Hal Clement - Strisciava sulla sabbia
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Per il momento ai ragazzi interessavano solo i magazzini. Non speravano di trovare rete metallica, perché non sapevano proprio a cosa potesse servire sull’isola, ma non si sa mai. In fila indiana si avviarono alle baracche.
La loro marcia segnò una battuta d’arresto nel momento in cui aggiravano una delle baracche più piccole: un braccio sporse dalla porta, una mano afferrò Rice per il colletto della camicia e tirò dentro il ragazzo. Gli altri si fermarono di colpo, sorpresi. Poi sentirono la voce di Charles Teroa. Stava dicendo qualcosa a proposito di viaggio clandestino e di lavoro, e pareva alquanto soddisfatto. La conversazione fra Charles e Kenny durò qualche minuto, ma la voce di Kenny non arrivò alle orecchie degli amici. Alla fine Rice tornò fuori con aria trasognata, seguito da Charles tutto sorridente. Il polinesiano strizzò l’occhio a Bob, poi chiese: «Si può sapere che cosa ci fate, voi, qua attorno?»
«Possiamo fare la stessa domanda a te» ribatté Norman. «Se non mi sbaglio nemmeno tu lavori qui.»
«Io però sono d’aiuto» rispose Teroa. «Voi invece penso che stiate cercando qualcosa.»
«Niente comunque di cui qualcuno sentirebbe la mancanza» disse Norman. E stava per aggiungere qualcosa quando si sentì una nuova voce.
«Come puoi essere sicuro che potremmo farne a meno?» disse la voce. I ragazzi si girarono di scatto. Dietro di loro c’era il padre di Bob. «Siamo sempre felici di poter fare un favore» riprese il signor Kinnaird, «ma ci piace sapere che fine fa la nostra roba. Sentiamo un po’, qual era lo scopo della vostra visita, oggi?»
Norman non si fece pregare per rispondere, e spiegò che gli serviva un pezzo di rete metallica, o un po’ di fil di ferro, e che aveva tutte le intenzioni di chiederlo regolarmente, riservandosi solo di dare prima un’occhiata per poter indicare poi con precisione quello che andava bene per lui.
Il signor Kinnaird approvò con aria comprensiva. «Forse per la leva dovrete rivolgervi su al nuovo serbatoio» disse. «Ma per la rete metallica penso che qualcosa si possa fare. Andiamo un po’ a vedere.»
Tutti, compreso Teroa, seguirono il signor Kinnaird, e durante la strada Norman spiegò la faccenda dell’acquario e il modo in cui avevano scoperto perché i pesci morivano. Il signor Kinnaird ascoltò attentamente ma lanciò un’occhiata a Bob, che il ragazzo però non raccolse. La conversazione gli ricordò invece il libro del dottor Seever, e ne accennò a Norman quando questi smise di parlare per tirare il fiato.
«Hai intenzione di fare il medico?» chiese il signor Kinnaird. «Da come ti comporti non direi che sei il tipo adatto!»
«No… È solo che volevo cercare una cosa…» balbettò Bob. Il Cacciatore si chiese quando avrebbe avuto finalmente l’occasione di parlare al suo ospite.
Il signor Kinnaird sorrise e aprì la porta della baracca davanti alla quale si era fermato. «Qui dentro dovrebbe esserci qualcosa» disse. Era buio all’interno della baracca, e il signor Kinnaird azionò l’interruttore situato accanto allo stipite della porta, accendendo così l’unica lampadina che pendeva dal centro del soffitto. Gli occhi di tutti i ragazzi si posarono immediatamente su un grosso rotolo di rete metallica galvanizzata, dello spessore di quattro millimetri, che pareva fatta su ordinazione di Norman.
«Quanta te ne serve?» chiese il signor Kinnaird al ragazzo che era corso accanto al rotolo.
«Un pezzo di circa venti centimetri quadrati andrà benissimo» rispose Norman.
Il signor Kinnaird prese un paio di grosse cesoie da un bancone, e un minuto più tardi uscivano tutti, con Norman che reggeva il pezzo di rete.
«Non sapevo che ci fosse bisogno di questa roba» commentò Bob, mentre il padre richiudeva la porta della baracca.
