Robert Wilson - Memorie di domani

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Per cercare una via di scampo a un tragico passato, Raymond Keller acconsente a diventare un Occhio, ovvero un volontario che accetta di farsi impiantare nel cervello un perfetto impianto di registrazione. In tal caso non potrà più guardare dove vorrà, ma solo dove è necessario per vedere, registrare, documentare. E così dimentica il proprio passato, il presente, il futuro. Finché incontra Teresa, la meravigliosa ragazza che è anche una splendida artista. Una donna preda delle violente allucinazioni indotte dai gioielli sognanti seminati in epoche remote da una razza di extraterrestri, e che hanno proprietà ancora non completamente esplorate dalla razza umana. Occorre qualcuno che abbia rinunciato a sé per poter penetrare un segreto tra i meglio custoditi dell’universo.

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Non era un avvocato.

Si trasferì da loro. La bambina non fu consultata, in proposito. Carlos si trasferì da loro e riempì la baracca con la sua presenza ingombrante. Occupava molto più spazio di un uomo normale. Inciampava dappertutto. Beveva, sebbene non in modo esagerato, all’inizio. Le sue grosse mani si muovevano sul corpo di sua madre con aggressiva familiarità, e lei lo accettava senza proteste né incoraggiamenti. Le pareti che dividevano le due stanze erano abbastanza sottili da non lasciare dubbi su quello che succedeva di notte nel loro letto. Sesso, pensava la bambina, un crescendo di grugniti e di gemiti. Indescrivibile. Quando succedeva, lei nascondeva la faccia e si copriva le orecchie. Al mattino Carlos la guardava sogghignando e bisbigliava: — Come hai dormito, piccola? C’era troppo baccano per i tuoi gusti? — E rideva di quella risata terribile e segreta che nasceva nel fondo della gola.

Un giorno, mentre Carlos era al lavoro, la bambina trovò il coraggio di chiedere alla madre perché gli avesse permesso di trasferirsi da loro. Il tono di rimprovero nella sua voce era evidente, tanto che la madre la schiaffeggiò. Lei spalancò la bocca e alzò una mano per tastarsi la faccia. Aveva la guancia in fiamme.

Sua madre arrossì. — Non siamo nella posizione di scegliere — dichiarò, quasi con rabbia. — Guardami! Sono giovane? Sono graziosa? Guardami! Sono forse ricca?

La bambina si rese conto per la prima volta che lei non possedeva nessuna di quelle qualità.

— Lui porta del denaro. Forse tu non sai che cosa vuol dire. Non guardi nel piatto quando mangi, e invece dovresti farlo. C’è dentro della carne. Carne, capisci? E verdura fresca. Hai dei vestiti. Non soffri la fame.

Dunque siamo povere, pensò la bambina. Carlos era la maledizione della loro povertà.

Le nuove scoperte la disorientarono, spaventandola.

Eppure avrebbe potuto ancora adattarsi. Ma proprio allora l’atteggiamento di Carlos cominciò a cambiare. Per quanto fosse già sgradevole, diventò addirittura peggiore. L’abuso di alcolici s’intensificò. La madre confidò alla bambina che l’uomo non andava d’accordo con il caposquadra e iniziava ad avere problemi sul lavoro. Certe notti, i grugniti e i gemiti nella stanza accanto si concludevano con una serie di imprecazioni soffocate. Le mattine successive Carlos faceva colazione con espressione torva, senza scherzare. Le occasionali effusioni rivolte a sua madre divennero sempre più aggressive. Carlos la trattava con così scarsa delicatezza da sembrare un orso. E assomigliò sempre di più, con il passare del tempo, a un grosso e rabbioso animale chiuso in gabbia. Purtroppo, la gabbia era estremamente fragile. Le sue sbarre potevano saltare da un momento all’altro. Lei non voleva pensarci.

Carlos cominciò a toccarla più spesso.

All’inizio, lei accettò la cosa nello stesso modo in cui l’accettava sua madre, con rassegnazione. Sentiva lo sguardo di sua madre su di sé, quando Carlos la prendeva sulle ginocchia per accarezzarla. Lui aveva delle mani enormi, simili ad animali senza pelo, o a delle talpe. Si muovevano a caso, secondo il proprio capriccio. La toccavano e l’accarezzavano. Generalmente, dopo che lei aveva sopportato per un po’, l’uomo si alzava di colpo, la guardava con rabbia come se avesse fatto qualcosa di male, e poi portava sua madre nell’altra stanza.

Sua madre se ne scusò, un giorno. Erano sole. La baracca galleggiante ondeggiava dolcemente, la pioggia batteva contro il tetto e le pompe di sentina brontolavano sotto il pavimento. — Mi dispiace — disse sua madre. — Non mi aspettavo che succedesse…

La bambina sentì crescere in lei un’ondata di collera, immensa e inaspettata. — Allora fallo andare via! — Rimase stupita delle sue stesse lacrime. — Digli di andarsene!

