Hal Clement - Luce di stelle

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Chi non ricorda il pianeta Mesklin e i suoi straordinari abitanti, costretti a vivere in condizioni di gravità proibitive per gli esseri umani? Gli eroi meskliniti di Hal Clement tornano in questo romanzo, in sé pefettamente autonomo, che è di fatto il secondo capitolo della saga iniziata con
(
), tenuto a battesimo in Italia proprio sulle pagine di URANIA. Ancora una volta la pazienza, il coraggio e le straordinarie caratteristiche fisiche dei meskliniti permetteranno loro di avere ragione di un mondo in cui la forza di gravità è così schiacciante da rappresentare da sola il più terribile e immediato dei pericoli. Senza contare le numerose incognite di questa nuova e inedita missione nello spazio, scritta da un maestro della tecnologica…

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Di nuovo, i due mescliniti agirono con la massima tempestività e in perfetto concerto. Beetchermarlf disattivò il motore mentre scendeva dalle ruote su cui stava appollaiato dirigendosi verso la parete di ghiaccio. Takoorch raggiunse il punto dove veniva convogliata l’acqua calda prima di lui solo perché era partito da terra. Entrambi estrassero i coltelli e non appena furono a tiro cominciarono a menar fendenti contro la superficie gelata. Sapevano di esser vicini alla riva. Mancava probabilmente meno di una lunghezza corporea, perlomeno in senso orizzontale. Forse, prima che l’acqua ricominciasse a gelare era possibile uscire a forza di muscoli.

Il coltello di Takoorch si ruppe nel primo minuto di lavoro. Molti psicologi e ricercatori umani avrebbero trovato interessante il suo modo schietto di commentare la cosa anche se nessuno, neppure Easy Hoffman, possedeva un dizionario adeguato. Beetchermarlf lo zittì con un suggerimento.

— Torna vicino alle ruote e muoviti quanto più puoi per ricircolare l’acqua fredda che viene dal ghiaccio e mischiarla all’acqua calda che staziona qui dentro. Io continuerò a lavorare col coltello.

Il timoniere anziano obbedì. Passarono alcuni minuti in cui l’unico rumore fu quello del coltello che penetrava la barriera di ghiaccio.

Questa continuava a sciogliersi, ma ora cominciava sensibilmente a rallentare. Il calore dell’acqua si disperdeva fin troppo rapidamente. Anche se loro non lo sapevano, il ghiaccio aveva risparmiato la loro nicchia semplicemente perché la massa della Kwembly sopra e le pareti di ghiaccio a fianco impedivano all’ammoniaca di sfuggire nell’atmosfera. I fisici, siano essi stati umani o mescliniti, avevano azzeccato in pieno la situazione con le loro analisi, anche se in quel momento le analisi non servivano a Dondragmer e non servivano a loro due. Il congelamento sotto la Kwembly era dovuto più all’ammoniaca che lentamente riusciva a filtrare nel ghiaccio che al naturale estendersi dei lucenti cristalli.

Ma anche conoscendo questo, il loro capitano non avrebbe potuto fare nulla per loro due. Naturalmente se l’informazione fosse arrivata prima avrebbe potuto salvare capra e cavoli spostando la Kwembly sulla riva del fiume, ma purtroppo era arrivata non come previsione ma come analisi ispirata dai fatti.

Tra l’altro, anche se Beetchermarlf avesse saputo tutto questo in anticipo non sarebbe stato in grado di considerarne appieno le conseguenze. Ma ora era troppo occupato. La lama del suo coltello lampeggiava fugace alla luce della torcia elettrica mentre si abbassava per tornare a colpire con rapidità prodigiosa. La sua mente si preoccupava solo di cavare il massimo dall’utensile senza correre il rischio di romperlo.

Ma anche quel coltello si ruppe. Non ne discusse mai la ragione, dopo. Sapeva però che la sua avanzata nella parete di ghiaccio stava rallentando. Dentro di sé sentì salire una strana urgenza di staccare più ghiaccio possibile, e poi l’istinto di raspare piuttosto che colpire. Visto il suo carattere, Beetchermarlf non avrebbe mai ammesso di essere rimasto vittima di un attacco di panico irragionevole; d’altro canto, quello stesso carattere gli impedì di ricorrere alla classica scusa del coltello difettoso. Con più ci pensava, comunque, con più non riusciva a trovare altre spiegazioni che queste due. Qualsiasi fosse la ragione, il coltello che stringeva tra le robuste pinze della chela si ritrovò improvvisamente senza lama e le chele dei mescliniti erano utili per frantumare una parete di ghiaccio quanto le dita umane. Seccato al massimo per un mesclinita, gettò con stizza l’impugnatura del coltello a terra per scoprire che la presenza dell’acqua gli negava anche la soddisfazione di vederla rimbalzare sui ciottoli.

