Si guardarono intorno. La gente li stava ancora osservando, soprattutto per via di Edvige che continuava a starnazzare.
«Penso che è meglio se andiamo ad aspettarli in macchina» disse Harry. «Stiamo attirando troppo l’atten…»
«Harry!» esclamò Ron con gli occhi che gli brillavano. «La macchina!»
«Si, e allora?»
«Possiamo volare con la macchina fino a Hogwarts!»
«Ma io pensavo…»
«Siamo bloccati, giusto? E a scuola ci dobbiamo andare, giusto? E anche i maghi minorenni sono autorizzati a fare magie se si tratta di una vera emergenza, articolo 19 o qualcosa di simile della Legge sulla Restrizione dei cosi…»
Il panico di Harry si trasformò di colpo in euforia.
«Tu sai farla volare?»
«Non c’è problema» disse Ron girando il carrello verso l’uscita. «Su, andiamo! Se ci sbrighiamo riusciremo a seguire l’Espresso per Hogwarts».
Si avviarono fendendo la folla di Babbani incuriositi, uscirono dalla stazione e raggiunsero la strada laterale dove era parcheggiata la vecchia Ford Anglia.
Ron aprì il capiente portabagagli con qualche leggero colpetto di bacchetta magica. Caricarono di nuovo i bauli, misero Edvige sul sedile posteriore e salirono davanti.
«Controlla che nessuno stia guardando» disse Ron accendendo il motore con un altro colpo di bacchetta magica. Harry sporse la testa fuori del finestrino: sulla via principale il traffico era sostenuto, ma la strada dove si trovavano loro era deserta.
«Via libera» disse.
Ron premette un bottoncino d’argento sul cruscotto. La macchina divenne invisibile e altrettanto accadde a loro. Harry sentiva vibrare il sedile, sentiva il motore, si sentiva le mani poggiate sulle ginocchia e gli occhiali sul naso, ma a quel che poteva vedere era diventato un paio di pupille fluttuanti a pochi metri da terra, in una squallida strada piena di macchine parcheggiate.
«Partenza!» disse la voce di Ron alla sua destra.
Il suolo e gli edifici anneriti su entrambi i lati si allontanarono man mano che l’auto si sollevava; nel giro di qualche secondo tutta Londra si stendeva ai loro piedi, fumosa e lucente.
Poi ci fu uno scoppio e l’auto, Harry e Ron ritornarono visibili.
«Oh!» esclamò Ron dando qualche colpetto al Turbo Invisibile. «È difettoso…»
Entrambi lo presero a pugni. L’auto scomparve. Poi riapparve di nuovo.
«Tieniti forte!» gridò Ron e premette il piede sull’acceleratore; si infilarono sparati nelle nuvole basse e dense come lana, e tutto diventò opaco e brumoso.
«E ora?» disse Harry sbattendo gli occhi davanti alla massa di nuvole compatte che li avvolgeva da tutte le parti.
«Dobbiamo trovare il treno per sapere in quale direzione andare» disse Ron.
«Presto, giù in picchiata…»
Scesero di nuovo sotto le nuvole e si guardarono intorno, perlustrando a terra.
«Eccolo!» gridò Harry. «Là davanti, a destra!»
L’Espresso di Hogwarts si snodava sotto di loro come un serpente scarlatto.
«Rotta nord» disse Ron controllando la bussola sul cruscotto. «Molto bene, dovremo solo fare un controllo ogni mezz’ora circa. Tieniti forte…» e sparirono dentro le nuvole. Un attimo dopo, sbucarono in un trionfo di luce.
Era tutto un altro mondo. Le ruote dell’auto sfioravano il mare di soffici nubi, il cielo era di un blu luminoso e infinito, sotto gli abbaglianti raggi del sole.
«L’unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci ora sono gli aeroplani» disse Ron.
Si guardarono e scoppiarono a ridere e per molto tempo non riuscirono a smettere.
Era come essere immersi in un sogno favoloso. Questo, pensava Harry, era certamente il modo migliore di viaggiare: tra mulinelli e torri di nuvole bianche come la neve, comodamente seduti in un’auto baciata da un sole caldo e luminoso, con un pacco di caramelle nel cassetto del cruscotto e la prospettiva di far morire d’invidia Fred e George quando fossero atterrati trionfalmente sul grande prato davanti al castello di Hogwarts.