Sua madre l’abbracciò e cercò di confortarla. — Non è così facile. Vorrei che lo fosse. Mi dispiace, davvero. È difficile stare da soli, anche se tu non lo capisci. È stato molto difficile per me. Pensavo che lui ci avrebbe aiutate. Ne ero convinta. — Le accarezzò i capelli. — Pensavo che ci avrebbe voluto bene.

Quella sera, quando Carlos cominciò a toccarla, sua madre le disse di andare nella sua camera. Attraverso la porta lei udì le voci dei due adulti alzarsi di tono. Si sentì il rumore di una zuffa e infine la porta sbatté forte. Lei attese in silenzio, ma non udì nessun altro rumore. Aveva paura di andare a vedere. Alla fine si addormentò, tremando nel sonno.

Il mattino dopo Carlos la guardò con aria minacciosa e lasciò la baracca senza parlare. Sua madre aveva un grosso livido sulla guancia. Ogni tanto se lo toccava, quasi con meraviglia, come se fosse spuntato per magia. La sua faccia, con l’aggiunta del livido, sembrava terribilmente invecchiata. La bambina la guardò con aria sconcertata. Da quanto tempo sua madre aveva tutte quelle rughe attorno agli occhi? Da quanto tempo la sua pelle era diventata crespa e avvizzita sotto la gola?

Adesso era lei a sentire il dovere di scusarsi. Ma la stanza era appesantita da un silenzio greve e lei non sapeva bene come cominciare. Fu un disastro, fin dalla prima parola.

Mama , mi dispiace…

— Ti dispiace! — Sua madre si voltò verso di lei. Alcune gocce di grasso schizzarono dai fornelli e macchiarono sfrigolando il pavimento. — Ti dispiace ! Mio Dio! Se non fosse stato per te…

Si portò la mano alla bocca, ma ormai era troppo tardi. La frase le era sfuggita e la bambina la tenne bene a mente. Le parole erano come carboni ardenti: non si poteva toccarli, eppure destavano un grande interesse. Lei ne rimase al tempo stesso colpita e curiosamente compiaciuta. Compiaciuta, perché finalmente cominciava a capire qualcosa. Era così semplice! Ora tutto si spiegava. Si spiegavano le occhiate strane che Carlos le aveva rivolto, e anche il livido sulla guancia di sua madre. Lei ne era la causa. Si trovava al centro della tempesta. Lei aveva tentato Carlos in qualche modo, lo aveva sedotto senza volerlo. Di certo non lo aveva programmato. Eppure lo aveva tentato, e Carlos aveva sfogato la propria rabbia e la propria frustrazione nell’unico modo che conosceva, prendendosela con sua madre. A letto. E a pugni.

La bambina si disse che quella era una riflessione ormai adulta, di cui doveva essere orgogliosa. Non era più una bambina.

Capì anche che non era poi così brava , dopotutto.

Byron si chinò verso il monitor del telefono, assorto. Keller non riusciva a staccare gli occhi da Teresa. Non l’aveva mai vista così. I suoi occhi si muovevano incessantemente sotto le palpebre chiuse e le lacrime le rigavano le guance.

Era sconvolgente. Doveva fare qualcosa. Non poteva lasciare che le succedesse una cosa simile.

Se qualcuno è in pericolo bisogna aiutarlo , pensò sopraffatto dall’angoscia. Lo aveva imparato. Molto tempo prima.

Byron distolse l’attenzione dal telefono e si girò. — Non farlo, Ray…

Ma Keller aveva già steso le mani verso di lei.

L’incendio ebbe origine in un deposito di carburante vicino alla parete della diga.

In seguito, la gente disse che era stato inevitabile. La Città Galleggiante era dotata solo delle strutture pubbliche più elementari. Non esistevano piani regolatori, né regolamenti edilizi, né commissioni di sicurezza. Era una città di legno e cartone. In alcuni punti, il carburante fuoriuscito aveva coperto completamente l’acqua tra le fabbriche e le barche da abitazione. L’incendio cominciò come un banale incidente industriale causato da una torcia all’acetilene. In breve, divenne qualcosa di terrificante.

Quel giorno, la bambina si trovava a casa. Carlos era al lavoro e sua madre riparava l’intonaco della cucina. C’era il sole. Lei salì sul tetto in lamiera della baracca e rimase sorpresa nel vedere un pennacchio di fumo spuntare a nord, dalle parti della diga, che insudiciava la cupola azzurra del cielo. Il pennacchio sembrava perfettamente verticale; in realtà, il vento lo spingeva esattamente nella sua direzione.

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