Hal Clement - Strisciava sulla sabbia
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Finalmente superarono il canale e si trovarono al centro della baia. Su un lato, sparsi tra la barriera e l’isola vera e propria, apparivano numerosi cassoni squadrati, in cemento. Dovevano essere i serbatoi di petrolio dei quali aveva parlato Bob. Sporgevano dall’acqua per un paio di metri. Anche il più vicino era sempre troppo lontano per distinguerne i particolari, ma al Cacciatore parve che il tetto del cassone fosse quasi tutto di vetro. Dal resto partivano sovrastrutture geometriche, collegate l’una all’altra da stretti passaggi aerei, con una specie di scaletta che scendeva verso l’acqua. Proprio di fronte c’era una grossa costruzione, rettangolare come i serbatoi, ma molto più alta, con attorno altre costruzioni, serbatoi, pompe, e altro ancora. Sull’altro lato, rispetto al mercantile, si vedeva un intrico di cavi e condutture attorno alle quali si muovevano una trentina di uomini. Con tutta probabilità, pensò il Cacciatore, quello era una specie di magazzino da dove il carburante, prodotto principale dell’isola, veniva poi smistato.
«Bob! Ti serve aiuto per portare a terra la tua roba?» chiese Teroa dal basso.
«Sì, grazie» rispose il ragazzo. «Sono pronto fra un minuto.» Si guardò intorno ancora una volta, e il suo sorriso si allargò. Oltre l’angolo del dock era spuntata una jeep che adesso percorreva veloce il sentiero battuto e sopraelevato tra l’impianto e la spiaggia. Il ragazzo e i suoi bagagli vennero sbarcati a tempo di primato, e quando anche l’ultimo pezzo di Robert Kinnaird fu deposto sulla banchina, il ragazzo si precipitò verso l’uomo che, smontato dalla jeep, veniva verso di lui. Il Cacciatore osservò l’incontro con simpatia. Ormai l’extraterrestre si era familiarizzato con le facce umane, e scoprì subito la somiglianza tra padre e figlio. Il saluto di Bob fu caratterizzato dall’esuberanza propria della sua età. Il padre, pur chiaramente felice di riabbracciare il ragazzo, mantenne però una certa gravità che non sfuggì al Cacciatore. E lo straniero si disse che tra le altre cose adesso bisognava anche convincere il signor Kinnaird che, nonostante il provvedimento dell’istituto, suo figlio stava benissimo. In caso contrario la loro libertà d’azione ne sarebbe stata seriamente compromessa. Poi accantonò il problema, e si mise ad ascoltare quello che padre e figlio si dicevano. Il ragazzo subissò il padre con una fiumana di domande relative a tutto e a tutti. Sulle prime il Cacciatore si preoccupò per quella che gli parve una curiosità sospetta, ma presto capì che in quel momento Bob non aveva affatto in mente la loro missione e stava semplicemente cercando di riempire un vuoto di cinque mesi. Prestò la massima attenzione alle risposte del signor Kinnaird, con la speranza di captare qualche informazione utile, ma restò deluso quando l’uomo interruppe il figlio con una risata.
«Ragazzo, calmati! Ti assicuro che non so cos’hanno fatto tutti quelli dell’isola da quando sei partito! Forse potrai chiederglielo personalmente, che ne dici? Per il momento prendi la jeep e vai a casa, io devo fermarmi a sorvegliare il carico. Tua madre ti sta aspettando, figliolo. Vedi di dedicarle qualche minuto. Del resto adesso i tuoi amici sono ancora a scuola. Aspetta un momento…» Si chinò a togliere dalla jeep alcuni strumenti di lavoro.
«Oh, Dio santo! La scuola! Dovrò interessarmi anche di quella!» disse Bob. «Mi ero dimenticato che questa volta non sono qui per le vacanze!» Per un attimo parve talmente mortificato che suo padre scoppiò di nuovo a ridere. Ma non poteva sapere che la preoccupazione del figlio non aveva il motivo che lui le attribuiva. Il ragazzo comunque si riprese in fretta. «Be’, pazienza» disse. «Allora io vado a casa, papà. Ci vediamo all’ora di pranzo?»
«Sì, ammesso che tu mi faccia riavere la jeep appena hai finito di usarla! E non trovare la scusa che un po’ di moto mi fa bene!»
Bob rise. «Te la porterò appena mi sarò cambiato» rispose.
Caricate le valigie, Bob si mise al volante e raggiunse rapidamente la strada asfaltata che penetrava nell’isola per due o trecento metri, per congiungersi con l’arteria principale. Ai lati della breve strada sorgevano baracche costruite in lamiera, magazzini, pensò il Cacciatore. Le baracche continuavano su tutto il braccio più breve dell’isola. Vide anche sporgere la caratteristica sagoma di un serbatoio in cemento e si ripropose di chiedere perché quello fosse sulla terraferma anziché nell’acqua come gli altri.
