«D’accordo» rispose Harry. Mise il pacchetto nella tasca interna del giaccone, ma sapeva che non l’avrebbe mai usato, qualunque cosa fosse. Non sarebbe stato lui, Harry, ad attirare Sirius fuori dal suo nascondiglio sicuro, anche se Piton l’avesse trattato come un cane.
«Andiamo, allora» disse Sirius, battendo sulla spalla di Harry con un sorriso triste, e prima che Harry potesse dire altro salirono le scale e si fermarono insieme davanti alla porta chiusa da serrature e pesanti catene, circondati dai Weasley.
«Arrivederci, Harry, stai bene» lo salutò la signora Weasley abbracciandolo.
«Ci vediamo, Harry, tieni d’occhio i serpenti per me!» disse gioviale il signor Weasley, stringendogli la mano.
«Sì… certo» rispose distrattamente Harry; era la sua ultima possibilità di avvertire Sirius di stare attento; si voltò, guardò il suo padrino negli occhi e fece per parlare, ma Sirius lo strinse a sé brevemente con un braccio e disse in tono burbero: «Abbi cura di te, Harry». Un momento dopo, Harry si ritrovò fuori nella gelida aria invernale, con Tonks (che quel giorno era pesantemente camuffata da signora di campagna, alta e sportiva, i capelli grigio ferro) che lo spingeva giù per le scale.
La porta del numero dodici si chiuse alle loro spalle. Seguirono Lupin in strada e, una volta sul marciapiede, Harry si voltò. Il numero dodici si restringeva sempre più via via che le due case a fianco si allargavano, nascondendolo. Un istante dopo era sparito.
«Forza, prima prendiamo l’autobus, meglio è» disse Tonks, e Harry notò che si guardava intorno piuttosto nervosa. Lupin tese il braccio destro.
BANG.
Un bus a tre piani di un viola intenso apparve dal nulla davanti a loro, evitando per un pelo un lampione, che saltò bruscamente all’indietro.
Un ragazzo magro e brufoloso, con le orecchie a sventola e l’uniforme viola, balzò sul marciapiede e disse: «Benvenuti sul…»
«Sì, sì, lo sappiamo, grazie» tagliò corto Tonks. «Su, salite…»
Spinse Harry in avanti, sui gradini. Il bigliettaio sgranò gli occhi.
«Ehi! C’è Harry…!»
«Urla un’altra volta il suo nome e ti condanno all’oblio perpetuo» mormorò Tonks minacciosa, facendo passare Ginny e Hermione.
«Ho sempre desiderato salire su questo coso» disse allegro Ron, raggiungendo Harry a bordo e guardandosi intorno.
L’ultima volta che Harry aveva viaggiato sul Nottetempo era di sera, e i tre piani erano stipati di letti d’ottone. Ora, di prima mattina, era zeppo di sedie scompagnate, ammucchiate a caso attorno ai finestrini. Molte dovevano essere cadute quando l’autobus aveva frenato di colpo in Grimmauld Place; alcuni maghi e streghe si stavano ancora rialzando tra i brontolii, e un sacchetto della spesa si era rovesciato distribuendo per tutta la lunghezza dell’autobus uno sgradevole miscuglio di uova di rana, scarafaggi e budini.
«Pare che ci dobbiamo separare» osservò secca Tonks, cercando dei posti liberi. «Fred, George e Ginny, sedetevi lì in fondo… Remus starà con voi».
Lei, Harry, Ron e Hermione salirono all’ultimo piano, dove c’erano due sedie libere davanti e due dietro. Stan Picchetto, il bigliettaio, seguì Harry e Ron in fondo, curioso. Molte teste si voltarono al passaggio di Harry, ma quando si sedette vide che tutti si affrettavano a distogliere lo sguardo.
Harry e Ron diedero a Stan undici falci ciascuno e l’autobus ripartì, ondeggiando in modo sinistro. Rombò attorno a Grimmauld Place, salendo anche sul marciapiede, e poi, con un altro fragoroso BANG, tutti gli occupanti vennero catapultati all’indietro; la sedia di Ron si rovesciò e Leotordo, che era sulle sue ginocchia, uscì dalla gabbia e volò davanti fischiando come un pazzo, per poi posarsi sulla spalla di Hermione. Harry, che aveva evitato per un pelo di cadere afferrandosi a un candelabro, guardò fuori dal finestrino: sfrecciavano lungo quella che sembrava un’autostrada.
