«Un nuovo magazzino,» disse Taylor, riprendendo puntigliosamente le parole di Len, «E poi nuovi moli per servirlo, e nuovi alloggi per i mercanti, e presto ci vorrà un altro magazzino ancora, ed è in questo modo che nascono le città. Len, Dulinsky ti ha mai parlato di Bartorstown?»
Il cuore di Len, che aveva battuto così tumultuosamente per Amity, parve ora fermarsi per un’improvvisa paura. Rabbrividì e rispose quella che era la perfetta verità:
«No, signore. Mai.»
«Me l’ero chiesto diverse volte. Si comporta esattamente come potrebbe comportarsi un uomo di Bartorstown. È vero, però, che conosco Mike da quando eravamo ragazzi, e non ricordo nessuna influenza… no, penso proprio di no. Ma questo potrebbe non essere sufficiente a salvarlo, Len, né potrebbe essere sufficiente a salvare te.»
Len disse, lentamente:
«Credo di non capire, signore.»
«Tu ed Esaù siete forestieri. La gente è disposta ad accettarvi, finché non agirete in modo contrario alle loro usanze… ma se vi comporterete in maniera diversa, dovrete stare in guardia.» Appoggiò i gomiti sulla scrivania, e guardò negli occhi Len, nel vacillante lume della candela. «Tu non mi hai detto tutta la verità sul tuo conto.»
«Non ho detto nessuna bugia.»
«Questo non è sempre necessario. Comunque, posso indovinare ugualmente quello che non mi ha detto. Sei un ragazzo di campagna. Sarei pronto a scommettere che tu eri un Nuovo Mennonita. E sei scappato da casa. Perché?»
«Penso,» disse Len, scegliendo le parole con la stessa attenzione con cui un uomo che si trova sull’orlo di un pozzo fa attenzione ai suoi passi, «Che sia stato perché mio padre e io non riuscivamo a metterci d’accordo su quanto io potessi imparare, e come.»
«Fino a questo punto», disse Taylor, pensieroso. «E non oltre. È sempre stata una linea difficile da tracciare. Ogni setta deve decidere da sola, e, in un certo modo, anche ogni individuo deve farlo. Tu hai già trovato il tuo limite, Len?»
«Non ancora.»
«Trovalo,» disse Taylor, «Prima che tu vada troppo oltre.»
Rimasero seduti, in silenzio, per un lungo momento. La pioggia scendeva a torrenti, e un fulmine cadde così vicino che si udì un sibilo prima del tuono, e la casa tremò, come per un’esplosione.
«Capisci, Len, per quale motivo è stato approvato il Trentesimo Emendamento?» domandò Taylor.
«Perché non vi siano più città.»
«Sì, ma capisci il ragionamento sul quale si basa questa proibizione? Io sono stato allevato ed educato in una certa credenza, e pubblicamente non mi sogno di contraddirla, neppure in minima parte, ma qui, in privato, posso dire che non credo che Dio abbia fatto distruggere le città perché erano luoghi di peccato. Ho letto troppa storia per crederlo. Il nemico ha bombardato le grandi città chiave perché offrivano degli eccellenti bersagli, centri di popolazione, centri di produzione e distribuzione, senza i quali il paese sarebbe stato come un corpo con la testa mozzata. Ed è andata proprio così. Il sistema di alimentazione e di rifornimento, enormemente complicato, si è disintegrato, e le città che non erano state bombardate furono abbandonate per necessità, perché erano non solo pericolose, ma inutili, e tutti vennero costretti a ripiombare nelle leggi elementari della sopravvivenza, la prima delle quali era la ricerca del cibo.
«Gli uomini che fecero le nuove leggi erano decisi a impedire che una cosa simile si ripetesse. La popolazione era dispersa, in quel momento, ed essi intendevano mantenerla così, vicina alle fonti di sussistenza, eliminando la possibilità di creare nuovi, grossi obiettivi per qualsiasi potenziale nemico. Così approvarono il Trentesimo Emendamento. Fu una legge saggia. Era adatta al popolo, accontentava le sue esigenze, e provvedeva al suo bene. Il popolo aveva avuto di recente una lezione indimenticabile sul fatto che le città potevano trasformarsi in trappole di morte. La popolazione era enormemente ridotta, e il ricordo della Distruzione era così orribile, che nessuno poteva pensare che un orrore simile si ripetesse. Il popolo non voleva più le città, e gradualmente questa volontà diventò un articolo di fede. Il paese è stato sano e prospero, grazie al Trentesimo Emendamento, Len. Lascialo stare.»
