Hal Clement - Luce di stelle

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Chi non ricorda il pianeta Mesklin e i suoi straordinari abitanti, costretti a vivere in condizioni di gravità proibitive per gli esseri umani? Gli eroi meskliniti di Hal Clement tornano in questo romanzo, in sé pefettamente autonomo, che è di fatto il secondo capitolo della saga iniziata con
(
), tenuto a battesimo in Italia proprio sulle pagine di URANIA. Ancora una volta la pazienza, il coraggio e le straordinarie caratteristiche fisiche dei meskliniti permetteranno loro di avere ragione di un mondo in cui la forza di gravità è così schiacciante da rappresentare da sola il più terribile e immediato dei pericoli. Senza contare le numerose incognite di questa nuova e inedita missione nello spazio, scritta da un maestro della tecnologica…

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“Comunque, finalmente questa partita sembra chiusa. Adesso abbiamo questo problema con lo Smof. Se continua così perderemo tutti i ricognitori prima di varcare il confine di Alfa Inferiore. Qualcuno conosce per caso il comandante dello Smof come Easy conosce Dondragmer? Lei no, Easy, lo so. Qualcuno ha idea di che tipo sia e della sua abilità nel cavarsi dai guai? Non ho nessuna voglia di rischiare nuovamente e andare a prenderli con la navetta.”

— Tebbets dice che Beetchermarlf riuscirebbe tranquillamente a gestire un atterraggio, a patto che non subentrino complicazioni ai motori — fece notare un ingegnere. — Io l’ho messo alla prova e penso che non avrà problemi.

— Forse ha ragione. Il guaio però è che non possiamo atterrare su un lastrone di ghiaccio e con quella dannata gravità la navetta non riesce a sollevare un ricognitore. Beetchermarlf e Takoorch continueranno il loro corso d’istruzione per il momento. Quello che invece voglio dai planetologi il più presto possibile è una mappa della zona e la direzione migliore da prendere per l’equipaggio se bisognerà evacuare il ricognitore, cioè quella che porta al punto più vicino in cui la navetta potrebbe atterrare e raccoglierli. Se si trova troppo vicino però è meglio non dir nulla: voglio che facciano l’impossibile per salvare il ricognitore e mi sembra controproducente far balenare la prospettiva di un salvataggio facile.

Ib Hoffmann si tese leggermente ma si astenne dal commentare. Da un certo punto di vista Aucoin era perfettamente giustificabile. Il responsabile del progetto continuò. — Si è poi trovata una spiegazione definitiva per quello che è successo alla Kwembly? Ormai sono settimane che analizzate i campioni di fango che i due mescliniti hanno prelevato. — Sì, l’abbiamo trovata. Si tratta di un affascinante esempio di interazione superficiale. In pratica la Kwembly è sprofondata in un composto sensibile all’azione combinata di temperatura, pressione, percentuali di acqua e ammoniaca e chissà cos’altro. Chiaramente il peso del ricognitore ha oltrepassato il limite di resistenza dello strato superficiale di sedimenti: i due mescliniti hanno potuto camminarvi sopra per mezz’ora senza notare il minimo segno di cedimento. Ma una volta sottoposto a un vigoroso e repentino aumento di pressione la resistenza del terreno è come esplosa verso l’esterno, tipo onda sonora.

— Va bene, va bene. Fatemi pervenire una relazione — disse Aucoin con un cenno della mano. — Come possiamo identificare una superficie simile senza finirci sopra con un ricognitore?

— Be’, innanzitutto bisogna vedere se è possibile, ma immagino di sì. La temperatura locale, Per esempio, potrebbe provarsi un buon sistema almeno per sapere se sono necessarie altre prove. Ecco perché non dobbiamo temere che la navetta vi finisca dentro: il calore dei reattori dovrebbe far evaporare dal terreno l’acqua e l’ammoniaca necessarie alla reazione molto prima che la navetta vi atterri con il suo peso.

Aucoin annuì e passò ad altre questioni. Rapporti dai ricognitori, situazione dei rifornimenti, contatti con l’esterno, prospettive future.

Si sentiva ancora un po’ imbarazzato. Aveva riconosciuto il suo errore, ma come la maggior parte delle persone aveva anche trovato delle scuse e pensava che nessuno lo avrebbe notato. Ma gli Hoffmann sapevano, e forse altra gente ancora. Doveva stare più attento se voleva accedere a una posizione ancora più importante nel progetto. Dopotutto, continuava a ripetere dentro di sé, i mescliniti valevano quanto gli umani anche se sembravano dei grossi bruchi con le chele.

