Hal Clement - Luce di stelle

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Chi non ricorda il pianeta Mesklin e i suoi straordinari abitanti, costretti a vivere in condizioni di gravità proibitive per gli esseri umani? Gli eroi meskliniti di Hal Clement tornano in questo romanzo, in sé pefettamente autonomo, che è di fatto il secondo capitolo della saga iniziata con
(
), tenuto a battesimo in Italia proprio sulle pagine di URANIA. Ancora una volta la pazienza, il coraggio e le straordinarie caratteristiche fisiche dei meskliniti permetteranno loro di avere ragione di un mondo in cui la forza di gravità è così schiacciante da rappresentare da sola il più terribile e immediato dei pericoli. Senza contare le numerose incognite di questa nuova e inedita missione nello spazio, scritta da un maestro della tecnologica…

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Passarono altri lunghi minuti prima che Benj tornasse con la sua informazione, e casualmente con un certo seguito di scienziati molto interessati agli ultimi avvenimenti.

— Capitano — disse. — La Kwembly si sta ancora muovendo ma non molto velocemente: qualcosa come venti cavi l’ora. L’abbiamo localizzata sei minuti fa a quattrocentonovantasette chilometri, cioè a più di duecentotrentatremila cavi di distanza da voi. La cifra potrebbe variare se la differenza di altitudine è cospicua, non siamo riusciti a stabilire la lunghezza complessiva del fiume, nonostante le venti e più letture satellitari prese da quando vi siete incagliati la prima volta, però abbiamo tracciato una mappa approssimativa.

— Grazie — rispose dopo un po’ Dondragmer. — Siete riusciti a stabilire un contatto con i due che si trovano a bordo?

— Non ancora, ma sappiamo che sono riusciti a entrare. Sicuramente troveranno l’apparato trasmittente sul ponte molto presto, anche se immagino che cercheranno prima in altri posti. Tra l’altro l’aria nelle loro tute spaziali deve essere quasi terminata.

Questo corrispondeva perfettamente alla realtà. I due timonieri non impiegarono più di pochi minuti ad accertarsi che la Kwembly era deserta e che la maggior parte delle colture idroponiche mancava. Questo li obbligò a pensare a un modo per assicurarsi che l’atmosfera a bordo non recasse traccia di contaminazione da ossigeno. Nessuno dei due possedeva sufficienti nozioni di chimica di base, o delle procedure seguite da Borndender, da sviluppare un test. I due stavano valutando l’opportunità alquanto drastica di aprirlo togliendosi l’elmetto quando Beetchermarlf pensò che una telecamera doveva senz’altro trovarsi a bordo, lasciata di proposito per scopi scientifici. Forse gli umani potevano aiutarli. Ma in laboratorio non videro nulla; l’unico altro posto dove poteva logicamente trovarsi era il ponte. La voce di Beetchermarlf si levò verso la stazione spaziale non più tardi di dieci minuti dopo il loro ritorno a bordo.

Benj rimandò i convenevoli quando sentì la richiesta di Beetchermarlf e avvisò immediatamente Dondragmer. Il capitano chiamò i suoi scienziati e spiegò loro la situazione, e per la mezz’ora successiva il canale radio rimase sempre occupato. Borndender spiegava una cosa e Beetchermarlf la ripeteva, poi scendeva in laboratorio per controllare il materiale e l’equipaggiamento tornando infine sul ponte per chiedere qualche chiarimento.

Finalmente tutte e due le parti ritennero che le spiegazioni fossero sufficienti. Dalla sua posizione in cima alla piramide Benj ne era certo. Conosceva abbastanza chimica di base da escludere un’esplosione in caso Beetchermarlf avesse pasticciato un po’. La sua sola preoccupazione era che i due timonieri potessero effettuare il test in modo errato, mancando così di notare percentuali di ossigeno per loro pericolose. In tal caso rischiavano solo di avvelenarsi o la miscela di ossigeno e idrogeno presentava altri rischi? Non lo sapeva, ma ricordava che le miscele di ossigeno e idrogeno erano variabili quanto quelle di acqua e ammoniaca.

Benj attese con una certa tensione che Beetchermarlf ritornasse sul ponte per riferire i risultati delle analisi. Il catalizzatore che eliminava l’ossigeno accelerandone la reazione con l’ammoniaca era ancora attivo e la concentrazione di vapori d’ammoniaca nell’aria era sufficiente a fornirgli qualcosa su cui lavorare. I due timonieri si erano già sfilati la tuta spaziale senza sentire il minimo odore di ossigeno, anche se come per gli umani l’acqua, l’odorato non rappresentava sempre una prova affidabile.

