Hal Clement - Luce di stelle

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Chi non ricorda il pianeta Mesklin e i suoi straordinari abitanti, costretti a vivere in condizioni di gravità proibitive per gli esseri umani? Gli eroi meskliniti di Hal Clement tornano in questo romanzo, in sé pefettamente autonomo, che è di fatto il secondo capitolo della saga iniziata con
(
), tenuto a battesimo in Italia proprio sulle pagine di URANIA. Ancora una volta la pazienza, il coraggio e le straordinarie caratteristiche fisiche dei meskliniti permetteranno loro di avere ragione di un mondo in cui la forza di gravità è così schiacciante da rappresentare da sola il più terribile e immediato dei pericoli. Senza contare le numerose incognite di questa nuova e inedita missione nello spazio, scritta da un maestro della tecnologica…

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Di tanto in tanto, mentre passavano le ore, chiunque si trovasse al timone cominciava a provare un’insidiosa sicurezza dovuta alla mancanza di pericoli; dopotutto avevano percorso decine di chilometri senza dover mai cambiare direzione tranne che per mantenere una certa distanza dalle anse del fiume. Un essere umano avrebbe aumentato a poco a poco la velocità. La reazione dei mescliniti invece era fermarsi e riposare. Anche Takoorch sapeva che quando provava l’impulso di andare contro le leggi elementari del buon senso doveva fare qualcosa per se stesso. E così quando Aucoin notò che il ricognitore non avanzava più pensò dapprima che si trattasse di una delle solite fermate di routine, per poi avvicinarsi allo schermo e vedere Takoorch disteso pigramente sul ponte. La telecamera era stata sistemata nella sua vecchia posizione, con l’obbiettivo puntato verso il timone e la grande vetrata. Il responsabile del progetto domandò il motivo di quella fermata inaspettata e Takoorch replicò che l’aveva decisa perché gli stavano venendo strane idee. Aucoin uscì dal salone con un’espressione enigmatica sul volto.

In ogni caso questa fermata tornò decisamente utile, o perlomeno così sembrò.

Da un po’ di tempo ormai le lingue di roccia si facevano più frequenti, divenendo più piccole, più vicine e più spigolose. Gli scienziati discutevano tra loro con un certo accanimento, futile in effetti con le poche informazioni disponibili sulla composizione del sottosuolo, ma di fatto lo strato superficiale di sedimenti compressi si assottigliava. Tutti sospettavano che ben presto la Kwembly avrebbe cominciato ad avanzare sulla stessa nuda roccia che formava il substrato del campo di Dondragmer.

Quando la marcia riprese fu necessario prestare maggiore attenzione per evitare le lingue di roccia e l’andatura si fece più frazionata. Molte volte in quell’ultima ora gli scienziati insistettero per far fermare la Kwembly e raccogliere campioni di terreno anche se le rocce erano troppo grandi. Aucoin rispose però che sarebbe passato un anno o due prima che quei campioni arrivassero alla stazione spaziale e rifiutò. Gli scienziati risposero che un anno era sempre meglio di niente, cioè il risultato di quella politica.

Ma dopo un po’ la Kwembly si fermò nuovamente per iniziativa di Beetchermarlf. Il motivo però non sembrava troppo consistente: il terreno davanti a loro appariva un po’ più scuro, con un confine netto tra la superficie su cui poggiavano e quella appena poco oltre. La differenza non risultava particolarmente visibile dagli schermi ma i due mescliniti la notarono immediatamente e, senza neppure parlarsi, concordarono che la faccenda andava esaminata con attenzione. Beetchermarlf avvisò gli umani e il suo capitano che contavano di uscire per vedere da vicino. Easy, che tradusse il messaggio, fu letteralmente supplicata dagli scienziati affinché chiedesse a Dondragmer di far raccogliere dei campioni. Alla fine si disse che Aucoin non poteva obiettare nulla viste le circostanze e dichiarò che l’avrebbe chiesto non appena ristabilito il contatto per la conferma finale.

Stavolta il capitano approvò l’idea di uscire, limitandosi a suggerire di esplorare prima i dintorni manovrando i fanali sul ponte. Questo si provò utile. Cento metri più avanti, al limite della portata dei fanali, un piccolo torrente attraversava la loro strada per gettarsi poi nel fiume.