Poco dopo il punto d’incontro fra le due strade, le case d’abitazione sostituirono le baracche. Per lo più sorgevano sul lato verso la spiaggia. La prima, però, fronteggiata da un grande giardino, era sulla destra, subito dopo la curva. Nel giardino si dava da fare un giovane con la pelle scura. Vedendolo, Bob pigiò sul freno, e appena la jeep si fermò il ragazzo lanciò un fischio acutissimo. Il giovane sollevò la testa e subito corse verso di lui.
«Bob! Non sapevo che saresti arrivato così presto! Che cos’hai combinato?»
Charles Teroa aveva soltanto tre anni più di Robert, ma il fatto di aver già finito gli studi l’autorizzava ad assumere un tono paterno con l’amico più giovane ancora impegnato a studiare.
A Bob la cosa non andava molto a genio, adesso però aveva qualche asso nella manica.
«Sempre meno di quello che hai combinato tu, stando a quel che mi ha detto tuo padre» disse.
«Figuriamoci se papà stava zitto!» ribatté Charles, ridendo. «Però è stato divertente!»
«Ma credi davvero che darebbe un lavoro a un tipo che se ne sta tutto il giorno a dormire?» chiese Bob, fedele alla promessa di non dire niente.
Charles parve offeso. «Cosa vorresti insinuare? Io non dormo mai quando ho qualche lavoro da fare.» Si voltò a guardare il suo giardino con le aiuole ben tenute, all’ombra degli alberi che crescevano attorno alla casa. «Guarda un po’ quello. Dammi qualcosa da fare e io lo faccio! In ogni caso non ho intenzione di continuare a studiare.»
«E che cosa farai allora?»
«Ho parlato delle mie intenzioni con il signor Denis. E se questo viaggio non gli ha dimostrato abbastanza, ritenterò.»
«Non ti scoraggi facilmente, eh?» disse Bob. «Quando rifarai il tentativo?»
«Non so ancora. Ti avvertirò quando sarò pronto. Vuoi venire anche tu?»
«Non ci penso nemmeno! Vedremo per quanto ti durerà l’idea. Ti saluto, bisogna che scarichi le valigie a casa e poi devo riportare la jeep a mio padre, e arrivare alla scuola per l’ora d’uscita.»
Charles scese dal predellino della macchina. «Peccato che tu non sia una di quelle cose di cui ci parlano a scuola e che possono dividersi in due! Ciao.»
Certe volte Bob aveva riflessi prontissimi. Senza accusare il colpo ricevuto dalle parole dell’amico, salutò, mise in moto, e subito dopo la curva accelerò. Percorsero circa ottocento metri fra case e giardini, poi il ragazzo portò la jeep su un lato della strada e fermò di nuovo.
«Cacciatore, non ci avevo pensato, ma Charlie me l’ha fatto venire in mente» disse agitato. «Hai detto che voi siete come le amebe. Siete come loro in tutto? Voglio dire, non sarà il caso che dovremo cercare più di un individuo della tua specie?»
Il Cacciatore dovette pensarci un momento prima di afferrare il significato della domanda. In sostanza mi hai chiesto se il nostro amico può essersi scisso in due come possono fare le vostre amebe , disse alla fine. Vedi, noi siamo assai più complessi delle amebe. L’individuo che stiamo cercando potrebbe benissimo aver generalo da sé un pezzo della sua carne, ma il nuovo nato raggiungerebbe il pieno sviluppo soltanto in uno dei vostri anni. Come ho detto, avrebbe potuto farlo, ma non credo, e per un motivo validissimo. Se l’avesse fatto quando si trovava nel corpo del suo ospite, il nuovo nato, mancando di qualunque cognizione sull’essere che lo ospitava, avrebbe rischiato di ucciderlo e nella sua cieca ricerca di nutrimento e nell’assoluta ignoranza del posto in cui viveva. La nostra razza possiede molte più cognizioni biologiche della vostra, ma i nostri neonati ignorano tutto, come i vostri, e vivere dentro un ospite forma la materia principale del nostro periodo di insegnamento. D’altra parte il nostro ricercato potrebbe aver effettivamente pensato a riprodursi, e per uno scopo del tutto egoistico: creare cioè un essere che con molta probabilità, data appunto la sua inesperienza, sarebbe stato facilmente rintracciato e distrutto dandomi l’impressione di aver distrutto lui stesso. Confesso di non aver preso in considerazione questa possibilità ma anche adesso la ritengo improbabile, non per la natura del fuggitivo, che non avrebbe esitato a fare una cosa simile, ma per il più semplice fatto che una volta trovato un ospite conveniente, il suo stesso egoismo gli avrà suggerito di non compromettere la propria sicurezza abbandonando il proprio rifugio per dare vita a un altro se stesso.
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