Philip Farmer - Il fiume della vita

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In una valle sconfinata, lungo le sponde di un fiume immenso, si è radunala tutta l’umanità di tutti i tempi, miliardi di persone che hanno gia vissuto e che si sono risvegliate a una nuova vita in attesa di un destino ignoto. Questi uomini e queste donne continuano pero a conservare la propria mentalità e spesso a ripetere gli stessi errori di un tempo, cercando di dominare gli uni sugli altri. Ma la nuova esperienza può anche costituire una possibilità per raggiungere quegli obiettivi che si sono mancati prima: questa almeno e l’opinione di Francis Burton, il celebre esploratore che trascorse gran parte dei suoi anni in una sfortunata ricerca delle sorgenti del Nilo. Ora per Burton può ricominciare una nuova esaltante avventura…

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— Non ti ho preso con la violenza. Come ho sottolineato, hai fatto quello che avresti fatto se non fossi stata trattenuta dalle tue inibizioni. Queste inibizioni sono una buona cosa in certe circostanze, come essere la moglie legittima di un uomo amato in Gran Bretagna, sulla Terra. Ma la Terra non esiste più, almeno non come l’abbiamo conosciuta. E neppure la Gran Bretagna. E neppure la società inglese. E anche se tutta l’umanità è risorta e si trova sparpagliata lungo questo fiume, potresti ugualmente non rivedere più tuo marito. Non sei più sposata. Ricordi?… finché morte ci divida… Sei morta, e pertanto divisa. Inoltre non c’è matrimonio nel regno dei cieli.

— Lei è blasfemo, signor Burton. Ho letto di lei sui giornali, e ho letto anche qualcuno dei suoi libri sull’Africa e sull’India, e quello sui mormoni degli Stati Uniti. Ho anche sentito delle voci su di lei, alcune delle quali difficili da credere tanto la dipingevano malvagio. Reginald si adirò moltissimo quando lesse il suo Kasidah. Disse che non avrebbe tenuto in casa sua dei testi così immondi e atei, e gettò tutti i suoi libri nel forno.

— Se io sono così malvagio, e tu ti senti una donna perduta , perché non te ne vai?

— Devo ripetere ogni cosa? In un altro gruppo potrei trovare degli uomini peggiori. E, come lei ha così gentilmente sottolineato, non mi ha preso con la forza. Ad ogni modo sono sicura che lei ha un po’ di cuore sotto quell’aria cinica e beffarda. Ho visto le sue lacrime quando portava in braccio Gwenafra e questa piangeva.

— Hai scoperto il mio segreto — disse Burton, sogghignando. — Benissimo. Così sia. Sarò cavalleresco, mia signora, e non tenterò di sedurla o molestarla in alcun modo. Ma la prossima volta che mi vedrà masticare la gomma farà meglio a nascondersi. Per ora le do la mia parola d’onore: non ha nulla da temere da me finché non sarò sotto l’effetto della gomma.

Alice spalancò gli occhi e si fermò. — Ha intenzione di farne ancora uso?

— Perché no? A quanto pare trasforma alcune persone in bestie feroci, ma su di me non produce questo risultato. Non ne sento alcun bisogno, per cui dubito che ci sia assuefazione. Di tanto in tanto, sa, mi facevo una pipata d’oppio, eppure non sono diventato un oppiomane: perciò non credo di essere psicologicamente debole di fronte alle droghe.

— Mi risulta che molto spesso lei alzava il gomito, signor Burton. Lei e quell’essere disgustoso, il signor Swinburne…

Alice s’interruppe. Un uomo aveva gridato per attirare la sua attenzione, e benché ella non comprendesse l’italiano aveva capito il gesto osceno di quello. Arrossì tutta quanta ma continuò a camminare di buona lena. Burton lanciò un’occhiata all’uomo. Era un giovane dal corpo ben piantato e dalla pelle scura, con naso grande, mento sfuggente, occhi poco distaccati. Il suo eloquio era quello dei delinquenti di Bologna, città in cui Burton aveva trascorso molto tempo alla ricerca di tombe e cimeli etruschi. Dietro a costui c’erano dieci uomini, la maggior parte dei quali brutti e dall’aspetto malvagio come il loro capo, e cinque donne. Era evidente che gli uomini volevano aggiungere altre donne al gruppo. Era pure evidente che avrebbero voluto mettere le mani sulle armi di selce del gruppo di Burton. Essi erano armati soltanto dei loro graal o di bastoni di bambù.

CAPITOLO UNDICESIMO

Burton diede alcuni ordini con voce decisa, e il gruppo si strinse compatto. Kazz non comprese le parole, ma intuì subito quello che stava accadendo. Lasciò che gli altri lo sorpassassero, per rimanere in coda a formare la retroguardia insieme a Burton. Il suo aspetto belluino e la scure nel suo enorme pugno fecero alquanto esitare il bolognese. Questi seguì il gruppo con i suoi uomini, gridando pesanti commenti e minacce, ma senza avvicinarsi molto. Quando raggiunsero le colline, però, il capo della banda lanciò un ordine, e questa attaccò.

