Hal Clement - Strisciava sulla sabbia
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«Aiuto! Il mio piede…» gridò Rice, e venne interrotto dal nuovo aumento dell’acqua. Ma ormai la situazione era chiara per tutti. Bob tornò subito giù, appoggiò saldamente i piedi sul fondo e cercò di sollevare il pesante pezzo di corallo che, staccatosi dalla parete sotto la pressione del cilindro, era caduto imprigionando un piede di Rice. Bob non riuscì a smuovere il frammento e risalì rapido a immagazzinare aria.
«Non parlare! Prendi fiato!» gridò Malmstrom. Superfluo. Rice, la cui testa era riaffiorata col calare dell’acqua, non pensava ad altro che a respirare. Bob si guardò attorno alla ricerca del bastone che era scomparso. Lo vide galleggiare a qualche metro di distanza e andò a riprenderlo. Colby era corso via in direzione della barca, senza dir niente. Tornò nel momento in cui Bob stava per rituffarsi. Aveva in mano il secchio che Norman aveva portato via dall’isolotto. Norman e Malmstrom guardarono lui e il secchio, sbalorditi, senza capire e Colby non perse tempo a dare spiegazioni. Si buttò a pancia in giù sulla riva dell’insenatura, si sporse il più possibile verso l’intrappolato Rice, e appena il livello dell’acqua tornò ad abbassarsi fissò il secchio sulla testa dell’amico pronunciando le sue prime parole della giornata.
«Tienilo così.»
Rice capì immediatamente, e quando l’acqua riprese a salire si trovò con la faccia chiusa in un secchio pieno d’aria.
«Hai bisogno d’aiuto?» chiese Norman, ansioso.
«Penso di farcela, questa volta» rispose Bob. «Prima mi preoccupavo per l’aria, ma adesso Kenny è a posto. Mi riposo solo un momento per respirare più a fondo.» Restò aggrappato alla riva mentre Norman gridava incoraggiamenti al compagno quando la testa di latta restava fuori dall’acqua. Durante la pausa Bob trovò il tempo di mormorare al Cacciatore: «Ecco perché non mi andava l’idea di venire fin qui da solo!» Poi, afferrato saldamente il bastone, si immerse di nuovo.
Riuscì a trovare un punto migliore per fare leva, e impiegò tutta la sua forza. Il pezzo di corallo cominciava a sollevarsi, e il ragazzo sentiva che ce l’avrebbe fatta, ma a un certo punto il bastone si ruppe e una delle estremità scheggiate lo ferì allo stomaco. Per una volta tanto il Cacciatore non protestò. Quella era decisamente una ferita sul campo di battaglia, perciò l’extraterrestre provvide a chiudere i profondi graffi senza commenti. Bob risalì alla superficie.
«Forse sarà meglio che scendiate tutti. Stavo per riuscirci ma il bastone si è rotto. Prendete altre pertiche, o i remi, e tuffatevi. La marea sta salendo e il secchio funziona finché l’acqua lo copre solo per pochi secondi. Su, venite.» In un attimo i quattro ragazzi, armati di remi e bastoni, furono in acqua attorno all’amico: Bob sul fondo a sistemare un’estremità delle leve improvvisate, gli altri tenendo saldamente i pezzi di legno, pronti a premere in giù appena lui avesse dato il segnale. Nessuno sapeva che Bob ci vedeva meglio di loro sott’acqua, ma avevano accettato che fosse lui a comandare perché quello non era il momento più adatto per mettersi a discutere. L’impresa costò un remo, ma finalmente Kenny fu liberato, e con l’aiuto degli amici salì all’asciutto, dove si sedette stringendosi il piede fra le mani mentre gli altri ciondolavano attorno.
Tenuto conto della sua normale abbronzatura, Kenny Rice era pallidissimo, e ci volle un bel po’ prima che il respiro e i battiti cardiaci gli tornassero normali. Gli altri quattro erano spaventati quasi quanto lui, e nessuno suggerì di immergersi di nuovo per ripescare il diabolico oggetto metallico. Fu Rice a parlarne, dopo una decina di minuti, dicendo che era un peccato aver fatto tanto fatica per niente, e allora Bob si tuffò di nuovo, ma non riuscì a vedere il cilindro fra i coralli e le alghe del fondo. Dopo essersi trovato a faccia a faccia con un riccio di mare, smise di frugare sotto tutto quello che vedeva e tornò definitivamente alla superficie. Del lavoro di tutto il pomeriggio a Rice rimase così soltanto la paura, ma era un genere di souvenir che il ragazzo non ci teneva a mostrare ai suoi genitori.
