Fred Hoyle - A come Andromeda

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A come Andromeda: краткое содержание, описание и аннотация

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Andromeda emise un grido di dolore e cercò di staccare le mani dalle piastre, ma la corrente la teneva prigioniera. La lancetta del voltmetro cadde ma solo per tornare a sollevarsi e Andromeda gridò di nuovo… Poi una terza volta e una quarta e ancora, ancora, ancora…

Anche questa volta fu Judy a scoprirla. Entrò qualche minuto dopo, cercando Fleming, e vide con orrore la ragazza abbandonata sul pavimento, nel medesimo punto in cui era crollata Christine.

«Oh, no!» Le parole le sfuggirono; le corse accanto per voltarla. Andromeda era ancora viva, e al contatto delle mani di Judy si ripiegò su se stessa, lamentandosi e toccandosi piano le mani. Judy sollevò quel capo biondo e se lo posò in grembo, poi le prese le mani aprendogliele. Erano nere e ustionate salvo che dove la carne si apriva rossa fino all’osso.

Judy le lasciò con dolcezza. «Com’è accaduto?» Andromeda gemette ancora aprendo gli occhi. Judy mormorò: «Le tue mani…»

«È facile medicarle.» La voce della ragazza era appena udibile.

«Cosa è accaduto?»

«Qualcosa non ha funzionato, ecco tutto.»

Judy la lasciò e telefonò al dottor Hunter.

Da quel momento gli eventi precipitarono con la velocità di un cataclisma. Hunter fece alle mani di Andromeda una fasciatura provvisoria, e cercò di persuaderla ad andare all’infermeria della base, ma lei si rifiutò di lasciare il calcolatore prima di avere visto Madeleine Dawnay.

«Faremo più in fretta così,» assicurò loro. Sebbene soffrisse per lo shock, lesse con la massima attenzione tutti i fogli della Dawnay, risolutamente, fino a trovare la parte che la interessava. Hunter le aveva fatto delle iniezioni locali per alleviare il dolore alle mani, ma tra queste e le fasciature aveva molta difficoltà a muoversi; ciò nonostante riuscì a trovare i fogli che voleva e li portò alla Dawnay. Riguardavano la produzione di enzimi nella formula DNA.

«E cosa ce ne facciamo di questi?» La Dawnay li guardava dubbiosa.

«Per ottenere la formula di un tessuto isolato. Potete prepararlo molto in fretta,» spiegò Andromeda e riportò i fogli al calcolatore. Era pallida, debole e camminava a fatica. La Dawnay, Hunter e Judy l’osservavano preoccupati. Lei si mise di nuovo tra i terminali e sollevò le mani bendate. Ma questa volta non accadde nulla e dopo qualche istante la macchina cominciò a stampare dati.

«È la formula di un enzima, potete prepararlo molto facilmente.» Indicò alla Dawnay il foglio stampato, quindi si rivolse a Hunter. «Vorrei stendermi, ora. Per piacere. L’enzima mi può essere applicato sulle mani con una base medicamentosa, quando la professoressa Dawnay lo avrà preparato; ma cercate di fare il più in fretta possibile.»

Restò ammalata per parecchi giorni; Hunter le medicava le mani con l’unguento fatto in base alla formula, una volta che la Dawnay lo ebbe preparato. La cicatrizzazione fu miracolosa: il nuovo tessuto, una carne soffice e fresca, ben diversa dal tessuto indurito delle cicatrici, rimarginò le ferite nel giro di poche ore e formò uno strato nuovo di pelle rosea sui palmi. Quando si fu rimessa dagli effetti dell’elettroshock, anche le sue mani erano come rigenerate.

Hunter, nel frattempo, aveva fatto rapporto a Geers, e Geers aveva mandato a chiamare Fleming. Il direttore, che non era ancora sicuro dell’origine dell’incidente, aveva il viso e le labbra tesi per la preoccupazione: la breve stagione del suo cameratismo era finita.

«Ebbene, così lei ha deciso di farlo saltare!» strepitò contro Fleming picchiando il pugno sul ripiano lustro. «Non consulta nessuno… è troppo intelligente. Tanto intelligente che scassa la macchina e, maledizione, quasi fa uccidere la ragazza.»

«Se non vuole neppure ascoltare quel che è accaduto.» La voce di Fleming si levò a sovrastare la sua, ma Geers lo interruppe.

«So che cosa è accaduto.»

