Hal Clement - Luce di stelle

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Luce di stelle: краткое содержание, описание и аннотация

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Chi non ricorda il pianeta Mesklin e i suoi straordinari abitanti, costretti a vivere in condizioni di gravità proibitive per gli esseri umani? Gli eroi meskliniti di Hal Clement tornano in questo romanzo, in sé pefettamente autonomo, che è di fatto il secondo capitolo della saga iniziata con
(
), tenuto a battesimo in Italia proprio sulle pagine di URANIA. Ancora una volta la pazienza, il coraggio e le straordinarie caratteristiche fisiche dei meskliniti permetteranno loro di avere ragione di un mondo in cui la forza di gravità è così schiacciante da rappresentare da sola il più terribile e immediato dei pericoli. Senza contare le numerose incognite di questa nuova e inedita missione nello spazio, scritta da un maestro della tecnologica…

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— Quale?

— Se gli umani fossero convinti che noi non riusciremo mai a inviare i soccorsi in tempo è possibile, specialmente se i tre Hoffman insistono, che decidano di intervenire direttamente.

— Ma cosa possono fare? L’oggetto volante che chiamano navetta può atterrare solo qui alla colonia perché nessuno lo comanda. Serve solo per portarci via in caso di emergenza e i comandi sono automatici… non è possibile sorvolare la superficie controllandolo dalla stazione spaziale: con sessanta e più secondi di intervallo, la navetta precipiterebbe al primo errore. Escluderei anche che qualcuno possa guidarlo personalmente. Tutto è predisposto per salvare noi, con la nostra atmosfera, temperatura e pressione; d’altro canto, non va dimenticato che il debole scheletro umano non resisterebbe più di dieci secondi su Dhrawn per via della gravità troppo elevata.

— Non sottostimiamo questi alieni, Bendivence. Forse non hanno dato prova finora di grande ingegnosità ma i loro antenati hanno dovuto inventare e costruire dal nulla tutto quello che vediamo e molto altro ancora. Non ne parlerei se sapessi che esistono delle concrete possibilità di arrivare a salvare i due timonieri in tempo, ma così facendo non mettiamo in pericolo la loro vita più di quanto non lo sia già. Io penso che l’idea migliore sia aspettare che gli umani decidano di andarli a salvare per conto loro e in ogni caso se succede non saremo obbligati a rinunciare a tutto.

— La morale di tutto questo — disse Beetchermarlf a Takoorch — è che dobbiamo sia cercare le infiltrazioni sia pompare il veleno fuori dalle vasche per convincere tutti che vale la pena di salvare la Kwembly. Certo il modo migliore sarebbe riuscire a tirarci fuori di qui da soli, anche se dubito molto che sia possibile. Comunque, sarà la salvezza del ricognitore l’elemento decisivo delle discussioni. La tua vita e la mia non significano nulla per gli umani, tranne che per Benj che non ha grande peso nelle decisioni. Ma se la Kwembly rimane attiva, cioè se riusciamo a salvare le colture e a ricavarne aria e cibo, se evitiamo di rimanere intossicati dall’ossigeno a nostra volta e se compiamo dei progressi sufficienti nell’individuazione e riparazione delle infiltrazioni, allora forse si convinceranno che vale la pena di inviare una missione di soccorso. Se poi non lo facessero, potremo comunque sopravvivere a lungo per conto nostro. Se però riuscissimo a tirar fuori la Kwembly da qui e a proseguire la marcia, il comandante ci darebbe senz’altro un premio.

— Pensi sia possibile riuscirci?

— Noi due siamo i più difficili da convincere — replicò il marinaio più giovane. — Convincere il resto del mondo sarà molto più facile.

— La morale di tutto questo — disse Benj a suo padre — è che non vogliamo rischiare la navetta per due sole vite, anche se si trova qui proprio per quello.

— Spiacente ma entrambe le conclusioni sono sbagliate — rispose Ib Hoffman. — La navetta fa parte di una procedura di emergenza ben specifica, pianificata per scattare se l’intero progetto si fosse dimostrato impossibile, e serve per evacuare la colonia con urgenza. Questa possibilità è sempre presente: la maggior parte del materiale non è stata provata in anticipo per ovvie ragioni e nulla sappiamo della resistenza di cui darà prova qui. Per esempio, il trucco di compensare la pressione nei ricognitori e nelle tute spaziali con quella esterna usando argon è nato dall’esperienza ma non eravamo affatto certi che l’argon fosse del tutto innocuo per i mescliniti. L’argon è un gas inerte secondo gli standard normali, ma lo è anche lo xenon che ha effetti anestetici sugli esseri umani. Gli organismi viventi sono semplicemente troppo complessi per pretendere di sapere tutto in via sperimentale, anche se il metabolismo dei mescliniti è molto più semplice del nostro. Ecco perché sopportano una gamma di temperature molto più ampia.