«Forse avete ragione,» disse Len, fissando accigliato la candela. «Ma quando il signor Dulinsky dice che il paese ha ricominciato veramente a ingrandirsi, e non dovrebbe essere fermato da leggi sorpassate, credo che anche lui abbia ragione.»
«Non lasciarti ingannare da lui. Non si preoccupa del paese. È un uomo che possiede quattro magazzini, e ne vuole possedere cinque, ed è in collera perché la legge glielo proibisce.»
Il giudice si alzò in piedi.
«Dovrai decidere da solo ciò che è giusto. Ma desidero che una cosa ti sia chiara fin d’ora. Io devo pensare a mia figlia, e a mia moglie, e a me stesso. Se vorrai continuare con Dulinsky, dovrai lasciare la mia casa. Niente più passeggiate con Amity. Niente più libri. E ti avverto che, se sarò chiamato a giudicarti, ti giudicherò.»
Anche Len si alzò in piedi.
«Sì, signore,» disse.
Taylor gli posò una mano sulla spalla.
«Non essere sciocco, Len. Pensaci bene.»
«Ci penserò.»
Uscì dallo studio, sentendosi in collera e pieno di risentimento, e nello stesso tempo convinto che il giudice avesse detto delle cose sensate. Amity, il matrimonio, un posto sicuro nella comunità, un futuro, delle radici, niente più Dulinsky, e niente più dubbi. E niente più Bartorstown. Niente più sogni. Avrebbe smesso di cercare senza mai trovare.
Pensò al matrimonio con Amity, a quello che sarebbe stato. L’idea lo spaventava, come quando un puledro vedeva i finimenti per la prima volta, lo faceva sudare. Sicuramente, niente più sogni. Pensò a suo fratello James, che ormai doveva essere diventato padre di tanti piccoli Mennoniti, e si domandò se, in complesso, Refuge fosse poi molto diverso da Piper’s Run, e se Amity fosse un bene così prezioso, da giustificare tutta la strada che lui aveva percorso per raggiungerla. Amity, e Piatone, anche. Lui non aveva letto Piatone, a Piper’s Run, e ne aveva letto le opere a Refuge, ma anche Piatone non gli pareva l’intera risposta.
Niente più Bartorstown. Ma l’avrebbe mai trovata, comunque? Era tanto pazzo da pensare di cambiare una ragazza per una cosa che era, in fondo, solamente un fantasma?
Il corridoio era buio, ma veniva rischiarato dagli intermittenti, lividi bagliori dei fulmini. E ci fu un lampo intenso quando egli passò ai piedi delle scale, e in quel breve chiarore egli scorse Esaù e Amity nell’alcova triangolare del sottoscala. Erano stretti l’uno all’altra, ed Esaù baciava Amity appassionatamente, e Amity non protestava.
Era il pomeriggio del sabato. Erano in piedi, all’ombra del roseto, e Amity lo guardava incollerita.
«Non mi hai visto fare niente di simile, e se lo dirai a qualcuno, ti darò del bugiardo!»
«Non ho bisogno di dirlo a nessuno. Io so quello che ho visto, e lo sai anche tu,» le rispose Len.
La sua grossa treccia bionda ondeggiava, per i movimenti repentini della sua testa.
«Non sono promessa a te.»
«Ti piacerebbe esserlo, Amity?»
«Forse. Non lo so.»
«E allora, perché baciavi Esaù?»
«Be’, perché,» rispose lei, in tono ragionevole, «Come faccio a sapere quale dei due mi piace di più, se non provo prima?»
«Va bene,» disse Len. «Va bene, allora.» Tese le mani, e l’attirò a sé, e poiché ricordava in qual modo l’aveva stretta Esaù, fu piuttosto rude. Per la prima volta la strinse veramente con forza, e sentì com’era morbido e sodo il suo corpo, e come si curvava. Gli occhi di Amity erano vicini ai suoi, così vicini che diventavano solo di un colore azzurro senza forma, e si sentì stordito, e chiuse gli occhi, e trovò le sue labbra nel buio.
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