Muovendo il fanale a tribordo fu possibile vedere che questo affluente girava attorno alla Kwembly proveniente da nord per poi cambiare improvvisamente direzione in qualche punto a poppa dello scafo e sparire verso nordest. La Kwembly si trovava su una penisola larga circa duecento metri e non molto lunga delimitata a est, a sinistra, dal grande fiume che stava risalendo e sugli altri lati dal piccolo affluente. Subito sembrò evidente, sia agli umani che ai mescliniti, che il cambiamento nel colore del suolo che aveva catturato l’attenzione dei timonieri fosse dovuto all’umidità assorbita dal terreno, ma nessuno si sentì tanto sicuro di questa ipotesi da proporre di cancellare la ricognizione esterna. Aucoin non era presente.

Fuori, anche con l’aiuto di più luci, la linea di demarcazione risultò meno visibile. La responsabilità andava attribuita a un effetto ottico, giudicò Beetchermarlf. I due grattarono via un po’ di terriccio da una parte e dall’altra della linea e avanzarono per raggiungere il torrente stesso. Questi non si dimostrò altro che un fiumiciattolo poco profondo largo quattro o cinque lunghezze corporee al massimo, con una corrente abbastanza forte ma certamente non in grado di impensierirli che ne aveva scavato il letto per una decina di centimetri. Dopo un breve consulto i due mescliniti cominciarono a seguirlo allontanandosi dal fiume. Non avevano modo di conoscere la composizione di quel liquido, ma ne prelevarono un campione per eventuali analisi future.

Procedendo verso il punto in cui il torrente curvava i due si accorsero che doveva essere di recente formazione. La corrente scavava ancora con facilità nelle morbide sponde, trascinandone i sedimenti nel fiume. Quando si trovarono sulla punta della penisola Beetchermarlf ebbe l’occasione di sperimentare di persona la scarsa consistenza di quelle sponde: la terra d’un tratto gli mancò sotto le zampe e il mesclinita si ritrovò in acqua.

Non era più profonda di pochi centimetri, e quindi approfittò dell’occasione per prelevarne un altro campione. I due decisero di risalire il corso d’acqua per altri dieci minuti, Beetchermarlf nell’acqua e Takoorch sulla riva. Ma pochi minuti dopo trovarono la sorgente del ruscello. Si trovava a poco più di mezzo chilometro dalla Kwembly e l’acqua, proveniente dal sottosuolo, zampillava violentemente formando un piccolo bacino. Beetchermarlf vi entrò per raggiungerne il centro ma quando fu a pochi metri l’impeto del getto d’acqua lo travolse trascinandolo per qualche secondo.

Non c’era altro da fare. Non avevano portato la telecamera» anche perché nessuno aveva insistito affinché la portassero, e prelevare altri campioni non sembrava di nessuna utilità. Decisero quindi di ritornare alla Kwembly per descrivere verbalmente quello che avevano visto.

Anche gli scienziati concordarono che la cosa migliore da farsi era far pervenire il più velocemente possibile i campioni alla colonia mesclinita, dove gli scienziati di Borndender avrebbero potuto analizzarli a dovere. I due timonieri si prepararono per ripartire con la Kwembly.

Il ricognitore si avvicinò al corso d’acqua per entrarvi senza indugio. Il materasso pneumatico assorbì facilmente l’urto dei pochi centimetri di sponda e le ruote penetrarono nel fondo melmoso del torrente. Sul ponte nessuno avvertì nulla di speciale.

Non per altri otto secondi.

Lo scafo si trovava ormai nel mezzo del corso d’acqua quando la differenza tra fondo solido e fondo liquido cominciò a svanire. Sul ponte, i due mescliniti avvertirono un vago rollio mentre gli umani videro l’immagine vibrare all’improvviso.

Poi la spinta in avanti cessò del tutto quasi istantaneamente, anche se le ruote giravano ancora; ma difficilmente potevano esercitare forza completamente immerse nel fango colloso subentrato all’improvviso alla superficie solida. Impossibile sia l’appoggio che la trazione. Le ruote della Kwembly sprofondarono completamente nel fango; poi fu la volta del materasso pneumatico; poi il fango salì fino a raggiungere quasi la linea di galleggiamento. La Kwembly avrebbe tranquillamente galleggiato, ma purtroppo s’inclinò incagliandosi in due punti: uno a poppa appena oltre il materasso pneumatico, l’altro a tribordo vicino al portello principale. Vi fu un forte rumore di fasciame sfondato mentre il veicolo sobbalzava in avanti inclinandosi a tribordo, poi più nulla.

E stavolta l’odorato di Beetchermarlf lo avvisò senza dubbio di un pericolo. Lo scafo aveva ceduto da qualche parte. All’interno filtrava ossigeno.

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