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Hal Clement: Pianeta di ghiaccio

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Hal Clement Pianeta di ghiaccio

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Per la famiglia Wind, i monti dell'Ovest americano sono un ambiente di vita ideale e una fonte di benessere, dopo che babbo Wind ha scoperto la sua miniera d'oro segreta. Per i Sarriani, abituati a respirare zolfo volatile, il Pianeta di Ghiaccio è uno dei tanti mondi inabitabili dell'universo. Perfino le loro navette automatiche inviate verso le pianure azzurre che formano gran parte del pianeta cessano subito le comunicazioni. Di parere diverso sono invece alcuni contrabbandieri che, dalla loro base su Mercurio, da quasi trent'anni ottengono dal Pianeta di Ghiaccio preziose quantità di una potentissima droga allucinogena in cambio di modeste quantità di metalli preziosi. Tutto potrebbe ancora filare per il meglio (secondo il metro di questa Cosa Nostra dello spazio) se un giorno le autorità di Sarr non infiltrassero un loro scienziato nella banda di spacciatori, e se finalmente le barriere di gelo che isolano due culture aliene non crollassero in qualche modo. Per la prima volta in Italia uno storico romanzo classico firmato dal maestro dell'esobiologia.

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Hal Clement

Pianeta di ghiaccio

(Iceworld, 1953)

1

Fin dall’inizio, Sallman Ken non era del tutto sicuro che la decisione di accettare la proposta di Rade fosse quella giusta. Lui non solo non era un poliziotto, ma non era neppure sicuro di saperlo fare. Non aveva mai avuto una particolare inclinazione per il rischio. Aveva sempre pensato, naturalmente, di poter sopportare la sua dose di disagi, ma lo spettacolo che gli si mostrava in quel momento dal boccaporto della Karella lo portava a dubitare anche di questo.

Comunque, Rade era stato abbastanza onesto, dovette ammettere. A quanto pareva, il capo della squadra narcotici gli aveva detto tutto quello che sapeva; comunque, quanto bastava perché Ken, sforzando al massimo la sua immaginazione, potesse forse attendersi qualcosa di simile a quello che gli stava davanti agli occhi.

«Non ce n’è mai stata una grande quantità sul mercato» gli aveva spiegato Rade. «Non sappiamo neppure come la chiamano gli spacciatori. Per loro è soltanto una «annusata». Ormai è in circolazione da diversi anni; ce ne siamo occupati molto tempo fa, quando fece la sua comparsa, ma poi non ce ne siamo più interessati perché abbiamo constatato che la gravità della situazione non tendeva ad aumentare.»

«E allora, cos’è saltato fuori, adesso, di tanto pericoloso?» gli aveva domandato Ken.

«Be, è ovvio che ogni droga capace di dare assuefazione costituisce un pericolo» aveva risposto Rade. «Come insegnante di scienze, dovreste saperlo anche voi. Il particolare pericolo di questa sostanza sembra però costituito dal fatto che si tratta di un gas, e che può quindi venire somministrata senza il consenso della vittima. Inoltre sembra così potente che basta una sola dose per dare assuefazione. Immaginate che grave pericolo pubblico potrebbe diventare.» E Ken non aveva avuto difficoltà a immaginarselo.

«Sono d’accordo» aveva risposto. «Anzi, mi stupisco che non ci abbiano già contagiati tutti. Basterebbe immetterla nel sistema di condizionamento d’aria di un edificio… o a bordo di una nave. Un atto del genere potrebbe creare in un colpo solo centinaia di potenziali clienti per le persone che hanno in mano lo spaccio della droga, chiunque esse siano. Perché il suo commercio non si è mai esteso?»

Rade aveva sorriso per la prima volta dall’inizio del colloquio.

«Anche in questo caso» aveva risposto «i motivi sembrano essere due. Ci sono difficoltà di produzione, ammesso che ci sia un briciolo di verità nelle voci, d’altronde molto vaghe, che riusciamo a raccogliere; e la droga non resiste a normale temperatura. Occorre conservarla in un refrigeratore a temperature bassissime; quando viene portata alla temperatura ambiente si decompone in pochi istanti. Credo che il principio attivo sia in realtà uno dei prodotti della decomposizione termica, ma nessuno di noi ha mai avuto a disposizione un campione della droga per accertarsene.»

«Ma la questione» aveva chiesto Ken «in che modo mi riguarda? Se non avete nessun campione, io non posso analizzarla. Anzi, probabilmente non potrei analizzarla neppure se ne avessi uno, perché sono un insegnante, e non un chimico di laboratorio. Cos’altro posso fare?»

«È proprio perché siete un insegnante: una sorta di esperto tuttofare di questioni scientifiche, pur non essendo uno specialista in nessun campo particolare. Per questo pensiamo che ci possiate aiutare. Come vi ho detto prima, pare che i trafficanti di droga abbiano dei problemi di produzione.

