Philip Farmer - Il fiume della vita

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Il fiume della vita: краткое содержание, описание и аннотация

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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— Possiamo anche fabbricare delle tubature per l’acqua con i bambù più grandi — suggerì Frigate.

Misero i loro graal sulla roccia, facendo ciascuno attenzione al punto in cui aveva collocato il proprio; e attesero. Burton intendeva muoversi dopo che i graal fossero stati riempiti. Una posizione a metà strada fra la cascata e la pietra-fungo poteva essere vantaggiosa, ed essi avrebbero avuto spazio a sufficienza.

Le fiamme azzurre uscirono ruggendo dalla roccia proprio quando il sole raggiungeva lo zenith. Questa volta i graal contenevano antipasto freddo, pane nero italiano spalmato di burro e aglio, spaghetti e polpette, un bicchiere di vino rosso secco, uva, altri cristalli di caffè, dieci sigarette, un’altra alla marijuana, un sigaro, altra carta igienica e una saponetta, e quattro cioccolatini ripieni. Alcuni si lamentarono perché non gradivano la cucina italiana, ma nessuno si rifiutò di mangiare.

Il gruppo, fumando le sigarette, s’incamminò lungo la base della montagna in direzione della cascata. Questa si trovava all’estremità del canyon triangolare, e lì, intorno al bacino, si era accampato un gruppo di uomini e donne. L’acqua era gelida. Dopo aver lavato e asciugato i contenitori e riempito i secchi, la squadra di Burton si volse di nuovo in direzione della pietra-fungo. Fu scelta una collina distante circa un chilometro, tutta coperta di pini tranne che sulla cima, dove cresceva un grosso albero del ferro. Tutt’attorno c’era una quantità di bambù di ogni dimensione. Sotto la guida di Kazz e di Frigate, il quale aveva passato alcuni anni in Malesia, tagliarono dei bambù e costruirono le capanne. Queste erano a forma circolare, con un’unica porta, una finestra sul retro, e un tetto conico di foglie. Lavorarono tutti in fretta, senza essere troppo meticolosi, e così per l’ora di cena mancava alle capanne soltanto il tetto. Frigate e Monat vennero messi di guardia mentre gli altri portavano i graal alla roccia. Qui trovarono circa trecento persone che stavano costruendo rifugi e capanne. Burton se l’era aspettato. La maggior parte della gente non aveva voglia di percorrere un chilometro, tre volte al giorno e tutti i giorni, per andare a prendere il cibo. Preferiva radunarsi intorno ai funghi di pietra. Le capanne, lì, erano sistemate a casaccio, e più vicine del necessario. C’era ancora il problema di trovare dell’acqua fresca, e per questo motivo Burton si era meravigliato che lì ci fossero tante persone. Ma una graziosa slovena lo informò che proprio quel pomeriggio era stata trovata una sorgente d’acqua lì vicino. Una fonte sgorgava da una grotta quasi a strapiombo sulla roccia. Burton andò a vedere. L’acqua usciva dalla grotta e precipitava lungo la parete rocciosa finendo in un bacino largo una quindicina di metri e profondo due o tre.

Burton si chiese se questo era un ripensamento da parte di Chi aveva creato quel luogo.

Fu di ritorno mentre le fiamme azzurre rumoreggiavano.

D’improvviso Kazz si fermò e si mise a orinare, senza prendersi la briga di voltarsi. Loghu ridacchiò, e Tanya divenne rossa. Le donne italiane erano abituate a vedere gli uomini accostarsi a un muro quando li coglieva la necessità, e Wilfreda era abituata a tutto. Alice, sorprendentemente, ignorò Kazz come se fosse stato un cane. E questo poteva spiegare il suo atteggiamento. Per lei Kazz non era un essere umano, quindi non ci si poteva aspettare che si comportasse come tale.

Non c’era alcun senso di rimproverare Kazz per questo, dato soprattutto che non capiva la lingua degli altri. Ma Burton avrebbe usato il linguaggio dei gesti la prossima volta che Kazz si fosse comportato così mentre gli altri sedevano intorno e mangiavano. Ognuno doveva imparare a rispettare certi limiti, e tutto ciò che poteva urtare gli altri mentre mangiavano doveva essere proibito. E questo, rifletté Burton, comprendeva le liti durante i pasti. Per esser sincero, Burton avrebbe dovuto ammettere di aver preso parte in vita sua a un numero fin troppo grande di dispute a tavola.

