«Tu prendi ripetizioni ?» gli chiese Zacharias Smith in tono sdegnoso, dopo averlo incastrato nella Sala d’Ingresso alla fine del pranzo. «Santo cielo, devi essere un disastro. Piton di solito non dà ripetizioni, se non sbaglio».
Mentre Smith si allontanava fastidiosamente compiaciuto, Ron lo guardò storto.
«Glielo faccio, un incantesimo? Da qui lo becco ancora» disse, levando la bacchetta e puntandola tra le scapole di Smith.
«Lascia stare» rispose Harry, cupo. «È quello che penseranno tutti, no? Che sono un defi…»
«Ciao, Harry» fece una voce alle sue spalle. Harry si voltò e si trovò di fronte a Cho.
«Oh» mormorò, mentre il suo stomaco si annodava. «Ciao».
«Noi siamo in biblioteca, Harry» annunciò Hermione perentoria, afferrando Ron per il gomito e trascinandolo giù per le scale di marmo.
«Com’è andato il Natale?» chiese Cho.
«Abbastanza bene» rispose Harry.
«Il mio è stato molto tranquillo» disse Cho. Sembrava imbarazzata. «Ehm… c’è un altro finesettimana a Hogsmeade il mese prossimo, hai visto l’annuncio?»
«Cosa? Ah, no, non ho ancora guardato la bacheca da quando sono tornato».
«Sì, è il giorno di San Valentino…»
«Sì» ripeté Harry, chiedendosi perché gli stava dicendo quelle cose. «Be’, immagino che tu voglia…»
«Solo se va a te» disse lei precipitosamente.
Harry la fissò. Lui stava per dire: “Immagino che tu voglia sapere quand’è la prossima riunione dell’ES” ma la risposta di lei non era quella giusta.
«Io… ehm…» balbettò.
«Oh, non ti preoccupare, se non ti va» disse lei mortificata. «Non fa niente. Ci… ci vediamo».
E si allontanò. Harry rimase a fissarla, con il cervello che lavorava febbrile. Poi qualcosa scattò.
«Cho! Ehi… CHO!»
La inseguì e la raggiunse a metà della scalinata di marmo.
«Ehm… ti va di venire con me a Hogsmeade a San Valentino?»
«Oooh… sì!» rispose lei con un sorriso radioso, diventando cremisi.
«Bene… allora è deciso» disse Harry, e con l’impressione che la giornata non fosse poi un completo fallimento, saltellò fino in biblioteca a prendere Ron e Hermione per le lezioni del pomeriggio.
Alle sei, tuttavia, persino l’euforia di essere riuscito a invitare Cho Chang non poté alleviare i sinistri presagi che si addensavano a ogni passo verso l’ufficio di Piton.
Si fermò un istante davanti alla porta, desiderando di essere in qualunque altro posto, poi trasse un profondo respiro, bussò ed entrò.
Le pareti della stanza in penombra erano occupate da scaffali carichi di centinaia di barattoli di vetro, in cui viscidi pezzi di animali e piante erano sospesi in pozioni di vari colori. In un angolo c’era l’armadio pieno di ingredienti che Piton una volta aveva accusato Harry — non a torto — di aver saccheggiato. L’attenzione di Harry fu però attratta dalla scrivania, sulla quale era posato un bacile di pietra poco profondo, coperto di rune e simboli incisi, immerso nella luce delle candele. Harry lo riconobbe all’istante: era il Pensatolo di Silente. Si chiese che cosa ci faceva lì, e sobbalzò quando la fredda voce di Piton comandò dal buio: «Chiudi la porta, Potter».
Harry obbedì, con la terribile sensazione di chiudersi in trappola. Quando si voltò, Piton si era spostato alla luce e indicava senza parlare la sedia di fronte alla scrivania. Harry sedette e Piton fece altrettanto, fissandolo con i suoi freddi occhi neri, il disprezzo inciso in ogni ruga del volto.
«Bene, Potter, sai perché sei qui» disse. «Il Preside mi ha chiesto di insegnarti l’Occlumanzia. Posso solo sperare che ti dimostrerai più portato che per Pozioni».
«Bene» replicò rapido Harry.
«Questa non è una lezione normale, Potter» disse Piton stringendo gli occhi con malevolenza, «ma sono sempre il tuo insegnante e perciò devi chiamarmi “signore” o “professore”».
