Hal Clement - Strisciava sulla sabbia
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L’ultima obiezione del Cacciatore fece riflettere Bob. La faccenda dell’ospedale non gli era venuta in mente.
«Non lo so» rispose alla fine. «Forse dovremo escogitare qualcosa che richieda come cura un periodo di riposo.» Fece una smorfia perché la cosa non gli andava a genio. «Io sono ancora del parere che tu possa intervenire senza per questo rovinarmi.»
Il Cacciatore non si compromise e disse che ci avrebbe pensato, raccomandò al ragazzo di fare lo stesso, e di trovare possibilmente qualche altra soluzione.
Bob promise, per quanto poco convinto. Anche il Cacciatore non era ottimista al riguardo. Non conosceva bene la psicologia del ragazzo, ma era propenso a credere che Bob non avrebbe affatto pensato a qualcos’altro se prima non avesse avuto la certezza che il suo piano originario era inattuabile.
Di conseguenza i soli progressi dei giorni successivi furono quelli fatti nel sistema di comunicazione. Come il poliziotto aveva previsto, gli era facile interpretare le contrazioni delle corde vocali del ragazzo, e perché lui potesse rispondere bastava che Bob fissasse una qualunque superficie sgombra. Cominciarono anche a servirsi di alcune abbreviazioni, rendendo più spedito il colloquio. Né l’uno né l’altro però ebbero nuove idee su come tornare sull’isola in piena regola.
Un osservatore estraneo, al corrente della situazione di Bob e in grado di penetrare i segreti d’ufficio della scuola, si sarebbe certamente divertito in quei giorni. Da un lato c’erano il Cacciatore e il suo ospite ossessionati dall’idea di escogitare un sistema per lasciare la scuola. Dall’altro, preside e professori, preoccupati, che cercavano di capire perché il ragazzo fosse cambiato così di colpo, diventando disattento e peggiorando notevolmente negli studi rispetto ai risultati sempre ottenuti. E qualcuno cominciò a pensare seriamente che fosse il caso di rimandare a casa sua il ragazzo, almeno per un certo periodo. La semplice presenza del Cacciatore, o piuttosto il fatto che Bob ne fosse a conoscenza, stava dando proprio i risultati voluti dall’extraterrestre e dal ragazzo.
Venne consultato il medico dell’istituto, il quale riferì che la salute di Robert Kinnaird era ottima, e che la ferita al braccio non era certo responsabile di un suo qualsivoglia squilibrio in quanto non presentava nessun segno d’infezione. I professori non sapevano più cosa pensare poiché era innegabile che il ragazzo fosse cambiato. Da gioviale e allegro si era fatto musone e orso. Dietro loro richiesta, il medico ebbe un colloquio privato con Bob. Non arrivò a stabilire niente di concreto ma ne riportò l’impressione che il ragazzo avesse qualche preoccupazione e desiderasse mantenerla segreta. Essendo un medico trasse una conclusione logica, ma errata, sulla natura di questa preoccupazione, e consigliò di rimandare il ragazzo dai suoi almeno per qualche mese.
Il preside della scuola scrisse al signor Kinnaird spiegando la situazione così come l’aveva prospettata il medico e dicendo che, se da parte dei signori Kinnaird non c’era niente in contrario, avrebbe disposto perché Robert tornasse immediatamente a casa. Il padre di Bob accettò la proposta del signor Raylance, pur non essendo molto convinto sulla teoria del medico. D’altra parte, se Bob non rendeva negli studi era stupido lasciarlo nell’istituto, qualunque fosse il motivo di questo scarso rendimento. Nell’isola poi c’era un ottimo medico e un’altrettanto ottima scuola, nonostante il parere della signora Kinnaird al riguardo, e appena stabilita la natura del malanno, Bob avrebbe frequentato la classe locale per mantenersi al corrente degli studi e non perdere l’anno. Il signor Kinnaird, al quale tra l’altro non dispiaceva affatto di avere presso di sé il figlio un po’ più del solito, mandò un telegramma al signor Raylance autorizzando il ritorno di Robert.
Dire che Robert e il Cacciatore restarono sorpresi quando ricevettero la notizia è usare un fiacco eufemismo. Il ragazzo fissò a bocca aperta il signor Raylance che l’aveva chiamato nel suo ufficio per comunicargli la notizia, mentre il Cacciatore si sforzava inutilmente di leggere alcune carte sparpagliate sulla scrivania del preside.
