Sua madre la trascinò avanti. Non avevano niente da trasportare. Tutto ciò che possedevano era andato perduto. Anche Carlos. Se non era già morto, sarebbe sicuramente perito nell’incendio. Una parte di lei esultò, un’altra parte si sentì in colpa per quell’esultanza. Lei era stata l’occasione della sua morte. E, peggio ancora, ne aveva provato piacere.
Viaggiarono per mezzo chilometro verso sud-est, con il fuoco alle spalle. L’incendio era il più vasto che la bambina avesse mai visto e gli elicotteri sembravano incapaci di fronteggiarlo. Poi l’ondata di panico si abbatté sulla folla. Sua madre la sollevò e la portò in braccio per un certo tempo, ma lei era pesante e sua madre non era più abbastanza giovane e sana. Andarono a sbattere contro una barriera di rete metallica. La gente alle loro spalle cominciò a premere finché la barriera non cedette precipitandoli tutti in un canale di scolo. La bambina affondò nell’acqua lurida, e probabilmente sarebbe morta, come credeva di desiderare. Ma era come se fosse diventata due persone diverse. Il suo corpo lottò per risalire in superficie. Le sue gambe si agitarono nell’acqua e i suoi polmoni cercarono l’aria. Continuò a sguazzare, con il fuoco alle spalle. Nuotò alla maniera dei cani lungo il canale costeggiato di cemento e rete metallica, finché non riuscì a issarsi su un ponte mobile, per riprendere fiato.
Si guardò intorno per cercare sua madre, ma non la trovò.
Sua madre e Carlos. Erano morti entrambi.
Per colpa sua. Ovvio.
Anche l’incendio era colpa sua. Probabilmente era stata lei a evocarlo. Troppe volte aveva desiderato che qualche catastrofe cancellasse Carlos dalla faccia della terra e le permettesse di rimanere per sempre nel giardino beato dell’infanzia. E i desideri contano. «Pensaci bene prima di esprimere un desiderio» le diceva sempre sua madre. «Potrebbe avverarsi».
Sentiva in faccia un calore insopportabile e il rumore di centinaia di voci urlanti la stordiva. Si accorse che stava parlando da sola. — Se i desideri fossero cavalli - canticchiò a voce bassa, cantilenante, mentre si univa di nuovo alla folla. — I mendicanti sarebbero cavalieri.
Molte ginocchia la urtavano. Una donna le tirò i capelli per passarle davanti. Ma lei continuò ad avanzare, senza lasciarsi prendere dal panico. Se i desideri fossero cavalli, i mendicanti sarebbero cavalieri. Se i desideri fossero cavalli… Se i desideri…
Camminò finché non perse i sensi, nella colpevole certezza che sarebbe dovuta morire nell’incendio. In un certo senso morì davvero. Tutte le cose che aveva erano morte. Doveva morire anche lei, come Carlos. Come Mama. Si impose di morire. E morì, anche se il suo corpo la salvò dalla spaventosa calca di adulti terrorizzati. Le ore che seguirono si persero nel buio e nella confusione.
Si risvegliò in un campo della Croce Rossa, sulla terraferma, con il viso ustionato, i polmoni gonfi di liquido e una febbre che la divorava. Ma viva. Era una nuova creatura, ora, ignota e anestetizzata. Senza storia, senza nome e con un’unica certezza: non era una brava bambina e non lo sarebbe stata mai.
Teresa aveva visto tutto.
Ma la bambina non se n’era andata. La stessa bambina comparsa tante volte nei suoi sogni, che ora le stava davanti, con le scarpe da ginnastica e gli occhi sgranati. Non era più un ricordo, ma qualcosa di tangibile e di reale, un’entità separata. Si trovavano tutte e due in una specie di limbo, probabilmente all’interno della sua mente. Un luogo che la pietra aveva scoperto, dove la bambina aveva vissuto. E se è qui e può parlare , pensò Teresa, significa dunque che è ancora viva? Viva dentro di me?
— Tu sai chi sono — disse la bambina in tono solenne.
Lo sapeva, naturalmente. La bambina era lei. O forse qualcosa di più, una specie di fantasma. Il fantasma di ciò che lei era stata. Il fantasma di ciò che lei non era mai diventata.