Passando accanto a Kazz gli diede un colpetto in cima al cranio dalla forma di pagnotta. Kazz lo guardò, e Burton scosse il capo, immaginando che l’altro avrebbe capito allorché avesse imparato a parlare inglese. Ma scordò all’istante il suo proposito: si fermò e strofinò la parte superiore della propria testa. Sì, c’era una lanuggine assai leggera.

Si toccò il volto, che era liscio come al solito. Ma le ascelle erano coperte di peluria. Però la regione pubica era glabra. Ma forse lì i peli crescevano più lentamente che sul capo. Comunicò la notizia agli altri, e quelli si toccarono e poi si ispezionarono a vicenda. Era vero, il pelo stava tornando, almeno in testa e alle ascelle. Kazz era l’eccezione. Il pelo gli stava crescendo sull’intero corpo, tranne che sul volto.

La scoperta rese tutti esultanti. Ridendo e scherzando s’incamminarono lungo la base della montagna, all’ombra. Poi piegarono verso est e si fecero strada attraverso l’erba di quattro colline prima di attaccare il pendio di quella alla quale cominciavano a pensare come alla propria sede. A metà cammino si fermarono, in silenzio. Frigate e Monat non avevano risposto alle loro grida.

Dopo aver raccomandato di sparpagliarsi e di avanzare lentamente, Burton li condusse su per la collina. Le capanne erano incustodite, e alcune delle più piccole erano state prese a calci o calpestate. Burton avvertì una sensazione di gelo, come se un vento freddo avesse soffiato su di lui. Il silenzio, le capanne danneggiate, la scomparsa dei due uomini: tutto ciò era di cattivo auspicio.

Un minuto dopo udirono delle grida di richiamo, e si voltarono per guardare giù dalla collina. In mezzo all’erba si intravedevano Monat e «Frigate, e quindi essi cominciarono a salire per il pendio. Monat aveva la faccia seria, ma l’americano stava sogghignando. Aveva delle contusioni sopra gli zigomi, e le nocche di entrambe le mani lacerate e sanguinanti.

— Stiamo giusto tornando dall’aver cacciato via quattro uomini e tre donne che volevano impadronirsi delle nostre capanne — spiegò. — Io dissi loro che avrebbero potuto costruirsele da sé, e che voi sareste stati di ritorno entro breve tempo e avreste fatto sputar loro i denti se non se ne fossero andati. Mi compresero benissimo, perché parlavano inglese. Erano risorti vicino al fungo situato accanto al fiume, a un chilometro di distanza dal nostro. Per la maggior parte erano triestini della sua epoca, Burton, ma c’era una decina di ex-abitanti di Chicago, morti intorno al 1985. È proprio buffa la distribuzione dei morti, non è vero? Direi che il criterio è del tutto casuale.

«Ad ogni modo io ripetei quello che, secondo Mark Twain, aveva detto il diavolo: Voi di Chicago ritenete di essere la gente migliore, mentre invece la verità è che siete solo la più numerosa. La cosa non piacque molto, e quelli avevano l’aria di pensare che io avrei dovuto essere più amichevole dato che ero americano. Una delle donne si offrì a me se avessi cambiato idea e non mi fossi opposto a che s’impadronissero delle capanne. Quella donna viveva già con degli uomini. Io risposi di no. Allora essi replicarono che avrebbero preso comunque le capanne, se necessario passando sul mio cadavere.

«Ma erano più coraggiosi a parole che a fatti. Monat li fece spaventare soltanto guardandoli. E inoltre noi avevamo le armi di pietra e le lance. Tuttavia il loro capo li stava incitando a scagliarsi contro di noi, quando io colsi un’occhiata penetrante da parte di uno di loro.

«La sua testa era calva, cosicché non aveva quei folti capelli neri e diritti, ed era sui trentacinque quando l’avevo conosciuto la prima volta, e a quel tempo portava occhiali cerchiati di madreperla, ed erano cinquantaquattro anni che non lo vedevo più. Ma mi avvicinai a lui, e lo guardai in faccia, dove era stampato il sogghigno che ricordavo, e dissi: " Lem? Lem Sharkko! sei Lem Sharkko , vero?"

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