E adesso, inaspettatamente, le speranze risorgevano. Non solo la Kwembly era intatta, ma i suoi timonieri si trovavano a bordo. Si poteva senz’altro fare qualcosa, se…
— Benj — disse Dondragrner quando i suoi pensieri raggiunsero questo punto. — Vorrebbe provare a riunire i tecnici per determinare con tutta la precisione possibile a quale distanza da noi si trova la Kwembly adesso? Beetchermarlf e Takoorch possono certamente condurre la Kwembly da soli, anche se avranno molti problemi che rallenteranno la loro marcia. In ogni caso dovrebbero riuscirci. Certo è importantissimo scoprire se la distanza consiste in cinquanta chilometri o cinquemila. Dubito però che siano molto lontani perché la corrente non è molto forte e sono passate solo dodici ore. In ogni caso chieda agli scienziati di lavorarci sopra e riferisca a Barlennan quanto è successo.
Benj obbedì in modo veloce ed efficiente. Non si sentiva più stanco, preoccupato e pieno di risentimento. Dopo l’abbandono della Kwembly dodici ore prima aveva perso ogni speranza di vedere di nuovo sano e salvo il suo amico mesclinita e aveva raggiunto la sua cabina per una dormita agognata da molto tempo. Non che fosse molto convinto di riuscire a chiudere occhio, ma alla fine la chimica corporea vinse la partita e Benj crollò in un sonno profondo. Nove ore dopo si era presentato al lavoro da McDevitt in laboratorio e solo il fato aveva fatto sì che si trovasse nel salone delle comunicazioni quando i due emersero dall’acqua. McDevitt lo aveva inviato di sotto a raccogliere i dati arrivati con l’ultimo rapporto degli altri ricognitori, in quanto il meteorologo dipendeva sempre più dalla sua conoscenza dello stennita per le comunicazioni dirette con gli equipaggi, e Benj non aveva potuto evitare di aggirarsi per qualche minuto vicino alla consolle della Kwembly.
La dormita e la scoperta che Beetchermarlf dopotutto era vivo lo aiutarono a superare il sentimento di rivalsa che provava nei confronti di Dondragmer. Confermò al capitano di aver ricevuto la sua richiesta, chiamò sua madre per farsi sostituire davanti agli schermi e si diresse al livello superiore, dove si trovavano i laboratori, con tutta la velocità consentita dai suoi muscoli nella gravità della stazione spaziale.
Easy, anche lei riposata grazie a qualche ora di sonno, riferì della partenza di Benj e annunciò che prendeva il suo posto. Poi chiamò Barlennan e gli ripetè l’ordine dato da Dondragmer, per tornare poi con l’attenzione al capitano mesclinita con l’intenzione di porre una domanda per conto suo.
— Abbiamo trovato i suoi due timonieri e ne sono felice, ma pensa che esistano ancora speranze per i due piloti?
Per quanto cercasse di pesare le parole, Dondragmer quasi si tradì. Certamente sapeva dove si trovava Reffel, grazie allo scambio di messaggi occorso tra il campo e il dirigibile, ma Kervenser sembrava sparito nel nulla. La sua scomparsa era assolutamente veritiera e Dondragmer ora considerava le sue possibilità di sopravvivenza addirittura inferiori a quelle dei due timonieri un’ora prima. Chiaramente menzionare questo a Easy non comportava alcun problema, ma il suo errore consistette nel dimenticare completamente di menzionare Reffel: i pronomi personali “lui” e “loro” in stennita erano diversi quanto nella lingua degli umani, ma Dondragmer si sorprese parecchie volte a usare il primo quando invece parlava di più soggetti. Easy sembrò non farci caso, ma il dubbio per Dondragmer rimase.
— Difficile a dirsi — rispose Dondragmer. — Non vi sono loro tracce ormai da molte ore e se hanno dovuto effettuare un atterraggio di emergenza sull’altro lato della valle non vedo come possano raggiungerci adesso. La circostanza è doppiamente sfortunata perché con un volatore a disposizione avremmo forse potuto trasferire altri marinai sulla Kwembly e riportarla indietro più facilmente. Naturalmente sarebbe impossibile usare i volatori per il trasporto del materiale, ma la differenza non è tutta qui: se saltasse fuori che per qualsiasi motivo è impossibile riportare qui la Kwembly, un volatore farebbe una differenza enorme per i due rimasti intrappolati a bordo. Peccato che i vostri scienziati non riescano a localizzare la trasmittente che Reffel portava con sé come invece possono fare per quella sul ricognitore; ci avrebbe aiutato molto.