Erano le quattro e mezzo, e restava ancora parecchio tempo prima di cena, ma chissà perché la prospettiva di continuare le esplorazioni nella zona della scogliera non pareva più molto attraente. Dopo una brevissima discussione i ragazzi decisero di andare ai dock.
«Quello dovrebbe essere un posto tranquillo e sicuro, dato che la nave arriverà soltanto fra una settimana» commentò innocentemente Norman Hay. Nessuno parlò, ma probabilmente pensavano tutti la stessa cosa. Il Cacciatore sentì la frase, ma non le diede importanza: la sua mente era ancora completamente assorbita dal relitto visto e sentito, e che non era certo un pezzo della sua astronave.
12
La conversazione fra i cinque amici riprese coi toni consueti solo quando Norman disse qualcosa a proposito del suo acquario.
«Forse ai dock possiamo trovare qualche arnese che vada bene per far saltar via il cemento da uno dei buchi che ho tappato» disse.
«Ci vorrà qualcosa di eccezionale» osservò Malmstrom. «Tu hai usato il cemento subacqueo. È lo stesso col quale hanno costruito il dock, e guarda quello! Dopo tutto questo tempo non c’è ancora il segno nel punto in cui le navi toccano.»
«Le navi non vanno a urtare il dock, a meno che non sia per un errore di manovra» osservò Rice dal timone. «Comunque, ci servono degli attrezzi. Nessuno di noi ha in casa qualcosa che possa andar bene, questo è certo.»
«Che cosa useremo? Martelli o scalpelli?»
«Un martello serve a poco sott’acqua. Ci vorrebbe una leva solida con una bella punta. Qualcuno sa dove trovarla?» Nessuno rispose, e dopo una breve pausa Norman riprese: «Chiederemo a quelli del dock, e se loro non ne hanno ci rivolgeremo agli uomini dell’impresa Costruzioni.»
«Se riuscissimo a procurarci un equipaggiamento subacqueo si potrebbe lavorare più in fretta» disse Rice.
«Le uniche attrezzature del genere che esistano sull’isola servono a quelli dei serbatoi. Non credo che ce ne presterebbero volentieri una» disse Bob. «E poi andrebbe bene soltanto a Kenny, che è il più alto di tutti.»
«E con questo?» disse Kenneth Malmstrom.
«Tutta la fatica dovresti farla tu. Ad ogni modo sono sicuro che non ce la presteranno.»
«Perché non ci facciamo da soli una tuta e un casco?»
«Perché sono almeno quattro o cinque anni che ne parliamo, ma se vogliamo andare sott’acqua dobbiamo ancora trattenere il respiro.» L’osservazione venne da Colby, e come al solito nessuno trovò niente da ribattere.
Dopo un breve silenzio Rice pose una nuova questione: «Che cosa adopereremo per impedire ai pesci di andarsene? Bob ha parlato di rete metallica, ma dove la prendiamo?»
«Non lo so proprio. Se sull’isola ne esiste sarà nei magazzini. Se ce n’è vedrò di procurarmene un pezzo, e se no potremmo prendere del semplice filo di ferro e costruircela da soli.»
Poco dopo i ragazzi, assicurata la barca agli appositi anelli, salivano sul dock da una delle scalette. Bob e Rice si occuparono della barca e poi raggiunsero gli altri, Rice un po’ più lentamente per via del piede indolenzito. L’immensa costruzione era in cemento armato e parti metalliche. Il particolare più caratteristico consisteva nei quattro giganteschi serbatoi cilindrici accanto ai quali le pompe e i vari meccanismi di controllo sembravano giocattoli. L’unica attrezzatura antincendio era costituita da condutture ad alta pressione per scaricare in mare l’eventuale carburante incendiato. Attorno ai serbatoi sorgevano baracche di lamiera che servivano da magazzini, e all’estremità opposta della massicciata, che andava dalla strada asfaltata alla spiaggia, sorgeva il complesso apparato per la distillazione del petrolio e della benzina dove veniva raffinato il combustibile necessario al consumo dell’isola.
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