Era possibile vedere, capire. Era possibile persino perdonare, pensò Teresa. La bambina non aveva fatto niente di male. Ma la visione era stata troppo vivida e sconvolgente, e l’idea di ritornare in quel guscio vuoto, di essere di nuovo, in un certo senso, quella bambina lacera…
— Eppure devi farlo — dichiarò la bambina. — Vedere non è abbastanza.
No. Impossibile. Troppe cicatrici, una vita intera costruita su quel rifiuto. Impossibile rivivere tutto quel tormento, riprendere sulle spalle Carlos, sua madre, l’incendio… Era terribile.
Il fuoco e il senso di colpa avevano fatto di lei ciò che era. Era Teresa, e Teresa non si poteva mettere da parte.
La bambina mosse qualche passo verso di lei. In realtà non era più una bambina, ma piuttosto l’immagine riflessa da uno specchio, l’immagine di una ragazza confusa e spaventata. — Non sono morta. Ho attraversato il fuoco e sono arrivata in terraferma. Tu hai tentato di uccidermi. Tu hai tentato di uccidermi con tutte quelle pillole. Ma non ci riuscirai.
Vai via , pensò lei, presa da un senso di vertigine.
— Mi sono nascosta per troppo tempo — continuò la bambina.
— Non era colpa tua — ribatté Teresa, con la forza della disperazione. — Ora lo so. Io…
Ma la bambina scrollò la testa. — Non è abbastanza!
Un brivido di panico. — E allora?
— Riportami indietro. — La bambina avanzò ancora. — Toccami. — Tese le sue piccole mani. — Sii me stessa.
Teresa lottò per trovare qualcosa da ribattere, ma non ci riuscì. Venne sollevata bruscamente, accecata da una luce improvvisa e terribile, e di colpo si trovò circondata dal fumo, dagli spari e dal fetore acre e pungente della paura.
Ray le mise le mani sulle spalle. Lei sbatté subito le palpebre, aprendo gli occhi senza vedere. La pietra dei sogni era ancora ben stretta tra le sue mani.
Il contatto fu elettrico e straordinario, molto più potente di quello che avevano già vissuto nella chiesa di Cuiaba. Keller si sentì perso.
Risentì l’odore della terra calda e granulosa di un campo di manioca vicino a Rondonia, e seppe che il ricordo sarebbe stato sgradevole.
Fino al momento dell’imboscata, Keller aveva ogni ragione per credere che il giro di ricognizione si sarebbe concluso nel migliore dei modi.
Lo dicevano tutti. Anche Meg. Il loco co aveva spiegato che i posseiros avevano diradato le azioni in previsione di un’offensiva nel popoloso ovest, nella stagione della siccità. I sensori nascosti lungo le piste di rifornimento dei guerriglieri registravano ormai da un mese una diminuzione dell’attività. Il plotone di Keller aveva compiuto un giro di ricognizione in cinque villaggi strategici in mano alle forze governative, in quella povera terra agricola squassata dalla violenza. L’unico segno di azione nemica era stata una trappola a correggiato inesplosa, armata con cavo mononucleare. La ruggine aveva corroso il grilletto facendolo aprire. La disinnescarono e continuarono la marcia.
Insieme all’ovvia sensazione di sollievo, Keller avvertì anche una strana fitta di delusione. Non che fosse ansioso di vedere da vicino un combattimento, dato che non era un ingenuo e nemmeno uno stupido. I feriti che arrivavano all’ospedale di Cuiaba erano stati uno spettacolo abbastanza eloquente, in grado di fargli capire il significato della morte e del dolore. E non era nemmeno ciò che gli psicologi dell’esercito definivano un "soggetto ipermotivato". Si trovava lì solo perché il suo nome era stato sorteggiato.
Ma non poteva fare a meno di ripensare a ciò che gli aveva detto Megan la sera prima, nella sua cuccetta. — Là fuori, Ray, è molto facile compiere azioni di cui non si può essere orgogliosi.
Era più di quanto gli avessero detto gli altri. — Là fuori. — Quelle erano state le parole di Megan. Come se fosse stato il nome di un posto. Là fuori. Un mistero. Nessuno ne parlava, ma era al centro della loro vita. Venivano addestrati per affrontarlo, continuavano a sognarlo. Keller si ricordava almeno venti volte al giorno che, almeno a quel proposito, lui era vergine. E così si ripeteva nella mente tutte le domande più ovvie, quelle che non avrebbe mai potuto formulare a voce alta. Sarò coraggioso? Soffrirò? Morirò?
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