Poi se ne andarono, scomparendo dal campo conoscitivo di Teresa.
Lei aveva già visto alcune di quelle immagini in precedenza, molto più confuse e caotiche, ma le erano sembrate solo visioni frammentarie, probabilmente per colpa di una pietra meno raffinata. Ora ne rimase affascinata. Le pietre, ne dedusse, erano magneti di conoscenza. Assorbivano e registravano ogni minima traccia di esperienza, anche a distanza, senza contatto diretto, automaticamente, in virtù di un meccanismo che andava al di là delle sue capacità di comprensione. La vita, pensò. Le pietre registravano e archiviavano lo scorrere della vita.
E così, contenevano anche il passato umano. Una Babele di lingue, di costumi, di battaglie, di nascite sanguinarie e di morti premature. Lei avrebbe potuto approfondire a volontà qualunque parte della storia umana, e l’idea le dava le vertigini. Avrebbe potuto vivere per un attimo accanto ad Aristotele o ad Hammurabi, o a uno qualunque dei milioni e milioni di uomini passati sulla Terra senza lasciare traccia. Ma non era il momento. L’avrebbe fatto più tardi. Ora le bastava sapere che erano tutti conservati lì dentro, che in qualche modo non erano morti. Per il momento preferiva mantenersi al di sopra di tutto, cogliere l’insieme, percepire l’umanità come una singola creatura, una voce unica, un fiume.
La contemplò per un tempo che le parve infinito, e avrebbe continuato a contemplarla, rapita, se non fosse stato per quella voce che la chiamava con insistenza.
Sono qui , diceva. Era fievole e lontana, ma terribilmente persistente. Sono qui da sempre.
La riportò giù. Lei gemette, spaventata.
Teresa si lasciò sfuggire un gemito. Keller si chinò su di lei, preoccupato.
— Non toccarla — lo ammonì Byron.
Ma lei tremava, rannicchiata in posizione fetale, con la pietra stretta contro di sé. Forse provava dolore, pensò Ray. Oppure il sogno era insopportabile.
— Lasciala stare — ripeté Byron. — Non puoi fare niente per lei.
— Sta soffrendo.
— Ne uscirà.
— Come lo sai? — Keller si accorse di essere prossimo al panico. Wu-nien , pensò. Ma la capacità di controllo l’aveva ormai abbandonato. — Non è come le altre volte. Questa è una pietra diversa.
— Sapeva quello che faceva.
Lei rabbrividì sul pavimento, con gli occhi ostinatamente chiusi. Sembrava persa, pensò Keller. Magari caduta negli abissi dell’inconscio. Lui ebbe voglia di scrollarla.
Byron mise una mano sulla sua, per trattenerlo. Ma in quel momento squillò il telefono. — Lascia stare — disse Byron, voltandosi. La rete video dei telefoni era saltata anni prima, Byron fissò il monitor vuoto.
Ray tornò a occuparsi di Teresa. Prese una coperta dal letto e gliela stese addosso. Lei aprì la bocca e si lasciò sfuggire un breve grido strozzato.
I ricordi, pensò Keller impotente.
Lui ne sapeva qualcosa. Avrebbe dovuto dirglielo.
Vide la bambina.
Viveva in una baracca galleggiante, vicino al margine estremo della darsena, in un punto da cui non era possibile vedere la terraferma. Ora sapeva molte cose su di lei. Cose che non aveva potuto conoscere prima.
La bambina era brava. E obbediente. Viveva con la madre e parlava un buon inglese, non il dialetto spagnolo delle sue compagne di giochi. Aveva imparato a leggere in una scuola pubblica, ricavata in un granaio abbandonato che dai suoi trampoli di cemento dominava il ghetto galleggiante. Era una bambina allegra e spensierata, ignara della propria condizione di povertà. Se ne accorse solo quando smisero di arrivare gli assegni del governo e quando gli sportelli automatici delle banche dovettero chiudere in seguito ai disordini. Allora cominciò a sentire la fame. Si spaventò e divenne irritabile. Ma alla fine il cibo tornò e lei imparò presto a sopportare quei saltuari digiuni: aveva fiducia che prima o poi sarebbero terminati.
