Robert Wilson - Memorie di domani

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Per cercare una via di scampo a un tragico passato, Raymond Keller acconsente a diventare un Occhio, ovvero un volontario che accetta di farsi impiantare nel cervello un perfetto impianto di registrazione. In tal caso non potrà più guardare dove vorrà, ma solo dove è necessario per vedere, registrare, documentare. E così dimentica il proprio passato, il presente, il futuro. Finché incontra Teresa, la meravigliosa ragazza che è anche una splendida artista. Una donna preda delle violente allucinazioni indotte dai gioielli sognanti seminati in epoche remote da una razza di extraterrestri, e che hanno proprietà ancora non completamente esplorate dalla razza umana. Occorre qualcuno che abbia rinunciato a sé per poter penetrare un segreto tra i meglio custoditi dell’universo.

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Si autodefinivano Creati da Dio. Le truppe alla base di approvvigionamento li chiamavano Trucidabambini.

Erano il battaglione del terrore. Penetravano nelle zone di guerriglia ed effettuavano incursioni punitive nei villaggi di posseiros , distruggendo i raccolti, bruciando le case, radendo al suolo le basi politiche ed economiche dei guerriglieri. Era un compito vile e sanguinario. Su questo erano tutti d’accordo. Ma era adatto a loro. Dio ci ha fatti così.

Oberg salì di grado e acquistò una certa notorietà.

Non gli importava ricordare che cosa era successo in quegli anni. L’aspetto positivo era che la guerra gli aveva dato un’identità, la consapevolezza di se stesso. Era uscito dalla casa dei genitori adottivi in una regione rurale nel sud del Texas, dove la sua vita era stata un susseguirsi di violenze e di umiliazioni. Rimase incredulo quando un sorvegliante del riformatorio gli disse che avrebbe imparato ad amare l’esercito. Eppure accadde proprio così. L’esercito gli diede un’educazione, un’istruzione e una disciplina. L’esercito analizzò il suo carattere e lo spiegò, infine gli trovò il modo di rendersi utile. E se l’esercito gli chiedeva di sfogare le sue perversioni nell’entroterra di quel terribile paese, ubbidire era il meno che lui potesse fare.

Al momento del congedo pensò che la parentesi violenta della sua vita fosse terminata. Seguì il consiglio di un commilitone ed entrò nel servizio civile dell’Organizzazione. Era un buon agente, nonostante ciò che aveva detto Wyskopf. La sua vita era stata lineare, almeno fino a quel momento. Se non aveva una moglie, una famiglia o gli altri contrassegni tipici di un’esistenza normale, forse dipendeva solo dal fatto che non riusciva a scrollarsi di dosso l’immagine di Aggressivo Latente, di Creato da Dio, di appartenente a quell’esigua minoranza nata senza il bernoccolo della simpatia. Ma non ci pensava molto spesso.

Aveva nutrito una profonda forma di sospetto verso gli oneiroliti ancora prima di essere assegnato all’istituto di ricerca in Virginia. In parte si trattava di un’istintiva paura e ostilità verso tutto ciò che era estraneo e che rappresentava l’Altro. Ma c’era anche una repulsione più intima. Non gli piaceva entrare in una stanza dove c’era stata una pietra. Era sensibile alle sue emanazioni. Gli si drizzavano i capelli e gli si rovesciava lo stomaco. Era conscio dell’enorme importanza degli oneiroliti e dei dati contenuti al loro interno, ma quelle pietre erano un dono di provenienza incerta, e i doni lo portavano sempre a interrogarsi sui motivi. Le pietre contenevano una quantità di informazioni astratte, ma quasi nulla sugli Esotici. Chi erano? Da dove venivano e che cosa volevano? E poi, quella strana interazione con i soggetti di Vacaville. Era come un antico film. Dissotterratori di cadaveri provenienti dallo spazio. Oberg prendeva l’idea molto sul serio, anche se sapeva che gli studiosi avrebbero riso di lui. Ma gli studiosi non sapevano vedere in prospettiva. Avere dei sospetti era il suo mestiere. Rappresentava le agenzie di spionaggio federali. Rappresentava i sospetti meno espliciti, ma non per questo meno radicati, dei loro dipendenti. Per vent’anni il mondo si era cullato nella sconsiderata familiarità con quegli oggetti, mentre Oberg sviluppava la sua professionale paranoia.

Ma si era convinto della natura assolutamente deleteria delle pietre solo con il recente arrivo di oneiroliti di profondità dal Brasile. Aveva visto la loro influenza su criminali incalliti come Tavitch… e l’aveva avvertita anche su di sé.

