Joanne Rowling - Harry Potter e la pietra filosofale

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Harry Potter e la pietra filosofale: краткое содержание, описание и аннотация

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Un orfanello dotato di misteriosi poteri, due zii molto antipatici e… si entra nell’eccitante universo del Meraviglioso!
Un ragazzino con gli occhiali grossi ha conquistato la copertina del Time: si chiama Harry Potter. Nel giorno del suo undicesimo compleanno Harry si rende conto di essere dotato di straordinari poteri magici. E di potersi finalmente vendicare di tutte le angherie subite dagli odiosi zii che l’hanno allevato malvolentieri al posto dei genitori spariti nel nulla. Dovrà però frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, la migliore d’Inghilterra, in un castello dove è custodita la prodigiosa Pietra Filosofale che può sconfiggere le forze del male…

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L’unico che gli rimase vicino fu Ron.

«Di qui a poche settimane si saranno scordati tutto. Fred e George gli hanno fatto perdere tanti di quei punti, da quando sono qui… eppure i compagni gli vogliono ancora bene».

«Però non hanno mai fatto perdere a Grifondoro centocinquanta punti in un colpo solo! O no?» rispose Harry affranto.

«Be’… effettivamente no» ammise Ron.

Era un po’ tardi per rimediare al danno, ma Harry giurò a se stesso che da allora in poi non si sarebbe più immischiato in cose che non lo riguardavano. Doveva piantarla di andarsene in giro di nascosto a cacciare il naso qua e là. Provava tanta vergogna che andò da Baston a offrirgli le sue dimissioni dalla squadra di Quidditch.

«Dimissioni?» tuonò Baston. «E a che cosa servirebbero? Come facciamo a riacquistare punti, se non vinciamo a Quidditch?»

Ma anche il Quidditch non lo divertiva più. Durante gli allenamenti i compagni di squadra non gli rivolgevano la parola, e se dovevano parlare di lui, lo chiamavano ‘il Cercatore’.

Anche Hermione e Neville se la passavano male. Non quanto Harry, perché non avevano neanche lontanamente la sua notorietà; ma nemmeno a loro nessuno rivolgeva più la parola. In classe, durante le lezioni, Hermione aveva smesso di attirare l’attenzione degli altri: stava a testa china e studiava in silenzio.

Harry era quasi contento che non mancasse molto agli esami. Aveva da ripassare un sacco di lezioni e questo distoglieva la sua mente dai guai. Lui, Ron e Hermione se ne stavano fra loro, studiavano fino a notte alta, cercando di mandare a memoria gli ingredienti di complicate pozioni, gli incantesimi e gli scongiuri di ogni genere, le date di grandi scoperte magiche e di rivolte di folletti…

Poi, a circa una settimana dall’inizio degli esami, la risoluzione che Harry aveva preso — cioè di non immischiarsi in cose che non lo riguardavano — fu messa alla prova in maniera inattesa. Un pomeriggio, mentre, da solo, tornava dalla biblioteca, udi una voce lamentosa provenire da una delle aule. Quando si avvicinò, capì che si trattava di Raptor.

«No, no, un’altra volta no, ti prego…»

A sentire quelle parole, sembrava che qualcuno lo stesse minacciando. Harry si avvicinò ancora.

«E va bene… va bene» sentì Raptor singhiozzare.

Passò appena un secondo, e dall’aula uscì in gran fretta Raptor, tutto intento a rimettersi il turbante per il verso giusto. Era pallido e sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. Si allontanò fino a sparire alla vista, e Harry ebbe l’impressione che non lo avesse neanche notato. Attese che l’eco dei suoi passi si spegnesse, poi fece capolino nell’aula per dare un’occhiata. Era vuota, ma all’estremità opposta c’era una porta spalancata. A metà strada, Harry ricordò che aveva promesso a se stesso di non immischiarsi in faccende che non lo riguardavano.

Eppure, avrebbe scommesso dodici Pietre Filosofali che da quell’aula era appena uscito Piton. E da quanto aveva appena sentito, Piton doveva essere tutto ringalluzzito: sembrava che finalmente Raptor avesse ceduto.

Harry tornò in biblioteca, dove Hermione stava interrogando Ron in astronomia, e raccontò quello che aveva sentito.

«Dunque, Piton ce l’ha fatta!» esclamò Ron. «Se Raptor gli ha insegnato a spezzare il suo incantesimo anti-Magia nera…»

«Però, c’è sempre Fuffi» obiettò Hermione.

