quorn ed Edri. Rimasero tutti a guardare la figura che giaceva ancora dove era caduta, immota. C’era una sporgenza rocciosa che finiva in un dente acuminato, emergente da uno strato d’aria congelata.
«Ha battuto forte» disse uno degli uomini. «Proprio sul viso e la glassite si è infranta.»
L’ufficiale imprecò con rabbia. «Che disgustoso pasticcio! Perché doveva comportarsi così? Doveva essere pazzo.»
«Non so» disse Edri lentamente. «Qual è il limite esatto tra la pazzia e la fede? Se ci fossero stati più uomini come lui, non avremmo potuto fare quello che abbiamo fatto.»
Sollevarono il corpo di Kerrel e lo trasportarono sul caccia e Trehearne seguì lentamente secondo gli ordini. A bordo egli e gli altri furono spogliati degli scafandri e perquisiti di nuovo. Poi le guardie li portarono giù per un corridoio: stanchi uomini amareggiati che avevano resistito troppo a lungo a una estenuante fatica. Una di esse disse: «Abbiamo catturato la Mirzim. Tutti i vostri amici sono qui.» E poi soggiunse: «È un peccato dover salvare la vita di uomini come voi.»
Giunsero dinanzi a una pesante porta e si fermarono, e Shairn era lì davanti. Aveva un aspetto patito, gli occhi cerchiati e intorno alla bocca segni che non vi erano mai stati prima. Non era la vecchia Shairn. Era una persona nuova. Non vi fu gioia in questo incontro. Ella guardò Trehearne e disse: «Michael, che cosa hai fatto?»
Egli scosse il capo e rispose: «Al diavolo! È come se non avessimo fatto nulla.»
Il viaggio stava per finire. Dalla lunga fase di decelerazione si erano resi conto che stava per finire e ora le ultime scosse, e i lievi sussulti del caccia che si adagiava dentro il suo dock li avvertirono che erano di nuovo a Llirdis. I campanelli risuonarono e al fremito dei generatori subentrò uno strano silenzio.
Attesero, allora. E nulla accadde. Passarono le ore e nulla accadde.
Infine Trehearne disse: «Non hanno neppure l’intenzione di farci scendere dal caccia. Ci porteranno dove ci hanno destinato senza neppure ascoltarci.»
Edri scosse il capo. «No. La legge dei Vardda non condanna nessuno senza processo formale.»
Non potevano vedere nulla, udire nulla. Finché, infine, la porta si aprì. Vi erano ufficiali e guardie, molte guardie, tutte armate. I loro volti non esprimevano nulla.
«Venite con noi» ordinò il giovane capitano delle guardie.
«Dove?» domandò Joris «Alla prigione di Llirdis o…?»
«È proibito comunicare con i prigionieri» disse seccamente il giovane capitano. «Venite con noi.»
Parve strano a Trehearne camminare ancora su pavimenti, corridoi, ponti immobili, su un pianeta. Aldebaran splendeva nel suo fulvo bagliore quando scesero dal caccia. L’aria pareva umida in modo innaturale, pesante dell’odore del mare.
Egli, Joris e Edri, il primo a uscire, si guardarono attorno con un fremito d’ansia, quasi di speranza. Non potevano vedere gran che. Il caccia era atterrato in un settore isolato e altre guardie erano in attesa là fuori accanto ad alcune macchine lucenti.
Ma Trehearne poteva udire. Poteva udire tutto il consueto brusio, frastuono e rumoreggiare della grande base, il cigolio delle gru e il rombo dei carrelli, il sibilo di una veloce astronave planetaria in arrivo. E poi il ruggito più possente di una grande mole librata in volo, un’astronave in partenza per soli lontani. E all’orizzonte le torri splendenti della città di Llirdis sfidavano ancora i cieli con la loro magnificenza.
Trehearne sentiva un amaro senso di inutilità. Tutto questo ordinato turbinio di organizzazione e di attività, tutto il traffico galattico che si accentrava qui, la millenaria solidità del monopolio commerciale dei Vardda: come aveva potuto sognare che un appello radiofonico, pietosamente debole e mal trasmesso, potesse mai scuotere tutto ciò? I volti dei suoi amici gli rivelarono che la loro estrema speranza stava per svanire.
«Le macchine» disse il giovane capitano. «Voi quattro salirete sulla prima.»
Edri ritrovò la voce. «E Arrin?»
«Sono autorizzato a dirvi che il vostro compagno è stato portato all’ospedale ed è in buone condizioni.»
Joris non disse nulla. Trehearne vide i suoi occhi infossati vagare per la base e pensò che cosa dovesse essere per lui ritornare in quelle condizioni al luogo dove per anni aveva guidato con le sue mani l’andirivieni delle astronavi dei Vardda. Poi la macchina li portò fuori dalla base rapidamente. Trehearne notò che altre macchine con a bordo soltanto delle guardie li precedevano e li seguivano discretamente.
Nulla era cambiato a Llirdis. La città variopinta si pavoneggiava sotto il sole, iridescente, splendida, le strade affollate di Vardda sorridenti e dei rappresentanti di altre razze più strane, echeggianti di musiche, vivide di colori. Oltrepassarono un uomo e una ragazza vardda fermi a parlare e a ridere. E fu allora che Trehearne abbandonò ogni speranza.
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