Hal Clement - Luce di stelle

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Chi non ricorda il pianeta Mesklin e i suoi straordinari abitanti, costretti a vivere in condizioni di gravità proibitive per gli esseri umani? Gli eroi meskliniti di Hal Clement tornano in questo romanzo, in sé pefettamente autonomo, che è di fatto il secondo capitolo della saga iniziata con
(
), tenuto a battesimo in Italia proprio sulle pagine di URANIA. Ancora una volta la pazienza, il coraggio e le straordinarie caratteristiche fisiche dei meskliniti permetteranno loro di avere ragione di un mondo in cui la forza di gravità è così schiacciante da rappresentare da sola il più terribile e immediato dei pericoli. Senza contare le numerose incognite di questa nuova e inedita missione nello spazio, scritta da un maestro della tecnologica…

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Benj trasmise a Dondragmer le poche informazioni disponibili, poi pensò bene di porre al mesclinita una domanda scontata.

— Perché Reffel sta cercando così metodicamente tanto vicino a voi? Kervenser non era fuori dal campo visivo della Kwembly quando è scomparso?

La risposta sollevò per un attimo Benj dalla sensazione di inutilità che l’opprimeva.

— Sì, Benj, ma ci è sembrato più ragionevole prendere la Kwembly come riferimento e procedere con una ricerca per settori, anche perché in questo modo possiamo fornire ai vostri scienziati alcune informazioni che ci hanno richiesto. Se possono aspettare, dica pure a Reffel di spostarsi qualche chilometro più a ovest fino a quando non vedrà più le luci del nostro ponte e di ricominciare l’esplorazione da lì con lo stesso ordine concordato tra noi.

— Subito, capitano! — rispose Benj. La conversazione si era svolta in stennita e quindi nessuno dei presenti aveva capito molto. Benj non si scomodò neppure a chiedere la loro approvazione e contattò subito Reffel riferendo l’ordine del suo capitano. Il pilota comprese la parlata di Benj senza difficoltà e subito accelerò per portarsi fuori dalla visuale della Kwembly.

— E adesso come facciamo con la nostra mappa? — brontolò un cartografo.

— Be’, ha sentito anche lei il capitano — si giustificò Benj.

— Ho sentito qualcosa, in effetti, ma non ci ho capito niente perché altrimenti avrei obiettato subito. Ma ormai è troppo tardi, immagino. Perché non gli chiede se al ritorno vuole ordinare al pilota di esplorare l’area che ora ha saltato?

— Va bene. Lo chiedo subito — replicò il ragazzo lanciando un’occhiata imbarazzata alla madre. Easy aveva assunto un’espressione distaccata e impenetrabile, che però Benj conosceva fin troppo bene. Per sua fortuna, il cartografo lasciò il salone borbottando a bassa voce e Benj poté concentrarsi nuovamente sullo schermo di Reffel prima che la madre perdesse completamente il controllo. Anche altri tra i presenti avevano compreso la conversazione tra lui e Dondragmer, e compivano ogni sforzo per fargli giungere le loro occhiate di disapprovazione. Per qualche motivo, a tutti procurava un intimo piacere mettere sulla graticola il malcapitato di turno. Ma Benj li ignorò completamente: a lui interessava solo la salvezza di Beetchermarlf.

Le assicurazioni di Dondragmer sull’assenza di pericolo immediato anche in caso di esaurimento delle scorte di idrogeno lo avevano tranquillizzato, ma l’idea che Beetchermarlf si trovasse prigioniero in un blocco di ghiaccio lo infastidiva non poco. Anche se il ghiaccio si formava più lentamente sotto la Kwembly, alla fine si sarebbe formato comunque; anzi, forse era già successo. Possibile che non si potesse far nulla?

Il calore scioglie il ghiaccio, e calore equivale a energia. La Kwembly era dotata di tanta energia da poter vincere l’attrazione gravitazionale di Dhrawn ma purtroppo non era possibile usarla a quello scopo. Ma il veicolo non possedeva un sistema di riscaldamento che fosse possibile smontare e utilizzare all’esterno?

No. I mescliniti non avevano bisogno di riscaldamento su Dhrawn. Persino nelle zone superficiali prive del calore proveniente dall’interno il sole manteneva la temperatura sui dieci gradi assoluti. E le zone di prossima esplorazione, come per esempio Alfa Inferiore, erano per loro troppo calde piuttosto che fredde. Infatti i generatori a fusione servivano anche ad alimentare un impianto di condizionamento, per quel che ne sapeva lui mai utilizzato dopo le prove. Si pensava potesse tornare utile per l’esplorazione della parte centrale di Alfa Inferiore, programmata per il successivo anno terrestre e forse anche più tardi. Il destino della Esket aveva infatti obbligato a modificare molti piani.