— Lei non è l’unico a rammaricarsi per questo — concordò Easy. La faccenda era saltata fuori poco dopo la scomparsa di Reffel. — Non conosco a sufficienza il funzionamento delle telecamere da sapere perché la potenza del segnale dipende in senso stretto dalla chiarezza dell’immagine; ho sempre pensato a un’onda portante come a una costante nello spazio, ma si direbbe che sbagliavo. Quindi, o la telecamera di Reffel si trova in un ambiente completamente buio oppure è andata distrutta. Ma vedo che avete quasi terminato di sistemare le vasche di biorigenerazione.
L’ultima frase non rappresentava per Easy un tentativo di chiudere l’argomento: era la prima volta che riusciva a osservare da vicino l’installazione del sistema e provava una genuina curiosità a riguardo. Consisteva di parecchie vasche quadrate e trasparenti, forse un centinaio, che coprivano una superficie pari a circa cento metri quadrati. Un terzo del volume della vasca era riempito di liquido, in costante movimento per le colonne di bolle generate dall’emissione di idrogeno quasi puro che costituiva l’atmosfera di Mesklin. Un generatore forniva l’energia necessaria al funzionamento delle lampade speciali che davano luce alle colture, mentre le pompe per il ricircolo del gas venivano azionate a mano. Il manto vegetale che ossidava gli idrocarburi saturi prodotti dal ciclo respiratorio dei mescliniti emettendo in cambio idrogeno puro era composto soprattutto di organismi unicellulari assomigliante per quanto si trattasse di un paragone improprio, ad alcune specie di alghe terrestri. Il criterio della scelta si basava sulla loro commestibilità anche se il gusto lasciava molto a desiderare, o almeno così sapeva Easy. Ma qualcosa era rimasto sul ricognitore: le grosse vasche idroponiche che contenevano i cespugli fruttiferi, troppo voluminose per venir trasportate sui lati della valle.
Easy non sapeva come avvenisse la rimozione e l’inserimento di oggetti nelle serre, ma poté assistere alla saturazione delle cariche necessarie per respirare nelle tute spaziali. Di nuovo, la forza manuale giocava una parte importante per pompare l’idrogeno in grossi recipienti contenenti un certo numero di blocchi di un materiale poroso. Anche questo non era di fattura mesclinita: si trattava di materiale assorbente, con una struttura molecolare vagamente simile a quella della zeolite e in grado di assorbire l’idrogeno nei suoi canali strutturali e rilasciarlo mantenendo una pressione parziale equilibrata anche in una vasta gamma di temperature.
Dondragmer rispose all’osservazione di Easy: — Già, ma abbiamo cibo e aria a malapena. Il vero problema è cosa fare adesso. Abbiamo salvato molto poco dell’equipaggiamento necessario per gli studi, e quindi non possiamo continuare il nostro lavoro. Potremmo tornare alla colonia a piedi, ma questo significherebbe dover mettere in piedi un campo a poche centinaia di cavi da qui, trasferirvi tutto l’equipaggiamento, aspettare che le vasche ricomincino a produrre idrogeno, saturare le cariche e ripartire per ricominciare da capo alcune centinaia di cavi dopo. Dato che distiamo dalla colonia più di trentamila… pardon, più di quindicimila dei vostri chilometri ci impiegheremo anni per arrivare fin là. E questa non è una metafora, né sto parlando dei vostri anni. Se vogliamo continuare a far parte del progetto dobbiamo riportare qui la Kwembly.
Easy poté solo dichiararsi d’accordo, anche se pensava a un’alternativa che il capitano non aveva menzionato. Naturalmente Aucoin non sarebbe mai stato d’accordo; ma forse, viste le circostanze, il suo umore poteva diventare più malleabile. Dopotutto l’equipaggio di un ricognitore, preparato ed esperto com’era, rappresentava un investimento cospicuo; forse era questa la linea migliore da seguire.
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