Finalmente Bob recuperò l’uso della parola. «Ma perché mi rimandate a casa, signore?» chiese. «È successo qualcosa ai miei?»
«No, no, non ti preoccupare figliolo. A casa tua stanno tutti bene. Abbiamo solo pensato che avessi bisogno di qualche mese di atmosfera casalinga. Ultimamente mi pare che i tuoi risultati non siano stati brillanti, vero Robert?»
«Volete dire che sono espulso dalla scuola? Ma… non mi sembrava di andare male…»
«Non si tratta di questo, Robert» si affrettò a rassicurarlo il preside. «Ma ci sembra che tu abbia qualche guaio personale, e il medico pensa che un po’ di tempo passato a casa ti farà bene. Saremo felicissimi di riaverti con noi l’anno prossimo. Se vuoi, ti daremo un programma particolareggiato del corso, in modo che l’insegnante dell’isola possa tenerti aggiornato. Se ti applicherai un po’ anche durante le vacanze, sono certo che tornando qui sarai in grado di frequentare tranquillamente la tua classe come se non ti fossi mai assentato. Va bene Robert? Oppure non ti fa piacere tornare a casa?»
«Oh, no! Sono felicissimo! Voglio dire che…» s’interruppe impacciato, cercando una frase adatta alla circostanza.
Il signor Raylance rise. «Va bene Bob, non ti preoccupare, ho capito benissimo quello che vuoi dire. Adesso vai pure a preparare i bagagli e saluta i tuoi compagni. Vedrò di trovarti un posto sull’aereo di domani. Mi dispiace che tu debba lasciarci. La squadra di hockey sentirà la tua mancanza! Comunque sono certo che tornerai in tempo per il campionato. Buona fortuna, Robert!»
Si strinsero la mano poi Bob, ancora sbalordito, tornò nella sua stanza a preparare le valigie. Non disse niente al Cacciatore. Non ce n’era bisogno.
Il signor Raylance riuscì a trovargli un posto sull’aereo, e il giorno seguente Bob prese l’autobus per Boston e salì sul quadrigetto in partenza a mezzogiorno per Seattle, dove cambiò aereo salendo sull’apparecchio per Honolulu.
Durante il volo la conversazione del ragazzo con il Cacciatore riguardò più che altro il viaggio. Solo quando furono sul Pacifico affrontarono nuovamente il loro problema, e la domanda di Bob venne fatta per pura curiosità perché il ragazzo non aveva mai pensato che il Cacciatore, una volta sul posto dove doveva svolgere le ricerche, potesse incontrare difficoltà superiori alle sue forze.
«Senti un po’» disse Bob, «come farai a ritrovare quel tuo amico? E quando l’avrai trovato come farai a farlo uscire senza far male al suo ospite?»
Per il Cacciatore fu un colpo. Impiegò cinque secondi buoni a chiedersi se per caso non avesse dimenticato in qualche posto quella parte di tessuto che solitamente gli serviva da cervello.
La sua preda doveva essersi nascosta in un essere umano come aveva fatto lui. Questo era normale. Di solito, quando bisognava trovare qualcuno che si era nascosto in un ospite, e che non era individuabile alla vista né al tocco, né all’olfatto o all’udito, si ricorreva a una serie di esami chimici, fisici e biologici con o senza la collaborazione dell’individuo che funzionava da ospite. Il Cacciatore era in grado di eseguire tutti questi esami, e in certi casi poteva farli talmente in fretta che gli bastava sfiorare un organismo sospetto per sapere se conteneva qualcuno della sua razza. Bob gli aveva detto che sull’isola c’erano circa centosessanta esseri umani. Sarebbero bastati alcuni giorni per fare gli esami necessari. Ma lui non poteva assolutamente fare quegli esami!
Tutto il suo equipaggiamento e l’attrezzatura necessaria erano andati persi con l’astronave. Anche ammesso, cosa del tutto improbabile, che potesse ritrovare lo scafo, era una pazzia sperare che gli strumenti e i vari recipienti che contenevano le sostanze chimiche apposite fossero ancora intatti dopo il naufragio e i cinque mesi passati nell’acqua salata.
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