Divenne molto orgogliosa delle proprie buone qualità, tanto che a volte qualche amica se ne sentiva urtata, il che incoraggiò la sua diffidenza. Eppure sapeva, pur senza conoscere le parole giuste, che non si trattava di presunzione o di pedanteria. Le doti che sua madre cercava di sviluppare in lei erano soprattutto quelle utili alla sopravvivenza. E la sopravvivenza era tutt’altro che assicurata. Anche troppo spesso era stata testimone dei guai capitati ai suoi piccoli amici. Alcuni erano morti di malattia, altri erano finiti in orfanatrofio e altri ancora avevano semplicemente traslocato, ma per lei era come se fossero morti perché non possedeva ancora la nozione del mondo esterno. Accettava quelle verità con la rassegnazione tipica solo dei giovanissimi e si sottometteva senza discutere alle regole di educazione e di virtù dettate da sua madre. Era, insomma, una brava bambina.
Sempre per le stesse ragioni, non le sembrava strano non avere un padre. Una volta l’aveva avuto. Sua madre gliene parlava spesso. Suo padre era stato un uomo saggio e coraggioso, che era morto nel tentativo di attraversare con la famiglia il confine messicano, quando lei era ancora in fasce. Avevano avuto una posizione sociale rispettabile, in Messico. Suo padre era avvocato. Durante le purghe di Aguilar, negli anni Trenta, tutti coloro che avevano a che fare con i tribunali erano stati di colpo considerati nemici. E così loro erano dovuti scappare. Purtroppo Aguilar era un fedele amico degli Stati Uniti e quindi il confine era stato chiuso, anche ai rispettabili avvocati con famiglia. Avevano tentato l’espatrio con altri trenta disperati, uomini e donne, disposti ad attraversare di corsa il brandello di deserto che segnava il confine tra le due nazioni, sfidando il filo spinato, i rivelatori a raggi infrarossi, e la sorveglianza via satellite. La bambina era troppo piccola per ricordare quell’episodio, ma lo aveva sentito raccontare molte volte. Era una specie di leggenda, un mito intrepido e coraggioso. Molti profughi erano stati falciati dal fuoco delle armi automatiche, e tra questi anche suo padre. Sua madre aveva continuato ad avanzare, troppo atterrita per provare dolore. Il dolore, naturalmente, era venuto più tardi. Molti dei fuggiaschi erano stati catturati e deportati, alcuni erano riusciti a nascondersi nel ghetto spagnolo vicino al confine. La bambina e sua madre avevano fatto parte della minoranza più fortunata.
Non avevano abbastanza denaro per comperare documenti falsi al mercato nero e rifarsi una vita tra gli americani. Però potevano permettersi di raggiungere la Città Galleggiante, dove non c’erano leggi ed era possibile trascorrere una vita tranquilla nell’ombra. Non sarebbero rientrate nella legalità, ma almeno sarebbero sfuggite ai capricci del regime di Aguilar.
La bambina non poteva ricordare suo padre se non attraverso quei racconti, ma la sua assenza non le sembrò mai strana. Fino a quando sua madre non portò a casa un altro uomo.
Lei aveva dieci anni, e ne rimase offesa. Lesse una certa espressione colpevole negli occhi della madre e se ne sentì irritata e impaurita. Era troppo piccola per capire i conflitti di sentimenti nel cuore degli adulti, la paura della vecchiaia e della morte. Ma era abbastanza grande per sentirsi tradita. Non lo meritava. Perché lei era una brava bambina.
Odiò quell’uomo fin dal primo giorno. Lui si chiamava Carlos e lavorava all’imbarcadero, dove sua madre svolgeva qualche lavoro saltuario. Incontrandola per la prima volta, Carlos si chinò, le mise la sua grossa mano sulla spalla e le disse che aveva incontrato sua madre al lavoro. — È un’ottima lavoratrice — dichiarò. Si raddrizzò, sogghignò in modo volgare e diede alla donna una pacca sul sedere. — Eh? Fa sempre quello che le si chiede.
Sconvolta, la bambina vide per la prima volta sua madre come un’entità separata, una donna adulta con una vita propria. Non disse nulla, e rimase impassibile tenendosi forte al tavolo della cucina. Dentro, si sentiva piena di ribellione. Tutto le sembrò di colpo terribilmente squallido, dalle mattonelle sbrecciate sotto i piedi all’aspetto trasandato della baracca dove abitavano. La pentola di fagioli sul fornello diffondeva in tutta la stanza un odore greve e fumoso. E Carlos continuava a sorriderle, sprigionando dai pori dilatati sudore e falsità. I suoi denti erano scheggiati e appuntiti, il suo alito puzzava di cibo guasto.
Читать дальше