Takoorch afferrò immediatamente la situazione. Il suo commento sarebbe stato considerato cinico a dieci milioni di chilometri sopra la superficie di Dhrawn, ma Beetchermarlf lo prese per quello che valeva.

— Credi sia meglio congelare qui vicino alle pareti o nel mezzo della nicchia? Direi che tra le due posizioni corre solo mezz’ora di differenza.

— Non ne ho idea. Vicino a una parete ci troverebbero prima, naturalmente se i soccorsi arrivano e si fanno strada dalla parte giusta. Ma se non arrivano, non vedo che differenza possa fare. Mi piacerebbe sapere in anticipo che effetto fa ritrovarsi vivi in un blocco di ghiaccio.

— Be’, tra poco lo sapremo. Anzi, lo sapranno.

— Chi lo sa? Prova a pensare alla Esket.

— Cosa c’entra la Esket adesso? Noi sì che siamo veramente nei guai!

— Intendo dire che nessuno ha mai cercato di scoprire cosa è successo veramente.

— Già. Sai una cosa? Io torno al centro: voglio pensare, finché posso.

Beetchermarlf lo guardò sorpreso. — Cosa devi pensare? Siamo qui in trappola finché qualcuno non arriverà a tirarci fuori o il tempo si scalda abbastanza da scongelarci. Rassegniamoci.

— Non posso. E non voglio distendermi vicino a una parete. Non pensi che anche se i pneumatici sono a terra farli girare possa produrre un po’ di frizione, abbastanza per impedire all’acqua nel centro di…

— Se vuoi provare fai pure.

Non credo possa funzionare, neppure a pieni giri. Inoltre, non è possibile avvicinarsi alle ruote più di tanto. Takoorch, rassegnati: siamo sott’acqua, in una pozza e non nell’oceano, e quando gelerà noi rimarremo incapsulati nel ghiaccio. Non c’è nessun posto dove andare, nulla da… oh!

— Cosa?

— Fantastico! Hai ragione, Takoorch: non bisogna mai abbandonare la speranza. Seguimi!

Novanta secondi più tardi i due mescliniti, dopo aver faticato non poco per allargare i tagli lasciati dal coltello sulla gomma, riparavano al sicuro nella sezione di materasso pneumatico su cui si erano accaniti in precedenza, che si trovava sopra il pelo dell’acqua.

8

Un dito nella zuppa

Scartata come improbabile l’ipotesi che i due timonieri si trovassero proprio sotto lo scafo, Dondragmer ordinò agli scienziati di montare la trivella vicino al portello principale e di prelevare un campione di ghiaccio. Subito i ricercatori scoprirono che il ghiaccio arrivava sul fondo della pozza, perlomeno in quel punto. Rimaneva solo da sperare che così non fosse anche sotto lo scafo, dove il calore e l’ammoniaca presente nell’acqua non potevano disperdersi così rapidamente. Ma il capitano si oppose a eventuali perforazioni sotto lo scafo. Eppure, quella sembrava la zona più appropriata dove cercare. Dovevano trovarsi lì sotto, perché avevano un lavoro da compiere e non si capiva come potevano mancare di notare lo sviluppo del ghiaccio se si fossero trovati altrove.

Mettersi in contatto con loro sembrava proprio impossibile. Lo scafo in materia plastica della Kwembly trasmetteva i suoni, naturalmente, e forse bussare avrebbe risolto il problema se non ci fosse stato il materasso pneumatico. Proprio per non lasciare nulla di intentato, Dondragmer ordinò a un marinaio di scendere fino al livello inferiore e battere sul pavimento con un’asta ogni metro. Ma i risultati furono negativi, il che non significava nulla di particolare. Forse non rispondevano perché erano morti, ma forse non avevano mezzo di rispondere oppure il suono non passava.

Un altro gruppo lavorava all’esterno da un po’ di tempo, ma il capitano già sapeva che i progressi sarebbero stati lenti. Nonostante la forza fisica dei mescliniti, i risultati erano a dir poco scarsi. Pochi punzoni a guida manovrati da dei bruchi di mezzo metro di statura per nove chili di peso avrebbero impiegato una mezza eternità a liberare i settantacinque metri di circonferenza della Kwembly, e anche di più se dovevano ripulire accuratamente il ghiaccio tra le ruote e tra le funi di guida come sembrava probabile.

Per quanto riguardava la scomparsa di Kervenser, l’altro elicottero si era alzato nuovamente in volo sempre con Reffel ai comandi. La telecamera era a bordo e gli esseri umani esaminavano la zona attentamente quanto il pilota, imprecando insieme a lui per l’oscurità della notte di Dhrawn. Per rivedere la luce del sole bisognava attendere ancora più di seicento ore, e fino all’alba solo la fortuna poteva consentire loro di ritrovare l’elicottero disperso.

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