Lei ne rimase affascinata.
Restò a guardarlo per un po’, canticchiando piano, accarezzata dai raggi del sole. Il pennacchio di fumo a poco a poco si allargò e divenne quasi un muro, un’accozzaglia di nuvole che oscurarono il cielo. Mettendosi in punta di piedi, a lei parve di vedere addirittura le fiamme, ancora molto lontane, che si alzavano dalle baracche galleggianti parecchi chilometri più in là.
Poco prima di mezzogiorno cominciò a cadere una sottile pioggia di cenere.
Sua madre la chiamò, e dato che lei non rispondeva, salì la scala che portava al tetto. — Santo cielo, tesoro! Pensavo che ti fossi persa. Pensavo…
— Guarda — la interruppe lei. — Un incendio.
Sua madre rimase immobile per un attimo, con il grembiule macchiato mosso dal vento, che nel frattempo era diventato sempre più forte e secco. Poi si fece il segno della croce in silenzio e strinse la mano bruna sul braccio della figlia. Quando parlò, la sua voce era priva di espressione. — Vieni ad aiutarmi.
Mentre scendevano, un elicottero della Città di Los Angeles passò con fragore sopra la loro testa, dirigendosi verso il fuoco. Virò e rimase sospeso nel cielo per qualche secondo.
La bambina avvertì il primo brivido di paura.
Sua madre borbottava qualcosa tra sé. Cominciò a muoversi a grandi passi sulle mattonelle sbrecciate, accatastando di tutto su un lenzuolo, al centro della stanza. Vestiti, documenti della previdenza sociale, cibo in scatola. Sbalordita, la bambina guardò fuori dall’unica finestra. Sui ponti mobili si erano formati capannelli di persone che fissavano con grande apprensione il manto di fumo nero che oscurava ormai completamente il cielo.
Sua madre la tirò via. — Non possiamo più aspettare. — Aveva la voce rotta e si guardava intorno con grande nervosismo. La bambina capì, ed era un’altra intuizione da adulta, che sua madre doveva aver avuto la stessa espressione da animale spaventato al momento di attraversare il confine messicano.
— Lo aspetterei, capisci? Carlos. Ma non c’è più tempo.
Raccolse le quattro cocche del lenzuolo chiudendovi dentro i loro miseri averi e trasportò il fagotto fino alla piccola motolancia ancorata sotto casa. Era poco più di una canoa, con un solo motore avvitato a poppa, e rollò sotto il peso imprevisto. La baracca si affacciava su uno degli affluenti minori di un canale più grande, ma le sue acque di solito tranquille erano già affollate di barche. In alcune, la gente piangeva. La bambina si chiese che cosa fosse quella nuova catastrofe che stava sconvolgendo la sua vita. La cenere volteggiava attorno a lei come neve.
Sua madre la condusse ancora una volta all’interno della baracca. — Guardati attorno — le disse. — Prendi tutto ciò che ti interessa e che puoi trasportare. Fai presto! Poi aiutami a prendere il resto del cibo.
La bambina scelse la vecchia bambola del mercato delle pulci, il primo giocattolo che avesse mai posseduto. Ormai non le era più tanto affezionata, ma le sembrò la cosa più giusta da prendere, in un momento simile. Se la mise sottobraccio, soddisfatta.
Fu allora che Carlos tornò a casa.
Spalancò la porta con una stridula risata da ubriaco. La bambina si nascose d’istinto tra la porta della cucina e la parete. L’odore dell’intonaco fresco le riempì le narici. Chiuse gli occhi e si coprì le orecchie.
Udì tutto comunque.
Carlos aveva lasciato il lavoro molto presto. L’intero turno della mattina era stato soppresso a causa dell’incendio. Dapprima avevano pensato tutti che fosse una sciocchezza, erano andati al bar vicino al margine della darsena e avevano cominciato a bere. Ma l’incendio si era propagato attaccando uno dopo l’altro tutti gli edifici industriali e alla fine fu chiaro che era successo e stava per succedere qualcosa di terribile. A uno a uno gli uomini si erano uniti alla folla che cercava di salvarsi spingendosi a sud. Carlos si era aperto la strada con la bottiglia tra le mani. La bottiglia c’era ancora, ma ormai completamente vuota.