Ma un condizionatore era una pompa di calore. Persino Benj lo sapeva e, almeno in teoria, la maggior parte delle pompe era reversibile. Questo impianto doveva possedere verso l’esterno della Kwembly una sezione ad alta temperatura per smorzare il calore. Ma dove si trovava? Era possibile rimuoverla? Dondragmer doveva saperlo. Ma non ci aveva magari già pensato? Forse no. Dondragmer era tutt’altro che stupido, ma non ragionava secondo parametri umani. Qualsiasi cosa avesse imparato da adulto durante i corsi tenuti su Mesklin, si poteva scommettere che un simile concetto non faceva parte di quel bagaglio culturale che la maggior parte degli esseri intelligenti definiva “senso comune”.

Benj annuì all’apparente impeccabilità di quel pensiero, passò un altro secondo o due ripetendosi che qualsiasi cosa, anche la più stupida, poteva contribuire a salvare la vita del suo amico e si sporse in avanti facendo scattare la levetta del microfono.

Stavolta nessuno assunse un’aria divertita alle sue parole. Nessuno di loro conosceva abbastanza bene la struttura della Kwembly da poter rispondere alla sua domanda sulla pompa di calore, ma gli ingegneri presenti provarono un certo imbarazzo per non averci pensato prima. Tutti attesero la risposta di Dondragmer con la stessa impazienza che mostrava Benj.

— Il sistema di condizionamento è uno dei vostri arnesi elettronici a stato solido che nessuno di noi ha la pretesa di conoscere in dettaglio — disse il capitano dopo un’attesa che parve lunghissima. Parlava la sua lingua, con gran seccatura di molti dei presenti. — Non lo abbiamo mai usato dopo la prova di funzionamento. Il clima talvolta è stato caldo, ma mai insopportabile. Non è difficile darne una descrizione: una serie di piastre metalliche che tappezzano le pareti di una piccola stanza che si raffredda quando viene data corrente. C’è poi questa sbarra metallica che forma un circuito e passa per i due lati dello scafo in prossimità del soffitto. Inizia vicino a poppa, prosegue per circa mezza lunghezza corporea verso il portello principale, poi attraversa per circa quattro lunghezze corporee il ponte e torna verso il punto da cui è partita correndo sul lato opposto per tornare nello scafo in prossimità del suo ingresso. Ecco, passa attraverso lo scafo sia in ingresso che in uscita, una delle poche cose che fa. Suppongo che quella debba essere la barra di condizionamento. Capisco, come lei immagina che faccia, che deve esistere una sezione di sistema rivolta verso l’esterno, ma noi non ce ne siamo mai accorti. Sfortunatamente dovrebbe trovarsi troppo lontana dal ghiaccio per scioglierlo anche se potesse produrre calore invece di freddo, cosa di cui personalmente dubito. Lei dice che dovrebbe risultare possibile dando elettricità, ma non credo di gradire l’idea di fare a pezzi lo scafo per una semplice prova.

— Non vorrei il vostro sistema di condizionamento ne risultasse compromesso… potreste anche non riuscire più a metterlo a posto — concordò Benj. — Comunque, forse non è poi così difficile. Mi consenta di cercare un ingegnere che conosce il sistema. Ho un’idea. La chiamo più tardi — disse, e scivolò fuori dalla poltroncina correndo fuori senza aspettare la risposta di Dondragmer.

Nel momento stesso in cui la porta si chiuse qualcuno tra i presenti chiese a Easy di sintetizzare la conversazione, cosa che lei fu ben felice di fare. Quando Benj tornò con un ingegnere, anche gli addetti alle altre consolle si avvicinarono dopo aver inserito l’automatico. Molti rivolsero al cielo una silente preghiera quando saltò fuori che l’ingegnere non parlava lo stennita e che il ragazzo gli avrebbe fatto da traduttore, ma nessuno sollevò obiezioni. I due sedettero sulle poltroncine davanti agli schermi e Benj ripassò mentalmente tutto il suo stennita cercando di concentrarsi al massimo prima di attivare i due microfoni.

— Debbo dire al capitano che la maggior parte delle staffe di sostegno della barra di condizionamento sono connesse alle pareti solo in superficie, e che quindi possono venir rimosse senza danneggiare lo scafo. Dopo aver svitato tutte le viti, basterà far forza sul retro della staffa. Per rimettere tutto a posto bisognerà usare del cemento, ma l’equipaggiamento di emergenza lo prevede e quindi si trova a bordo. I punti dove la barra penetra nella parete dovranno venir tagliati. La lega metallica non è molto dura e con i seghetti da metallo ne verranno a capo. Una volta staccata, la barra può venir usata per produrre calore semplicemente connettendola in qualche modo a una delle prese di corrente o ai generatori. Debbo dire anche al capitano che non c’è pericolo di corto circuito perché i generatori sono studiati per prevenirlo. Va bene, ingegner Katimi?

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