— Va bene, signore.
— Quanto è passato dal precedente rapporto di Dondragmer?
— Non molto, signore: credo meno di un’ora. Tutto viene segnato sulla tabella. Vuole che vada a controllare?
— No, non è molto urgente per adesso. Mi va bene un’ora. Della Kwembly sapevo però che si era arenata dopo esser stata portata a valle dalle correnti. Ho sempre pensato che tutto andasse bene, dato che Guzmeen non mi ha inviato altri rapporti. Quindi, suppongo che qualcuno abbia mancato di raccogliere una comunicazione degli umani, oppure che nessuno abbia chiesto informazioni più recenti.
— Non saprei, signore. Ho appena cominciato il servizio. Desidera che torni alla sala radio e mi informi su come sono andate le cose?
— No. Raggiungerò la sala radio tra poco. Dica a Guzmeen di non inviare messaggi per il momento e di aspettarmi. Se vi sono chiamate, le tenga in linea.
Il messaggero uscì e Barlennan rivolse nuovamente l’attenzione ai suoi scienziati.
— Talvolta mi chiedo perché abbiamo rifiutato la possibilità di comunicare direttamente tra noi. Mi sarebbe piaciuto sapere quanto ci ha messo Dondragmer a cacciarsi in tutti questi guai. Comunque, vorrei concludere il nostro discorso prima di recarmi in sala radio.
Bendivence rispose con l’equivalente di una grattatina alla testa. — Ormai siamo perfettamente in grado di collegare le varie sezioni della base con dei telefoni: basta un suo ordine. Qui al laboratorio abbiamo tutto il materiale necessario, ma bisogna vedere se desidera utilizzare il metallo in questo modo.
— Non so. Non ancora. Manteniamo le priorità già decise. Leggete qui: la Kwembly è intrappolata in una pozza gelata ed entrambi i suoi volatori sono scomparsi. Uno aveva a bordo un prendimmagini collegato con gli umani, e funzionava quando Reffel è sparito.
Deeslenver espresse il suo umore sibilando debolmente prima di prendere il foglio che gli porgeva Barlennan. Lo lesse in silenzio un paio di volte, poi lo passò a Bendivence.
— Lei crede che gli umani riescano a capire quello che è successo? — domandò Deeslenver. — Il messaggio dice che dapprima è scomparso Kervenser e successivamente il volatore inviato alla sua ricerca. Dice anche che all’improvviso lo schermo si è fatto bianco.
— Credo vi sia una sola ragione per questo — dichiarò Bendivence.
— Lo immaginavo — gli rispose il comandante. — La questione non è come mai le immagini sono sparite, ma perché è successo lì e in quel momento. Possiamo ragionevolmente credere che Reffel avesse sistemato il prendimmagini sul suo treppiede. Sarebbe stato opportuno scoprire il trucco per oscurare l’apparecchio prima che la Esket partisse in missione: avrebbe semplificato enormemente tutta l’operazione. Ora, supponiamo che Reffel si sia imbattuto in qualcosa che riguardava la faccenda della Esket: di cosa mai si può trattare? La Kwembly si trova a cinque, sei milioni di cavi dal punto dove l’equipaggio della Esket è scomparso. Immagino che uno dei dirigibili possa percorrere una simile distanza in poco tempo, ma per quale motivo?
— Non lo sapremo mai, finché dal campo di Destigmet non giunge qualche notizia — rispose pratico Bendivence. — Quello che invece vorrei scoprire è perché nessuno ci ha informato prima della scomparsa di Kervenser. Come mai c’è stato il tempo di organizzare una missione di soccorso senza che noi ne sapessimo niente se non quando anche questa è scomparsa? Forse Dondragmer non ha inviato subito il suo rapporto agli umani.
— Non credo proprio — replicò Barlennan — e forse la colpa di questo ritardo non si deve agli umani. Controllerò io in sala radio. Forse Guzmeen non ha ritenuto opportuno inviare un messaggero per una notizia ancora da verificare. Controllerò, ma credo proprio che non vi sia nulla di strano in questo ritardo nel ricevere le informazioni.
