Questo dava ai mescliniti la confortante impressione di non aver nulla sopra la testa, consentendo a tutti di vedere le stelle senza alcun impedimento. Nessun nativo di Mesklin avrebbe sopportato a lungo l’idea che qualcosa potesse cadergli in testa. Persino gli scienziati levavano ogni tanto lo sguardo verso l’alto, provando qualche sollievo alla vista di stelle che non erano neppure quelle del loro pianeta. Tra l’altro il sole di Mesklin, che gli umani chiamavano 61 Cigni, era in quel momento visibile sull’orizzonte.
Barlennan poi procedeva sempre guardando il soffitto piuttosto che davanti a sé. Spesso gli altri lo prendevano blandamente in giro per questa sua piccola fobia, e lui si giustificava affermando di agire così per vedere la stazione orbitale umana, le cui luci raggiungevano sulla superficie di Dhrawn la magnitudine di una stella mediamente luminosa. Il suo passaggio regolare sulla colonia mesclinita rappresentava forse il miglior orologio a lungo termine che Barlennan e i suoi possedessero: infatti, non appena il satellite veniva avvistato gli addetti ai buffi orologi a pendolo mescliniti si precipitavano a sincronizzarli uno per uno, in quanto difficilmente due di quelle pendole indicavano la stessa ora per più di novanta minuti.
Le stelle e il sole di Mesklin sparirono dalla vista quando i tre entrarono in sala radio, sicuramente bene illuminata. Guzmeen vide Barlennan e subito riferì che non erano arrivati altri messaggi.
— Che rapporti le sono giunti da Dondragmer dal momento in cui la Kwembly si è arenata al momento in cui la pozza è gelata e i due piloti sono stati dati per dispersi? Mi riferisco alle ultime centotrenta ore: quando è scomparso esattamente il primo volatore? — domandò Barlennan.
— Posso dirlo solo vagamente, signore. Gli umani ci hanno comunicato il blocco della Kwembly senza specificare il momento in cui è successo. Ho dato per scontato che la notizia fosse fresca e quindi non ho domandato. Le due sparizioni sono state segnalate abbastanza vicine una all’altra: forse a un’ora di distanza.
— Capisco. Ma quando la notizia della seconda sparizione è arrivata, non si è chiesto come mai venivamo messi al corrente dei due incidenti quasi contemporaneamente anche se per forza doveva esser passato del tempo tra il primo e il secondo?
— Sì signore. Ho cominciato a domandare spiegazioni circa un quarto d’ora fa, quando abbiamo ricevuto l’ultimo messaggio. Ma le risposte sono state evasive, e così ho pensato bene di lasciare che parli lei con gli umani.
Bendivence si intromise nella conversazione. — Non crede che Dondragmer abbia mancato di informare gli umani della prima sparizione perché dovuta a un suo errore? Forse sperava di poter riferire sia la sparizione che il ritrovamento del pilota.
Barlennan lo osservò con aria interrogativa, ma non perse tempo ad approfondire l’argomento.
— No, non credo. Dondragmer e io la pensiamo in modo diverso su molte cose, ma sono certo che non ignorerebbe mai gli ordini in questo modo.
— Anche se un rapporto immediato non facesse alcuna differenza? Dopotutto nessuno può aiutarlo e le decisioni spettano solo a lui.
— Anche così.
— Non vedo però perché dovrebbe…
— Io sì. Mi creda sulla parola; non ho tempo per delle spiegazioni dettagliate e dubito di riuscire a convincerla comunque. Se Dondragmer ha omesso di informare noi e gli umani immediatamente, aveva le sue buone ragioni. Ma io sono convinto che non è stata colpa sua. Guzmeen, quale umano le ha inviato il rapporto? Per caso era sempre lo stesso?
— No signore. Non riconosco tutte le loro voci e spesso gli umani tralasciano di identificarsi. Ultimamente, circa la metà dei messaggi arriva nella loro lingua e l’altra metà proviene dagli umani chiamati Hoffman. Vi sono altri due che parlano la nostra lingua, ma solo gli Hoffman sembrano in grado di farlo senza sforzi. Il giovane Hoffman, in particolare, sembra conoscere bene il nostro gergo: penso che abbia parlato spesso con i marinai della Kwembly e immagino che se Dondragmer e i suoi abbiano trovato il tempo di fare della conversazione non possa esser successo nulla di veramente grave a bordo.