“Ma il discorso è che la navetta è programmata per atterrare guidata da un trasmettitore in un certo punto vicino alla colonia. Non è possibile farla atterrare da altre parti su Dhrawn. Certo è possibile guidarla a distanza, ma non a questa distanza.

“Risponderai che volendo si potrebbe modificare il programma del computer di bordo per permetterle di atterrare dolcemente su un’altra superficie, supponiamo una distesa rocciosa pianeggiante. Ma questo dovrebbe avvenire tramite comando a distanza o tramite il computer di bordo? Ricorda che la navetta impiega motori a protoni, ha una massa di quindici tonnellate e deve atterrare molto, molto dolcemente in quaranta gravità, anche perché i reattori sono diffusi per evitare la formazione di crateri” concluse Ib. Benj lo guardava pensieroso.

— Perché non possiamo avvicinarci alla superficie del pianeta, in modo da ridurre l’intervallo di trasmissione? — domandò dopo alcuni minuti di silenzio. Ib lo guardò sorpreso.

— Lo sai benissimo il perché, o Perlomeno dovresti. Dhrawn ha una massa pari a tremilasettecentoquarantuno volte la Terra e impiega poco più di millecinquecento ore per compiere una rotazione completa. L’unica orbita sincrona in grado di mantenere la nostra posizione costantemente sull’equatore si trova pertanto a dieci milioni di chilometri dalla superficie del pianeta. Se per esempio stazionassimo a centocinquanta chilometri dal pianeta ci muoveremmo a più di novanta chilometri al secondo e compiremmo il giro di Dhrawn in qualcosa tipo quarantacinque minuti. Qualsiasi area della superficie rimarrebbe visibile ai nostri strumenti per non più di due o tre minuti e dato che il pianeta ha un’area complessiva pari a ottantasette volte quella terrestre, quante stazioni orbitali credi siano necessarie per controllare anche solo un atterraggio?

Benj rispose con un gesto di impazienza.

— Conosco benissimo tutto questo, ma abbiamo già un gran numero di stazioni a poche centinaia di chilometri da Dhrawn: i satelliti artificiali. Persino io so che sono dotati di apparecchiatura ricetrasmittente, dato che sono in collegamento costante con i computer qui alla stazione e in ogni momento la metà di essi deve trovarsi sulla faccia nascosta di Dhrawn. Perché non possiamo usare uno dei satelliti per controllare l’atterraggio della navetta? L’intervallo di trasmissione dalla minima orbita sicura non dovrebbe superare il secondo o due. — Perché… — cominciò Ib, che però non terminò la risposta. Rimase in silenzio per più di due minuti. Benj si guardò bene dall’interromperlo: sapeva che quando il padre faceva così aveva colpito nel segno.

— La trasmissione neutrinica di dati dal satellite dedicato al controllo della navetta si interromperebbe per parecchi minuti — disse finalmente Ib.

— Quanti anni sono che questi dati vengono raccolti per niente? — ribatté pronto Benj. Il ragazzo non appariva mai sarcastico con i genitori, ma i suoi sentimenti stavano di nuovo scaldandosi. Suo padre annui silenziosamente, concedendo questo punto al figlio, e continuò a pensare.

Trascorsero almeno cinque minuti, anche se Benj avrebbe giurato che erano molti di più, prima che Hoffman padre si alzasse all’improvviso dalla sedia.

— Vieni con me, Benj. Hai perfettamente ragione. Funzionerà per un semplice atterraggio su terreno pianeggiante e per un altrettanto semplice ritorno in orbita e questo basta. Per sorvolare la superficie e atterrare nuovamente anche un semplice secondo di intervallo è troppo, ma ne faremo a meno.

— Certo! — rispose Benj entusiasta. — Tornare in orbita, prendere fiato, aggiustare la rotta e scendere nuovamente al punto di atterraggio programmato alla colonia.

— Questo funzionerebbe, ma non farne menzione. Intanto se la cosa divenisse un’abitudine si verificherebbe veramente un’interruzione del travaso di dati dai satelliti; a parte questo, debbo dirti che ho cercato fin da quando mi sono unito al progetto di trovare una scusa plausibile, e ora che l’ho trovata ho intenzione di usarla.

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