“Comunque — continuò Barlennan — mi sono spesso domandato se gli umani ci trasmettono le informazioni dai vari equipaggi subito e in modo completo. Qualche volta ho avuto l’impressione che… be’, la trasmissione delle notizie subisse un piccolo rinvio Per chissà quale scopo. Oh, potrebbe trattarsi solo di pigrizia e trascuratezza tutta umana, eppure…”
— Eppure qualcosa le dice che fanno in modo di farci conoscere solo parte della verità — intervenne Bendivence. — La metà dei ricognitori potrebbe essere scomparsa a nostra totale insaputa se gli umani avessero deciso di censurare la notizia. Forse temono che troppe difficoltà ci spingano ad abbandonare l’esplorazione domandando di essere portati a casa, come del resto è previsto dal contratto.
— Possibile — ammise Barlennan. — Non ci avevo mai pensato in questi termini. L’ipotesi mi sembra alquanto improbabile, ma sarà bene controllare tutto molto più da vicino. Più che altro non vorrei che perdessero tempo a discutere ogni volta che un ricognitore finisce nei guai per decidere quello che ci possono dire.
— Crede davvero che questa ipotesi sia realistica? — domandò Deeslenver.
— Difficile a dirsi. Certo noi non siamo stati del tutto aperti con loro, naturalmente per delle ragioni che noi consideriamo ottime. Chi ci dice che non sia vero anche l’opposto? Sappiamo che molti umani sanno lavorare bene, e se non riusciamo a stare al loro livello è solo colpa nostra. Tutto quello che voglio sapere è se c’è qualcosa sotto o si tratta solo di disattenzione. Conosco un sistema per verificarlo, ma preferirei non usarlo. Se qualcuno ha qualche idea, è la benvenuta.
— Quale sarebbe questo sistema? — domandarono insieme entrambi gli scienziati, Deeslenver forse mezza sillaba prima.
— La Esket, naturalmente. È la sola situazione in cui possiamo verificare se quello che ci hanno raccontato è vero oppure no. Perlomeno, finora non sono riuscito a pensare a nient’altro. Naturalmente ci vorrà molto tempo. La prima partenza avverrà all’alba e mancano ancora milleduecento ore circa. Naturalmente potremmo inviare il Deedee anche di notte, ma…
— Se solo installassimo quel trasmettitore ottico che ho realizzato… — cominciò Deeslenver.
— Troppo rischioso. Potrebbero vederci. Non sappiamo quanto potenti siano gli strumenti umani. So che si trovano tutti alla stazione, a milioni di cavi di distanza, ma non so altro. Il modo casuale in cui ci hanno dato i prendimmagini per studiare il pianeta dovrebbe significare che non li considerano nulla di speciale, come del resto il fatto che li abbiano spiegati dodici anni fa su Mesklin, ma la luce è un’altra cosa. Nel bel mezzo della notte, il rischio che ci vedano è troppo grande. Ecco perché mi oppongo alla sua idea, Deeslenver; altrimenti non ho difficoltà ad ammettere che è ottima.
— Comunque non abbiamo abbastanza metallo per stabilire un contatto elettrico tanto lontano — chiarì Bendivence. — Ma non ho altre idee al momento. Però… adesso che ci penso forse esiste un modo semplicissimo di accertarsi quanto sensibili alla luce siano gli strumenti umani.
— E come? — chiese Barlennan con un tipico atteggiamento corporeo.
— Potremmo chiedere loro con innocenza se non hanno strumenti che riescono a seguire le luci dei volatori o le vibrazioni che emettono con il movimento.
Barlennan soppesò la cosa per un attimo.
— Buona idea! Ottimo. Allora facciamolo subito. Ma comunque, anche se la risposta è negativa non significa che dicano la verità. Meglio pensare anche a un’altra prova — concluse il comandante, conducendo i due fuori dalla stanza della mappa dove era avvenuta la discussione e imboccando il corridoio che portava alla sala radio. La maggior parte dei corridoi erano in penombra. Gli sponsor umani della missione non avevano lesinato i mezzi per produrre energia, ma Barlennan limitava la distribuzione al minimo. Solo le stanze erano bene illuminate.
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