Controllarono regolarmente il percorso del treno, mentre volavano sempre più a nord, e ogni immersione sotto le nuvole mostrava loro un paesaggio diverso. A Londra, che fu ben presto lontana, si sostituirono i contorni nitidi dei campi verdi, che si avvicendavano alla brughiera selvaggia color violaceo, ai villaggi dalle chiese piccole come giocattoli, e alla vista di una grande città brulicante di automobili, come tante formiche dai mille colori.
Ma dopo molte ore trascorse senza eventi degni di nota, Harry dovette ammettere che un po’ del divertimento era svanito. Le caramelle gli avevano messo una gran sete e loro non avevano niente da bere. Si erano tolti i maglioni, ma la T-shirt di Harry si appiccicava al sedile, e gli occhiali continuavano a scivolargli sulla punta del naso sudato. Le forme fantastiche delle nuvole non gli interessavano più, e pensava con nostalgia al treno che correva qualche miglio sotto di loro, dove una strega paffutella spingeva un carrello da cui si poteva comprare succo di zucca ghiacciato. Ma perché non erano riusciti a raggiungere il binario nove e tre quarti?
«Non dovremmo essere molto lontani, non trovi?» disse Ron qualche ora più tardi con voce arrochita, mentre il sole cominciava a sprofondare dietro le nuvole che gli facevano da pista, colorandole di un rosa intenso. «Sei pronto per un altro controllo al treno?»
L’Espresso era ancora sotto di loro e arrancava lungo il percorso tortuoso di una montagna coperta di neve. Sotto il baldacchino di nuvole era molto più buio.
Ron premette il piede sull’acceleratore e tornarono a risalire, ma il motore cominciò a gemere.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata nervosa.
«Probabilmente è solo stanco» disse Ron. «Non ha mai percorso distanze di questo genere prima d’ora…»
Ed entrambi finsero di non accorgersi del cigolio che andava aumentando, mentre il cielo si oscurava sempre più. Nel buio, cominciarono a spuntare le stelle. Harry si rimise il maglione, cercando di ignorare che ora i tergicristalli si muovevano debolmente, in segno di protesta.
«Manca poco» disse Ron più alla macchina che a Harry. «Manca poco ormai» ripeté battendo nervosamente qualche colpetto sul cruscotto.
Qualche minuto dopo, quando scesero nuovamente sotto le nuvole, dovettero aguzzare la vista per intravedere nelle tenebre un punto di riferimento noto. « Là! » gridò Harry facendo sobbalzare Ron e Edvige. «Davanti a te!»
Contro il nero dell’orizzonte, alte sulla rupe che sovrastava il lago, si stagliavano le molte torri e torrette del castello di Hogwarts.
Ma l’auto aveva cominciato a scuotersi e a perdere velocità.
«Dài, su» la incitò Ron con fare persuasivo, dando una piccola scossa al volante, «dai, ci siamo quasi…»
Il motore gemette. Da sotto il cofano uscivano sottili getti di vapore. Mentre volavano diretti verso il lago, Harry si aggrappò con tutte le forze ai bordi del sedile.
L’auto ebbe un fremito sinistro. Guardando fuori dal finestrino, un miglio sotto di loro, Harry vide la superficie dell’acqua liscia, nera e cristallina. Le nocche di Ron erano bianche dallo sforzo di reggere il volante. L’auto tremò ancora.
«E dài, su!» sbottò Ron.
Sorvolavano il lago… il castello era davanti a loro… Ron pigiò sull’acceleratore.
Ci fu un rumore di ferraglie, un crepitio e il motore si spense del tutto.
«Oh!» esclamò Ron nel silenzio.
Col muso in giù, la macchina cominciò a perdere rapidamente quota. Stavano precipitando e acquistavano velocità, dritti contro la massiccia muraglia del castello.
« Noooooo! » gridò Ron sterzando vigorosamente. Evitarono per un pelo la muraglia di pietra nera e la macchina descrisse un grande arco, volteggiando sopra le serre, poi sopra l’orto e poi ancora più in là, sui prati bui, sempre perdendo quota.
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