«Appena fuori Birmingham» disse Stan gioviale, rispondendo alla domanda inespressa di Harry, mentre Ron cercava di rialzarsi da terra. «Come te la passi, eh, Harry? T’ho visto sui giornali un mucchio di volte quest’estate, ma non dicevano mai cose molto simpatiche. Ho detto a Ern, dico, non sembrava matto quando l’abbiamo conosciuto noi, quindi staremo a vedere, giusto?»
Porse loro i biglietti e continuò a fissare incantato Harry. A quanto pareva, a Stan non importava quanto uno era matto, se era abbastanza famoso da finire sui giornali. Il Nottetempo oscillò in modo allarmante, sorpassando una fila di macchine sulla corsia interna. Harry vide Hermione coprirsi gli occhi con le mani, mentre Leotordo dondolava felice sulla sua spalla.
BANG.
Le sedie scivolarono di nuovo all’indietro quando il Nottetempo balzò dall’autostrada di Birmingham a una tranquilla strada di campagna tutta curve. Le siepi si scansavano con un salto ogni volta che il bus montava sul ciglio della strada. Da lì passarono alla via principale di una città piena di traffico, poi a un viadotto circondato da alte colline, poi a una strada battuta dal vento tra due altipiani, ogni volta con un fragoroso BANG.
«Ho cambiato idea» borbottò Ron, rialzandosi da terra per la sesta volta. «Non voglio viaggiare mai più su questo coso».
«Tranquilli, Hogwarts è la prossima dopo questa» disse allegramente Stan, ondeggiando tra loro. «Quella donna prepotente che è salita con voi ci ha dato una piccola mancia per andarci subito. Prima dobbiamo far scendere Madama Palude, però.» Dal piano di sotto venne il rumore di un conato di vomito e delle sue conseguenze. «Non si sente troppo bene».
Pochi minuti dopo il Nottetempo frenò stridendo davanti a un piccolo pub, che si ritrasse per evitare la collisione. Sentirono che Stan aiutava la povera Madama Palude a scendere, e i mormorii sollevati degli altri passeggeri al secondo piano. Il bus ripartì e prese velocità, finché…
BANG.
Stavano attraversando Hogsmeade, coperta di neve. Harry intravide la Testa di Porco in fondo alla sua stradina laterale, l’insegna con la testa di cinghiale mozzata che cigolava nel vento freddo, mentre la neve cadeva sul grande parabrezza dell’autobus. Alla fine si fermarono davanti ai cancelli di Hogwarts.
Lupin e Tonks li aiutarono a scaricare i bagagli, poi scesero per salutarli. Harry guardò i tre piani dell’autobus: tutti i passeggeri li fissavano, i nasi schiacciati contro i finestrini.
«Una volta dentro sarete al sicuro» disse Tonks, lanciando un’occhiata guardinga nella strada deserta. «Passate un buon trimestre, ok?»
«Abbiate cura di voi». Lupin strinse le mani a tutti e arrivò da Harry per ultimo. «Ascolta…» disse abbassando la voce, mentre gli altri salutavano Tonks. «So che non ti piace Piton, ma è un Occlumante straordinario e tutti noi, compreso Sirius, vogliamo che impari a proteggerti, quindi lavora sodo, d’accordo?»
«Sì, d’accordo» rispose Harry serio, guardando il viso prematuramente segnato di Lupin. «Ci vediamo».
I sei ragazzi risalirono il viale scivoloso verso il castello, trascinando i bauli. Hermione parlava già di sferruzzare altri berretti da elfo prima di andare a dormire. Quando furono davanti alle porte di quercia, Harry si guardò indietro: il Nottetempo se n’era andato, ma quasi quasi, visto che cosa lo aspettava la sera dopo, avrebbe preferito trovarsi ancora a bordo.
* * *
Harry passò gran parte del giorno seguente aspettando con terrore la sera. La doppia lezione di Pozioni del mattino non dissipò per nulla la sua trepidazione, visto che Piton fu più sgradevole che mai. Il suo umore peggiorò ancora perché vari membri dell’ES continuavano ad avvicinarsi per chiedergli se quella sera ci sarebbe stata riunione.
«Vi farò sapere nel solito modo» ripeté Harry a tutti quanti, «ma stasera non posso, devo andare… ehm… a un recupero di Pozioni».
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