«Era là, lei? Andromeda sapeva che sarebbe stata punita. Avrebbe dovuto cacciarmi via, avrebbe dovuto cancellare quanto avevo introdotto nel calcolatore ma non lo ha fatto o non abbastanza presto. Ha esitato, mi ha messo in guardia, ha lasciato che me ne andassi, poi è andata a toccare i terminali…»

«Credevo che lei se ne fosse andato,» gli ricordò Geers.

«Certo che me n’ero andato. Le sto raccontando come sono senz’altro andate le cose: Andromeda fece sapere alla macchina che era viva, che le erano state date delle false informazioni, che la sorgente delle informazioni era in circolazione e che lei non l’aveva fermata. Così la macchina l’ha punita dandole una serie di scosse elettriche. Sa come fare, adesso: lo ha imparato a spese di Christine.»

Il direttore l’ascoltava con un’impazienza che non si dava neppure la pena di dissimulare. «Lei sta lavorando di fantasia,» disse infine.

«No, non sto lavorando di fantasia, Geers. Era inevitabile che accadesse, solo che non l’ho capito in tempo.»

«Ha il suo lasciapassare?» Gli occhi di Geers attraverso gli occhiali sprizzavano scintille. «Per l’edificio del calcolatore.»

Fleming sbuffò frugandosi in tasca. «Non può dirmi nulla, su questo. È perfettamente in ordine.»

Glielo passò attraverso la scrivania. Geers lo prese, l’esaminò e lentamente lo stracciò.

«Perché?»

«Ci costa troppo, Fleming. Basta.»

Fleming a sua volta percosse la scrivania con un pugno. «No, rimango alla base.»

«Stia dove le pare. Ma i suoi contatti con il calcolatore sono finiti. Mi spiace.»

Geers si sentiva meglio adesso che Fleming era fuori dai piedi, e ancora meglio si sentì quando seppe del miglioramento di Andromeda. Volle sapere tutte le notizie possibili sull’enzima dalla Dawnay e da Hunter, poi si mise in comunicazione sulla sua linea diretta con Whitehall. La reazione fu quella che si immaginava. Mandò a chiamare Andromeda, la interrogò e sembrò molto soddisfatto.

Fleming, un anno o due prima, avrebbe cominciato a bere, ma questa volta non aveva nemmeno voglia di fare questo. Lo stesso impulso che lo aveva legato al calcolatore, lo legava ora alla base: sebbene ormai non potesse fare più nulla, sebbene non potesse prendere parte alcuna all’esecuzione del progetto, rimase alla base, solitario e incerto; faceva lunghe passeggiate, se ne stava sdraiato sul letto. Si era nel cuore dell’inverno, ma di un inverno calmo e grigio che sembrava nascondere qualcosa di molto drammatico.

Fleming, circa una settimana dopo l’incidente, o la punizione, come pensava lui, tornava da una passeggiata in brughiera quando vide un’auto enorme, straordinariamente lucida, di fronte all’ufficio di Geers; e mentre passava accanto, ne vide uscire un ometto quadrato dalla testa calva.

«Dottor Fleming!» L’uomo calvo sollevò una mano per fermarlo e salutarlo.

«Cosa fa qui?»

«Spero che non le spiaccia,» disse Kaufmann. Fleming si guardò attorno. «Se ne vada.»

«Per piacere, Herr Doktor, non si senta in imbarazzo.» Kaufmann gli sorrise. «Sono qui in veste assolutamente ufficiale. Agente numero uno ai Lloyds. Non la comprometto.»

«Non ha compromesso neppure Bridger, vero?» Fleming accennò col capo al cancello principale. «Quella è l’uscita.»

Kaufmann sorrise di nuovo, e tirò fuori la scatola di cigarillos. «Fuma?»

«Qualche volta, quando sono nervoso,» rispose. «Non mi interessa nulla di quel che può offrirmi. Provi alla porta accanto.»

«È quel che faccio.» Kaufmann rise e si ficcò un sigaro tra i denti. «É proprio quel che faccio. L’ho fermata, Herr Doktor, per dirle che non la importunerò più; ho altri mezzi, ora, molto migliori, molto più onesti.»

Sorrise ancora, accese il sigaro, ed entrò senza esitazioni nel vestibolo dell’ufficio di Geers.

Fleming andò di corsa agli uffici del Servizio di Sicurezza, ma Quadring era via e non si sapeva dove fosse Judy. Finalmente riuscì a prendere contatto con Judy, per telefono, ma quando la ragazza giunse all’ufficio di Geers, il direttore stava giusto accompagnando fuori Kaufmann. Sembrava che i due uomini fossero in rapporti molto cordiali, e Geers fumava uno dei cigarillos di Kaufmann.

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