Il giovane con gli occhi poco divaricati si precipitò su Burton urlando e facendo oscillare il graal che teneva per la cinghietta. Burton calcolò il movimento del cilindro e lanciò il suo giavellotto di bambù nell’istante in cui il graal oscillava verso l’esterno. La punta di selce colpì l’uomo al plesso solare, e quello cadde sul fianco col giavellotto conficcato nel corpo. Il subumano colpì un graal oscillante con un bastone, che gli venne strappato di mano. Allora Kazz balzò avanti e abbatté il bordo della testa di scure sul capo del suo avversario, che cadde col cranio insanguinato.

Il piccolo Lev Ruach gettò il suo graal contro il petto di un uomo, poi prese la rincorsa e gli saltò addosso. I suoi piedi colpirono la faccia dell’avversario, che si stava rialzando, facendolo cadere all’indietro; Ruach rimbalzò e gli squarciò la spalla col coltello di selce. L’uomo, urlando, si rizzò in piedi e fuggì via.

Frigate si comportò meglio di quanto Burton si fosse aspettato, dato che quando la banda li aveva affrontati egli era impallidito e aveva preso a tremare. Il suo graal era assicurato al polso sinistro, mentre con la destra impugnava una testa di scure. Si precipitò contro gli assalitori e fu colpito a una spalla con un graal. Il colpo venne ammortizzato alquanto dal suo stesso graal, ma egli cadde a terra sul fianco. Un uomo sollevò con ambo le mani un bastone di bambù per abbatterlo su Frigate, ma questi rotolò via sollevando il proprio graal per bloccare il bastone. Quindi si rialzò, caricò l’uomo a testa bassa, e lo fece cadere all’indietro. Anche Frigate cadde sopra l’altro, e lo colpì due volte alla tempia con l’ascia di pietra.

Alice aveva sbattuto il proprio graal in faccia a un uomo, e ora lo stava colpendo con l’estremità della lancia di bambù appuntita col fuoco. Loghu balzò di fianco a un avversario e lo colpì in testa col suo bastone, così forte che quello cadde in ginocchio.

Entro sessanta secondi il combattimento era finito. Gli altri uomini fuggirono, seguiti dalle loro donne. Burton girò a faccia in su il capo della banda, che urlava, e gli estrasse la lancia dalla bocca dello stomaco. La punta non era penetrata più di un centimetro.

L’uomo si rialzò, e stringendosi la ferita che sanguinava si allontanò barcollando verso la pianura. Due della banda avevano perso i sensi, ma probabilmente sarebbero sopravvissuti. L’uomo che Frigate aveva attaccato era morto.

L’americano, da pallido che era, divenne rosso e poi pallido di nuovo. Ma non sembrava dispiaciuto o disgustato. Se la sua espressione indicava qualcosa, era euforia. E sollievo.

— Questo è stato il primo uomo che io abbia mai ucciso! — esclamò. — Il primo!

— Dubito che possa essere l’ultimo — osservò Burton. — A meno che prima venga ucciso lei.

Ruach, guardando il cadavere, disse. — Un uomo che muore qui sembra in tutto e per tutto uno che sia morto sulla Terra. Chissà dove vanno quelli che sono uccisi nell’aldilà?

— Se vivremo abbastanza a lungo potremo scoprirlo. Voialtre due donne avete dato una buona prova di voi stesse.

— Io ho fatto quello che c’era da fare — replicò Alice, e si allontanò. Era pallida e tremava Loghu, invece, sembrava tutta contenta.

Arrivarono alla pietra-fungo una trentina di minuti prima di mezzogiorno. La situazione era cambiata. Nella valletta tranquilla c’erano circa sessanta persone, molte delle quali stavano lavorando su pezzi di selce. Un uomo si premeva la mano su un occhio sanguinante, nel quale era volata una scheggia. Parecchi altri avevano la faccia sanguinante o le dita contuse.

Burton rimase contrariato, ma non poteva far nulla. L’unica speranza di riprendere possesso di quel tranquillo rifugio era che gli intrusi se ne andassero a causa della mancanza d’acqua. Tale speranza sparì in fretta. Una donna disse a Burton che a poco più di due chilometri in direzione ovest c’era una piccola cascata. Precipitava dalla cima della montagna in un canyon a forma di punta di freccia e da lì in un grande bacino che era pieno solo a metà. Alla fine l’acqua sarebbe traboccata aprendosi una via in mezzo alle colline e disperdendosi nella pianura. A meno che, naturalmente, non si fossero portate giù delle pietre dalla base della montagna in modo da formare un canale.

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