«Ma guarda!» esclamò il padre. «Eppure mi pareva che avessi scorrazzato su e giù abbastanza per poter ricostruire l’isola in tutti i particolari!» Il signor Kinnaird si diresse al più vicino serbatoio d’immagazzinamento, e indicò uno dei canali di scarico.
I ragazzi gli si affollarono intorno per guardare in giù. A mezzo metro dall’apertura, tra il vuoto e il mare che rumoreggiava tre metri più in basso, era tesa una rete metallica di protezione uguale a quella appena vista nel magazzino.
«Non credevo che fosse abbastanza resistente da sostenere il peso di una persona che cadesse da questa altezza» commentò Bob.
«È solo una misura precauzionale» rispose il padre. «La gente non dovrebbe cadere là dentro, o se si mette in condizioni di cadere dovrebbe almeno saper nuotare. La rete comunque ha per lo più il compito di fermare gli attrezzi che possono scivolare di mano agli operai.» A questo punto il signor Kinnaird si voltò, e i ragazzi si allontanarono pensosi dall’imbocco del canale verticale. E l’utilità della rete venne prontamente dimostrata.
Il signor Kinnaird scivolò. O per lo meno, Malmstrom insistette poi che a scivolare per primo era stato lui, ma nessuno fu in grado di giurarlo. Il gruppo dei ragazzi si comportò come un mucchio di palle su una strada in discesa. L’unico a rimanere in piedi, grazie alla rapidità con la quale balzò indietro, fu Charles Teroa. Per gli altri andò così: Malmstrom venne proiettato contro Norman Hay, a Norman mancò improvvisamente il terreno sotto i piedi e andò a sbattere contro Bob e Colby, le scarpe di Bob e Colby non riuscirono a far presa sul cemento perché in quel punto c’era una chiazza di petrolio, e Bob lanciò uno strillo quando si accorse che entro qualche frazione di secondo avrebbe collaudato di persona la resistenza della rete metallica.
Lo salvarono la sua prontezza di riflessi e l’allenamento fatto a scuola con la squadra di hockey. Cadde dritto sui piedi, e un attimo prima che le sue suole toccassero la rete, il ragazzo allargò le braccia protendendole in avanti e riuscì ad aderire alla parete di cemento. Ricevette un colpo alquanto rude alle costole, ma in compenso la maggior parte del suo peso poggiò sulle braccia, e la rete tenne.
Il signor Kinnaird si mise carponi e allungò un braccio per afferrare una mano del figlio, ma scivolò ancora e mancò la presa. Furono Malmstrom e Colby che, senza sollevarsi dalla posizione bocconi, afferrarono l’amico per i polsi fornendogli un sufficiente punto d’appoggio perché potesse risalire scalando la breve parete di cemento.
Bob si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte, e suo padre si passò una mano sugli occhi, poi il signor Kinnaird si sforzò di sorridere. «Adesso sai a che cosa serve la rete!» disse, e dopo un attimo, ripresosi, aggiunse: «Credo che uno di noi due arriverà in ritardo per cena, perché se non mi sbaglio, quella barca legata alla scala è vostra e deve arrivare sino al canale.» I ragazzi confermarono la sua supposizione. «Bene, allora è meglio che vi imbarchiate prima che succeda qualcos’altro! Io vado a casa subito, così arrivo in anticipo, e facendo una media dei nostri due orari forse riusciremo a dimostrare a tua madre che siamo stati puntuali tutt’e due! Comunque sarà meglio non dirle niente delle tue acrobazie.» E con questo padre e figlio si separarono ridendo.
Il Cacciatore però non rideva. Difficilmente un’altra situazione gli sarebbe sembrata meno comica di quella! Aveva un mucchio di cose da dire al suo ospite, ne aveva tali e tante che non sapeva da quale cominciare.
Fu molto soddisfatto quando Bob lasciò a un altro i remi e andò a sedersi a prua. Appena il ragazzo staccò lo sguardo dagli amici per guardare il mare, il Cacciatore attirò la sua attenzione.
Bob! Le lettere che formavano il nome erano spesse, nerissime, e sottolineate. Se il Cacciatore avesse potuto, le avrebbe scritte colorate. Comunque il ragazzo capì che l’alieno aveva urgenza di parlare con lui, e immediatamente fissò il cielo sopra la linea dell’orizzonte.
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