Era ubriaco fradicio e spaventato a morte. La madre della bambina cercò di calmarlo, ma dalla sua voce trapelava una grande paura e Carlos probabilmente se ne accorse. — Andiamocene — suggerì lei. — Possiamo seguire i canali fino alla terraferma. C’è ancora tempo, vedrai.
— I canali sono pieni di gente — replicò Carlos. — Le barche non riescono a muoversi. Vuoi bruciare in mezzo a loro, dannazione?
— Allora possiamo andare a piedi…
— A piedi! Hai dato un’occhiata là fuori? — Carlos agitava la bottiglia senza tregua. — Il fuoco è troppo veloce. Non possiamo fare niente… niente !
Probabilmente aveva ragione, pensò la bambina sentendosi girare la testa. Udiva le grida provenienti dai ponti mobili a poca distanza da loro.
— E allora perché sei tornato qui? — chiese sua madre. — Perché torturarci ancora? — Nella sua voce la paura si mescolava al risentimento. — Vai al diavolo! Io me ne vado! Noi ce ne andiamo !
Ma Carlos urlò che sarebbero morti insieme, perché erano una famiglia e perché lui aveva paura di morire da solo. Poi cominciarono a lottare. La bambina rimase in ascolto, paralizzata dal terrore. Si udì il rumore sordo e terribile dei pugni che affondavano nella carne. Lei non riuscì a trattenersi, e uscì da dietro la porta.
Sua madre gridava, con la faccia contusa e tumefatta. Carlos l’aveva spinta contro il tavolo della cucina e le aveva scoperto le cosce. L’incendio era ormai vicinissimo, e lui non trovava di meglio da fare che violentarla. La bambina si sentì accecare dall’ira e per un attimo dimenticò le sue paure. — Smettila! — gridò.
Carlos si guardò intorno.
L’alcol e la paura lo avevano reso irriconoscibile. Il suo volto era livido e congestionato. Gli occhi sembravano completamente bianchi. Per un attimo, la bambina fu sopraffatta dalla meraviglia. — Sei tu — disse lui. E si mosse nella sua direzione.
Le sue mani l’afferrarono con violenza. Le strapparono i vestiti. Lei provò una specie di stordimento improvviso, che sembrò estrarla dal suo stesso corpo per permetterle di guardare le cose dall’alto. Uscì da se stessa e vide Carlos, la finestra, il cielo coperto di cenere, tutto con una strana e curiosa indifferenza. Le sue mani erano da biasimare, pensò. Lei lo odiava. Carlos era probabilmente innocente, come aveva detto sua madre. Era colpa sua. Lei lo aveva sedotto. Peggio, aveva sedotto le sue mani.
Non riusciva a vedere chiaramente sua madre, che era caduta sul pavimento, stordita. Non la vide, quindi, nemmeno quando si riscosse e sbatté le palpebre vedendo ciò che succedeva davanti a lei. Non la vide inorridire, né dirigersi inciampando all’armadietto vicino ai fornelli per prendere dal cassetto un lungo coltello. La bambina non era più in grado di rendersi conto di nulla, finché non sentì Carlos rimangiarsi il fiato e irrigidirsi sopra di lei, prima di rotolare via, su un fianco. Il suo sangue, chissà come, le macchiò il vestito. Carlos giacque rantolando, stringendo l’aria con le mani. Sua madre la guardò, con gli occhi di un animale spaventato. — Dio ci aiuti — mormorò. — Vieni via, adesso.
Corsero alla motolancia, ma la pressione delle altre barche l’aveva spinta contro gli ormeggi fino a farla ribaltare con tutto il suo carico. Loro rimasero a fissarla solo per un secondo. Il fuoco era tanto vicino da poterlo annusare. L’aria acre irritava le narici e la gola. Il fumo turbinava giù per il canale tra le barche e sotto i ponti mobili affollati di profughi. Dappertutto c’era gente in fuga. Nessuno sembrava ancora in preda al panico, ma ormai era una questione di minuti. Poi tutti avrebbero cominciato a spingere e a correre. E allora?, si chiese la bambina. E allora?
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