Perlomeno i due potevano vivere a bordo senza problemi per un po’. Una delle prime mansioni che svolsero a bordo fu pompare nelle vasche rimaste tutto l’idrogeno disponibile, che attraversò il liquido contenuto sul fondo con una colonna di bollicine, assicurandosi contemporaneamente che i cespugli fruttiferi non avessero subito danni. Ma il problema più importante rimaneva come uscire dal lago.

Benj riferì al suo amico tutto quello che poteva riguardo la loro posizione, quella della base provvisoria in cui l’equipaggio aveva trovato rifugio, la velocità e la direzione presa dalla Kwembly. Ma queste informazioni in effetti non costituivano problema. Beetchermarlf poteva determinare con facilità la direzione in cui venivano sospinti. Le stelle erano perfettamente visibili e la bussola funzionava. Di fatto il campo magnetico di Dhrawn era molto più forte di quello della Terra, gettando nella costernazione gli scienziati che avevano sempre dato per scontata una correlazione tra il campo magnetico e la velocità di rotazione dei pianeti.

La discussione, che diede origine a un dettagliato piano, fu molto più breve di quella che precedette il test sull’ossigeno, anche se si rese di nuovo necessario un lungo ponte radio. Ma né Dondragmer né i due timonieri nutrivano dubbi su cosa si dovesse fare e come farlo.

Beetchermarlf era molto più giovane di Takoorch ma sembravano non sussistere dubbi su chi comandava tra i due. Il fatto che Benj chiamasse Beetchermarlf sempre per nome e si rivolgesse solo a lui contribuì indirettamente ad affermare la sua autorità. Easy e qualcun altro sospettarono che nonostante facesse di tutto per parlare delle sue peripezie passate, Takoorch preferisse lasciare a qualcun altro l’onere della responsabilità. In ogni caso concordava sempre con i suggerimenti di Beetchermarlf, se non proprio subito almeno dopo qualche discussione.

— Veniamo ancora portati a valle dalla corrente e se non ci fermiamo presto finiremo troppo lontani per tentare qualcosa — concluse alla fine il giovane mesclinita. — L’unica cosa da fare è sistemare delle pale su qualcuna delle ruote collegate a un motore. Inutile tentare di installarle su tutte: ci vorrebbe troppo tempo. Basteranno un paio di serie di ruote a prua, meglio se ai lati, e una nel mezzo per dare controllo, azionando contemporaneamente gli altri motori dovremmo guadagnare abbastanza spinta da raggiungere la sponda in breve tempo. Takoorch e io abbiamo deciso di uscire adesso; tenete d’occhio la situazione il meglio possibile. Lasceremo il prendimmagini dove si trova.

Beetchermarlf non attese la risposta. Lui e il suo compagno indossarono le tute e afferrarono le pale progettate per agganciarsi ad apposite scanalature sulla circonferenza esterna del cerchione. Le pale erano state provate su Mesklin, ma nessuno le aveva ancora utilizzate su Dhrawn e quindi nessuno sapeva quanto fossero affidabili. La superficie di aggancio non era eccessiva per via del gioco ridotto al centro delle ruote, occupato in parte da un meccanismo in plastica che serviva a inclinare progressivamente le pale a seconda della direzione da prendere e della spinta da esercitare. In ogni caso stando alle prove il sistema funzionava; ora bisognava solo vedere quanto. Il pescaggio della Kwembly era molto inferiore su quella soluzione di acqua e ammoniaca che non sull’idrocarburo degli oceani di Mesklin si cui era stata provata.

L’installazione del meccanismo e delle pale fu un lungo e faticoso lavoro per entrambi. Le pale andavano installate una alla volta e con cura per non perderle nel fiume; le funi di sicurezza finivano sempre per impacciarli al momento buono; e le chele dei mescliniti si dimostravano talvolta meno efficaci delle mani umane, anche se l’handicap veniva compensato dal fatto che i mescliniti potevano usarle tutte e quattro in perfetta sincronia dato che la loro struttura corporea non conosceva l’asimmetria corrispondente alla divisione in destra e sinistra degli umani.

Il bisogno di luce artificiale rappresentava un’altra seccatura. Alla fine occorsero più di quindici ore per sistemare dodici pale e un meccanismo inclinante su ogni ruota delle tre serie prescelte per l’operazione. Beetchermarlf spiegò a Benj che non ne occorrevano più di due per lo stesso lavoro con quattro marinai per serie.

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