«Sì… signore » rispose Harry.
«Dunque, l’Occlumanzia. Come ti ho detto nella cucina del tuo caro padrino, questa branca della magia chiude la mente alle intrusioni e alle influenze esterne».
«E perché il professor Silente crede che ne abbia bisogno, signore?» domandò Harry, guardando Piton dritto negli occhi e chiedendosi se avrebbe risposto.
Piton ricambiò lo sguardo per un momento, poi disse, sprezzante: «Dovresti esserci arrivato anche tu, a questo punto, Potter. L’Oscuro Signore è molto abile nella Legilimanzia…»
«Che cos’è? Signore? »
«È la capacità di estrarre emozioni e ricordi dalla mente di un’altra persona…»
«Sa leggere il pensiero?» chiese in fretta Harry, sentendo confermare le sue peggiori paure.
«Tu non hai acume, Potter» rispose Piton, con i neri occhi che scintillavano. «Non capisci le sfumature. È uno dei difetti che ti rendono un pozionista così scadente».
Piton fece una pausa prima di continuare, a quel che pareva per assaporare il gusto di insultare Harry.
«Solo i Babbani parlano di “lettura del pensiero”. I pensieri non sono un libro che si possa aprire ed esaminare a piacimento. Non sono incisi all’interno del cranio in modo che qualunque intruso possa leggerli. La mente è qualcosa di complesso e stratificato, Potter… o perlomeno, la maggior parte delle menti lo sono». Sorrise, beffardo. «È comunque vero che chi padroneggia la Legilimanzia è in grado, in condizioni particolari, di scavare nella mente delle sue vittime e interpretare correttamente ciò che vi trova. L’Oscuro Signore, per esempio, sa quasi sempre se qualcuno gli sta mentendo. Solo chi è abile in Occlumanzia è in grado di escludere i ricordi e le emozioni che contraddicono la bugia, e può così mentire in sua presenza senza essere scoperto».
Checché ne dicesse Piton, a Harry la Legilimanzia sembrava proprio la lettura del pensiero, e non gli piaceva affatto.
«Quindi lui potrebbe sapere che cosa stiamo pensando ora? Signore?»
«L’Oscuro Signore si trova a una considerevole distanza e le mura e i terreni di Hogwarts sono protetti da molti incantesimi antichi che garantiscono l’incolumità fisica e mentale di coloro che vi abitano» rispose Piton. «Il tempo e lo spazio sono importanti nella magia, Potter. Il contatto visivo è spesso essenziale per la Legilimanzia».
«Be’, allora perché devo imparare l’Occlumanzia?»
Piton guardò Harry, passandosi un lungo dito magro sulle labbra.
«A quanto pare le abituali regole non valgono per te, Potter. La maledizione che non ti ha ucciso sembra aver creato una sorta di connessione fra te e l’Oscuro Signore. Le prove suggeriscono che a volte, quando la tua mente è più rilassata e vulnerabile — durante il sonno, per esempio — tu condividi i suoi pensieri e le sue emozioni. Il Preside ritiene che questo non debba continuare. Desidera che io ti insegni a chiudere la mente all’Oscuro Signore».
Il cuore di Harry batteva forte di nuovo. I conti non tornavano.
«Ma perché il professor Silente vuole che smetta?» chiese all’improvviso. «A me non piace, ma è stato utile, no? Voglio dire… se non avessi visto quel serpente che attaccava il signor Weasley, il professor Silente non avrebbe potuto salvarlo, vero? Signore?»
Piton fissò Harry per qualche istante, sempre passandosi il dito sulle labbra. Quando parlò di nuovo, lo fece con deliberata lentezza, come soppesando le parole.
«A quanto pare l’Oscuro Signore non si era reso conto del vostro legame. Finora sembra che tu abbia provato le sue emozioni e condiviso i suoi pensieri senza che lui lo sapesse. Tuttavia, la visione che hai avuto poco prima di Natale…»
«Quella del serpente e del signor Weasley?»
«Non interrompermi, Potter» mormorò Piton con voce minacciosa. «Come stavo dicendo, la visione che hai avuto poco prima di Natale ha rappresentato un’incursione così potente nel pensiero dell’Oscuro Signore…»
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