— Può darsi. In ogni caso adesso vedremo, perché ho intenzione di scambiare quattro chiacchiere con gli umani — dichiarò Barlennan, sistemandosi davanti al monitor e attivando sia lo schermo sia la radio. L’addetto alle comunicazioni che occupava quel posto si scostò di lato senza attendere l’ordine del comandante. Lo schermo era ancora vuoto. Barlennan pigiò pigramente il tasto di chiamata e attese con pazienza che trascorresse il minuto necessario per stabilire il contatto. Poteva cominciare a parlare subito, dato che logicamente chiunque si trovasse di servizio alla consolle dedicata alla colonia mesclinita avrebbe preferito evitare di perdere tempo attivando anche lo schermo, ma Barlennan voleva vedere in faccia l’umano con cui doveva parlare. Se il ritardo con cui arrivavano le comunicazioni doveva diventare sospetto, meglio vedere sempre in faccia gli eventuali interlocutori.
Il volto che comparve sullo schermo gli risultò del tutto sconosciuto.
La sua mente faticava ancora parecchio ad acquisire concetti quali la rassomiglianza tra genitori e figli, nonostante i dieci lunghi anni mescliniti trascorsi con gli umani. Nessun umano avrebbe mancato di notare la forte somiglianza tra Easy e suo figlio, ma Barlennan non aveva avuto contatti con famiglie umane e quindi era completamente privo di esempi a cui far riferimento. Su Mesklin erano atterrati meno di venti uomini in quel periodo, e nessuna donna. Guzmeen riconobbe il ragazzo, ma lo stesso Benj gli evitò la fatica di introdurlo a Barlennan.
— Qui parla Benj Hoffman — disse l’immagine. — Nessun altro messaggio è arrivato dalla Kwembly da quando mia madre vi ha chiamato circa venti minuti fa. Al momento qui al salone non vi sono né scienziati, né ingegneri per rispondere adeguatamente ma se avete qualche domanda tecnica farò in modo di chiamarne uno. Se però mi chiedete solo un resoconto di quanto è successo a Dondragmer penso di potervi rispondere, perché sono rimasto quasi sempre in questa stanza nelle ultime sette ore. Attendo risposta.
— Voglio porvi due domande. A una lei può probabilmente rispondere, all’altra no. La prima riguarda il secondo pilota scomparso. Mi sono chiesto a che distanza si trovava il volatore dalla Kwembly quando le comunicazioni si sono interrotte. Se non conosce la distanza può dirmi per quanto tempo il pilota è rimasto in volo?
“La seconda è una domanda tecnica, come lei dice, e non so se saprà rispondere. Avete la possibilità di vedere la luce di un volatore dalla stazione spaziale? Immagino che a occhio nudo sia impossibile anche per voi, ma dovreste avere alla stazione degli strumenti ottici di cui conosco poco e probabilmente molti di cui non ho mai sentito parlare.” L’immagine di Benj annuì sollevando un dito quando Barlennan terminò di parlare, ma rimase in attesa circa un minuto per eventuali altre domande.
Alla prima domanda posso rispondere io, e il signor Cavanaugh è uscito in questo momento in cerca di qualcuno che possa rispondere alla seconda. Kervenser iniziò il suo volo di ricognizione circa undici ore fa. Nessuno si accorse di nulla fino a otto ore dopo, quando tutto venne fuori insieme: Kervenser era sparito e la Kwembly prigioniera in una pozza gelata con Beetchermarlf e Takoorch imprigionati nel ghiaccio. Nessuno sa dove sono, ma visto che erano usciti per lavorare sotto lo scafo, è logico supporre che si trovino ancora lì sotto impossibilitati a uscire. Poi uno dei marinai, Reffel, è stato inviato alla ricerca di Kervenser con l’altro elicottero e una telecamera. Per un po’ è rimasto vicino alla Kwembly, ma poi noi gli abbiamo suggerito di spostarsi più lontano, dove la luce di un incidente non potesse esser vista dal ponte. Poi è iniziata una discussione tecnica con il capitano Dondragmer sul modo migliore per liberarsi dal ghiaccio e nessuno ha più seguito lo schermo di Reffel. Finalmente, parecchi minuti dopo qualcuno ha notato che lo schermo di Reffel non trasmetteva più nulla… non era bianco come quando manca il segnale, ma vuoto come se non ricevesse più luce.
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