«Non c’è dubbio che i produttori vorrebbero aumentare la quantità di droga che hanno a disposizione. E non c’è dubbio che gli piacerebbe avere a portata di mano un buon direttore di produzione. Sapete benissimo anche voi, come lo so io, che non riuscirebbero mai ad averlo; nessuna persona a quel livello potrebbe prendere segretamente parte ad attività illegali del genere. Ogni buon direttore di produzione è occupatissimo col suo lavoro, dalla scoperta di Velio in poi, e per noi, in qualsiasi caso, sarebbe facile risalire a chiunque accettasse un’occupazione illegale del genere.

«Voi, invece, siete una persona relativamente poco appariscente; siete in vacanza, e lo sarete ancora per un anno; nessuno si accorgerà della vostra assenza… almeno, così la penseranno i misteriosi trafficanti, secondo noi. È per questo che abbiamo adottato tante precauzioni nel preparare questo incontro.»

«Ma voi dovete farmi conoscere in qualche modo» gli aveva fatto notare Ken «altrimenti i trafficanti non verranno mai a sapere della mia esistenza.»

«La cosa è fattibile… anzi, abbiamo già cominciato a farla. Spero che ci perdonerete questa nostra iniziativa; ma l’impegno è molto importante. Negli ambienti di coloro che hanno dei conti in sospeso con la giustizia si è già diffusa la voce che siete stato voi a fabbricare la bomba che ha distrutto l’impianto di Storni. Possiamo darvi un’invidiabile reputazione in questo senso…»

«Reputazione che in futuro mi impedirà di procurarmi un lavoro onesto, per tutto il resto della mia vita.»

«Reputazione che non giungerà mai a conoscenza dei vostri attuali datori di lavoro, né di altre persone rispettabili, a eccezione delle forze di polizia.»

Ken non aveva ancora capito bene il motivo che lo aveva spinto ad accettare. Forse perché il mestiere di poliziotto conservava ancora un po di fascino, almeno per il suo subcosciente, anche se al giorno d’oggi consisteva soprattutto in un lavoro di laboratorio. La missione che gli aveva proposto Rade sembrava un’eccezione… ma lo era veramente? Come Rade si aspettava, lui era stato contattato da qualcuno: un individuo di pochissime parole, che gli aveva detto di agire per conto di una società commerciale. L’intesa pareva molto semplice: lui doveva mettere a disposizione dei suoi misteriosi datori di lavoro le proprie conoscenze scientifiche. Forse si sarebbero limitati a piazzarlo in un laboratorio, a dargli tutti i dati di un problema di produzione, e a chiedergli di risolverlo. In questo caso si sarebbe trovato presto disoccupato, e sarebbe stato fortunato se fosse potuto ritornare da Rade per comunicargli il suo insuccesso.

Infatti, fino a quel momento non aveva ancora saputo niente. Lo stesso capo della squadra narcotici aveva ammesso che i suoi uomini non conoscevano nessuno che fosse sicuramente collegato con l’organizzazione dei trafficanti, ed era possibile che lui fosse stato assunto da gente relativamente pulita… rispetto ai veri spacciatori, naturalmente. A quanto ne poteva sapere Ken in quel momento, l’ipotesi non era affatto da escludere. Lo avevano imbarcato a bordo della Karella, nello spazioporto dell’Isola del Nord, e per i successivi ventidue giorni non aveva più visto niente.

Sapeva, naturalmente, che la droga veniva da un altro pianeta. Rade era sceso nei particolari fino a dirgli che la diffusione della droga, agli inizi del fenomeno, era stata arrestata grazie al controllo di tutti gli impianti di refrigerazione che giungevano sul pianeta. Ma non aveva immaginato che potesse giungere addirittura dall’esterno del sistema planetario sarriano, finché non aveva pensato che ventidue giorni erano un viaggio molto lungo… ammesso e non concesso che l’astronave avesse sempre viaggiato in linea retta.

Ma di sicuro il mondo che in quel momento si poteva scorgere dal boccaporto non sembrava in grado di produrre alcunché. Soltanto una sottile striscia, a forma di falce, della sua superficie era visibile, giacché si trovava quasi esattamente tra la nave e un sole straordinariamente pallido. La parte rimanente, in ombra, della sfera cancellava dal cielo la Via Lattea, e dalle caratteristiche dei bordi si capiva che il pianeta era completamente privo di atmosfera. Era montagnoso, inospitale, freddissimo. Ken lo intuiva dall’aspetto del sole: quell’astro era talmente debole che lo si poteva fissare direttamente, senza bisogno di proteggersi gli occhi: appariva rossiccio e come raggrinzito. Qualsiasi mondo che si trovasse appena un po lontano da quel sole non poteva che essere freddo.

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