«Forse Piton ha scoperto come eludere la sua sorveglianza senza chiedere niente a Hagrid» disse Ron alzando gli occhi sulle migliaia di volumi che li circondavano. «Scommetto che qua dentro, da qualche parte, c’è un libro che spiega come fare per mettere fuori combattimento un gigantesco cane a tre teste. E allora, che cosa facciamo, Harry?»

Negli occhi di Ron era tornata a brillare la luce dell’avventura; ma prima che potesse rispondere, lo fece Hermione al posto suo.

«Va’ da Silente. E quello che dovremmo aver fatto già da un sacco di tempo. Se tentiamo qualcosa noi, ci sbattono fuori di sicuro».

«Ma non abbiamo prove !» disse Harry. «Raptor ha troppa paura per tenerci bordone. Basta solo che Piton dica di non sapere come ha fatto a entrare quel mostro a Halloween, e che lui al terzo piano non ci è neanche andato vicino… Secondo voi, a chi crederanno, a lui o a noi? Che noi non possiamo soffrire Piton, non è precisamente un segreto. Silente penserà che ci siamo inventati tutto per farlo licenziare. Gazza non ci aiuterebbe per tutto l’oro del mondo: è troppo amico di Piton, e dal suo punto di vista, più studenti vengono rispediti a casa, meglio è. E poi, non dimenticate che noi non ne dovremmo proprio sapere nulla, né della pietra né di Fuffi. Sarà dura spiegare come l’abbiamo saputo».

Hermione aveva l’aria convinta, ma Ron no.

«Ma se cerchiamo di fare una piccola indagine…»

«No» ribatté secco Harry, «abbiamo già indagato abbastanza».

E ciò detto, tirò a sé una mappa di Giove e incominciò a mandare a memoria i nomi delle sue lune.

Il mattino seguente, Harry, Hermione e Neville, sedendosi al tavolo della colazione, trovarono dei messaggi a loro indirizzati. Erano tutti identici, e dicevano:

Per punizione, andrete in cella d’isolamento a partire dalle undici di stasera. Presentatevi al signor Gazza nel salone d’ingresso.

Prof.ssa McGranitt

Nella gran confusione suscitata dalla retrocessione di Grifondoro, Harry aveva dimenticato che li attendeva il castigo. Temeva quasi che Hermione protestasse perché avrebbero perso un’intera nottata di ripasso. Ma la ragazzina non disse una parola: al pari di Harry, anche lei sentiva che se l’erano meritata.

Quella sera alle undici, salutarono Ron nella sala di ritrovo e scesero nell’ingresso insieme a Neville. Gazza era già lì ad attenderli, e con lui c’era Malfoy. Harry aveva dimenticato che anche Malfoy si era beccato la stessa punizione.

«Seguitemi» disse Gazza, accendendo un lume e conducendoli fuori.

«Adesso credo proprio che ci penserete due volte, prima di violare di nuovo il regolamento della scuola, eh?» fece in tono di scherno. «Se volete sapere come la penso io, i migliori insegnanti sono il lavoro duro e le punizioni… È proprio un peccato che non ne diano più spesso come una volta… Allora ti appendevano al soffitto per i polsi e ti ci lasciavano per qualche giorno! Ho ancora le catene in ufficio: le tengo ben oliate, nel caso che servano… Allora, andiamo, e non sognatevi di filarvela proprio adesso: se ci provate, sarà peggio per voi».

Si avviarono attraverso il parco immerso nell’oscurità. Neville non la smetteva di tirare su col naso. Intanto, Harry si domandava quale sarebbe stato il loro castigo. Doveva essere qualcosa di veramente orribile, altrimenti Gazza non avrebbe avuto quel tono gongolante.

La luna splendeva in cielo, ma ogni tanto una nube le passava davanti oscurandola, e sprofondava anche loro nel buio. Davanti a sè, Harry scorse le finestre illuminate della capanna di Hagrid. Poi udirono un grido in lontananza.

«Sei tu, Gazza? Sbrigati, che voglio incominciare».

Harry si sentì sollevato: non sarebbe stato poi tanto male, se gli toccava ripassare con Hagrid. Quel sollievo dovette riflettersi nell’espressione del suo volto, perché Gazza disse: «Non penserai mica che siete venuti a divertirvi insieme con quello zoticone? Be’, levatelo dalla testa, ragazzo: è nella foresta che vi sto portando, e non so neanche se tornerete tutti interi».

A quelle parole, Neville diede un flebile lamento, e Malfoy si fermò, incapace di proseguire.

«Nella foresta?» ripeté, e non col suo solito tono sicuro. «Ma non si può mica andarci di notte… ci sono in giro un sacco di bestie strane… lupi mannari, dicono».

Neville strinse la manica del mantello di Harry ed emise un suono strozzato.

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