Il contatto era stato breve e inevitabile. Oberg viveva nella base di ricerca e parecchie volte al giorno faceva la spola tra la sua camera, più simile a una cella, e le toilettes comuni. Le toilettes erano separate dall’ala degli internati solo da una porta chiusa a chiave. Un giorno d’inverno stava appunto compiendo quel pellegrinaggio, maledicendo il vento gelido venuto dal Canada che filtrava attraverso le inadeguate strutture isolanti dell’edificio prefabbricato, quando la porta di sicurezza si era aperta e il prigioniero Tavitch era entrato nel corridoio.

Tavitch era palesemente fuori di sé. Roteava gli occhi e aveva la bava alla bocca. Sostò vicino alla porta, fissando Oberg. Un paio di inservienti lo raggiunsero, ansimando, e gli si misero ai lati. Sembrava che nessuno dei due avesse il coraggio di prenderlo per un braccio. — Toccava a te chiudere quella dannata porta! — disse uno. L’altro tacque, con gli occhi fissi su Tavitch.

Tavitch l’assassino. Tavitch che sosteneva di vedere il passato. Oberg rabbrividì. Era in trappola.

Il prigioniero lo fissò. I loro occhi si incontrarono e Oberg rimase di sasso quando l’altro mostrò di riconoscerlo. — Cristo — disse piano.

Tavitch aveva i pugni contratti.

— Prendilo — disse a uno dei due uomini, ma Tavitch si slanciò in avanti, direttamente verso di lui. L’istinto gli suggerì di ritirarsi, ma per non perdere di dignità di fronte agli inservienti, decise di gettarsi contro Tavitch. Caddero sul pavimento avvinghiati.

Il contatto fu breve. Un secondo, forse. Ma fu sufficiente.

Inorridito, Oberg sentì la natura aliena della pietra pulsare dentro di lui.

Aprì gli occhi e scorse un villaggio dell’entroterra. Un villaggio Indio, probabilmente. Uomini con i capelli tagliati a scodella e le magliette stracciate, donne con i seni penduli scoperti. Un villaggio lungo il corso del fiume, pensò stordito, forse rifugio di sertao rivoluzionari oppure deposito di armi per il Blocco Orientale. O forse niente di tutto questo. Ma c’era in atto un assalto, e lui aveva un fucile in mano. Si trovava al centro dell’azione di rappresaglia, sparava addosso agli indigeni e vedeva i loro occhi simili a quelli dei cervi abbagliati dalla luce dei fari. Continuava a sparare, provando una grande euforia: era come un crescendo parossistico, l’acuto erotismo di un’esecuzione di massa. Creati da Dio. Ma all’improvviso smise di essere piacevole. Per chissà quale orribile miracolo, si trovò a condividere il terrore e il dolore degli indios che stava uccidendo, come se i proiettili devastanti colpissero anche la sua carne e il villaggio che bruciava fosse il suo. Il dolore e l’umiliazione ribollirono dentro di lui in modo inarrestabile, e questo era molto peggio di una ferita. Era un pozzo profondo dal quale poteva emergere chissà quale atrocità, da un momento all’altro.

Cercò di riprendere fiato quando finalmente gli inservienti spinsero via Tavitch. Il corridoio ritornò a fuoco. Un incubo, pensò quasi con disperazione. Ma Tavitch lo fissava con un ghigno astuto e terribile.

— Tu e io — disse. — Tu e io.

Oberg vomitò sul pavimento.

Fu molto metodico nel divorziare dall’Organizzazione. Ritirò una grossa somma di denaro da un conto di Belem prima che gli revocassero il credito. Inoltre, aveva il denaro di altri conti segreti personali.

Non portava rancore a Wyskopf o alla gente che Wyskopf rappresentava. La loro ingenuità era inevitabile, probabilmente collegata con il famoso "bernoccolo della simpatia". Tutti scambiavano le sue preoccupazioni riguardo agli oneiroliti per un’ossessione, ma non era così. La questione era molto più sottile. Oberg era un Aggressivo Latente, un Creato da Dio, un essere al di fuori della normalità. Come la pietra, rappresentava una deviazione della natura. La sua capacità di comprensione era dunque più acuta, più completa.

Ora conosceva qualche particolare in più su di loro. Teresa Rafael, Byron Ostler, Raymond Keller. Sapeva che aspetto avevano. Sapeva dove erano stati e, ancora più importante, dove erano diretti.

Prese un volo mattutino. Era piacevole lasciarsi alle spalle il Rio delle Amazzoni seminascosto dalle nubi, alzarsi senza sforzo nel cielo inondato di luce descrivendo una curva a est e poi a nord, dimenticarsi del passato e dell’Organizzazione. Era un cane sciolto, perché no?, con una missione purificatrice da compiere, determinato, e pronto a colpire.

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