La mente di Ib Hoffmann divagava ormai da un po’, nonostante conoscesse l’importanza di queste riunioni per il buon proseguimento del lavoro. Non riusciva a evitare di pensare alla Kwembly, allo Smof e a un meccanismo sommerso ben studiato e definito sicuro che aveva quasi ucciso un ragazzino di undici anni. I rapporti, illustrati dalla voce acida di Aucoin, si susseguivano uno dietro l’altro. Finalmente, Ib decise cosa fare.

— Tutto sta andando per il meglio — affermò Barlennan. — Abbiamo rimosso i prendimmagini dalla Kwembly con delle scuse veramente convincenti e così adesso possiamo lavorarci indisturbati. Abbiamo inoltre guadagnato il volatore di Reffel, che gli umani credono disperso e che ci tornerà molto comodo. Jemblakee e Deeslenver pensano che basterà un altro giorno di lavoro per rimettere in sesto la Kwembly.

Il comandante mesclinita alzò lo sguardo verso l’alto, verso il pallido sole di Dhrawn. — I chimici umani sono stati molto bravi con quel fango in cui la Kwembly era sprofondata. Mi ha divertito molto vedere quell’umano che parlava con Deeslenver continuare a ripetere tutti i suoi dubbi mentre spiegava cosa era accaduto. Peccato non potergli dire quanto avesse colpito nel segno con le sue analisi.

— Dubitare di se stessi sembra il passatempo preferito di tutti gli umani, se posso permettermi un’osservazione del genere… — ironizzò Guzmeen. — Quando è arrivata la notizia?

— Il Deedee è arrivato un’ora fa ed è già ripartito. Quel dirigibile ha troppo lavoro. Andava già male quando abbiamo perso la Elsh, ma adesso con Kabremm e il suo Gwelf stiamo arrivando al limite. Spero di ritrovarli. Forse il Kalliff tornerà utile anche per questo: deve comunque cercare la strada per raggiungere Dondragmer e uno degli esploratori di Kenaken potrebbe benissimo imbattersi nell’equipaggio. Non è passata più di mezza giornata, quindi esistono ancora delle speranze.

— E ciononostante secondo lei va tutto per il meglio — affermò Guzmeen.

— Ma certo. Non ricordate che lo scopo di tutto l’intrigo della Esket era persuadere gli umani a farci usare la navetta spaziale? La ricerca di una totale autonomia è venuta dopo, anche se ammetto che era una buona idea. Ci aspettavamo di dover lavorare per anni alla finzione di una civiltà locale ostile prima di persuadere Aucoin a lasciarci volare, quindi siamo avanti con il nostro programma. Non solo: non abbiamo subito molte perdite per la strada. La seconda colonia è andata distrutta, ma la ricostruiremo; purtroppo le vere perdite sono due: la Elsh e l’equipaggio e forse Kabremm con il suo.

— Ma non possiamo permetterci il lusso di perdere nessuno, tantomeno Kabremm e Karfregin con i rispettivi dirigibili ed equipaggi. Non siamo in molti qui e se anche Dondragmer con l’equipaggio non dovessero riuscire a farcela fino all’arrivo dei soccorsi le perdite diverrebbero gravissime: perlomeno sui dirigibili non vi erano scienziati e ingegneri.

— Dondragmer non corre pericolo. Beetchermarlf può sempre atterrare e raccoglierli sull’astronave umana… voglio dire, la nostra astronave.

— Se qualcosa va male con quell’operazione perderemmo però i nostri unici piloti.

— Questo mi fa venire in mente — disse Barlennan pensieroso — che bisogna riguadagnare il tempo perduto. Non appena la Kwembly è pronta voglio che cominci a cercare un posto adatto a insediarvi la nuova seconda colonia. Gli scienziati di Dondragmer non dovrebbero avere problemi a trovare una nuova miniera: Dhrawn sembra ricchissima di vene metalliche. Forse possono cercare più vicino a noi, in modo che le comunicazioni risultino più facili.

— Dobbiamo costruire altri dirigibili. L’unico che ci è rimasto non basta per la metà del lavoro che c’è da fare. Secondo me dobbiamo costruirli anche più grandi.

— Ho studiato un po’ il problema — disse un tecnico che prendeva parte alla riunione — e mi chiedo se non sia possibile domandare con molto tatto qualche informazione agli umani. Noi non abbiamo mai discusso questo argomento con loro: solo lei, comandante, ha costruito anni fa un pallone col loro aiuto e vi ha applicato un motore a loro completa insaputa. Però non sappiamo neppure se gli umani li hanno mai usati e forse la perdita dei due equipaggi non va attribuita solo alla sfortuna: forse c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato nell’idea.

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