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Algis Budrys: Il satellite proibito

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Algis Budrys Il satellite proibito

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La fantascienza è l’unico genere letterario nel quale l’uomo sia direttamente e concretamente posto a confronto con l’infinito. In questo dato risiede il suo fascino principale: perchè dall’infinito emerge l'enigma, l’ignoto, l’incubo, ed il confronto si trasforma in una sfida. Questo romanzo di Algis Budrys (un autore che i lettori di «Futuro» hanno già avuto modo di apprezzare) ripropone uno dei temi più classici della narrativa fantascientifica: quello della minaccia nascosta in un mondo sconosciuto, del mistero che deve essere rivelato a rischio della vita. Il mondo che cela l’enigma, e dà corpo alla sfida, è il nostro satellite naturale: la Luna, che l’uomo ha appena sfiorata, e che cela nelle sue viscere un segreto mortale. Cosa si nasconde in fondo al labirinto dal quale nessun esploratore è mai uscito vivo? Quale intelligenza maligna ha potuto concepire una trappola cosi crudele e mostruosa? L’intelletto umano non possiede strutture adeguate a scandagliare un abisso così folle e contorto, anche perchè la «cosa» che si cela in fondo all’abisso è a sua volta al di là della follia e dell’assurdo. «Il satellite proibito» è il più originale e famoso tra i romanzi di Budrys. Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1961.

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All'improvviso si girò di scatto. — Andate all'inferno, tutti quanti! — gridò. — Tutti! — Cominciò a correre goffamente sull'erba, verso la sua macchina.

Hawks lo seguì con lo sguardo. — Non è in condizioni di guidare.

Barker fece una smorfia. — Non andrà. Piangerà e si addormenterà in macchina, e dormirà per qualche ora. Poi rientrerà in casa, per farsi consolare da Claire. — Guardò la donna, abbassando la testa con uno scatto che spezzò la catena di morsi delicati. — Non è vero? Non fa sempre così?

Claire strinse le labbra. — Non è colpa mia, se lo fa.

— No? — chiese Barker. — È a me che sta dietro?

Con un ringhio rabbioso, gutturale, Claire disse: — Forse ti ha già preso. Ma non ha ancora preso me.

La mano di Barker si avventò fulminea, e Claire arretrò, coprendosi la guancia. Poi sorrise sarcastica: — Sapevi fare di meglio. Una volta facevi molto meglio. Ma non è andata troppo male — ammise.

— Barker — disse Hawks — voglio dirle che cosa si troverà a dover affrontare.

— Me lo dirà quando ci sarò arrivato! — scattò l'altro. — Non ho intenzione di tirarmi indietro proprio adesso.

— Forse era proprio quello che voleva farsi rispondere da te, Al — osservò Claire. — Prospettandola in questo modo. — E sorrise a Hawks. — Chi dice che Connington è l'unico a tramare?

— Qual è il modo più semplice per tornare in città? — chiese Hawks.

— L'accompagnerò io in macchina — disse freddamente Barker, e fissò l'altro negli occhi. — Se è disposto a tentare.

Claire mormorò una risatina e all'improvviso strusciò la guancia lungo la coscia di Barker, con una contrazione di tutto il corpo, un movimento ondulante, serpentino. Guardò Hawks con gli occhi spalancati e umidi, stringendo con le braccia alzate la vita di Barker. — Non è grande? — chiese a Hawks, con voce rauca. — Non è un uomo?

5

Barker trotterellò rigido verso lo spiazzo del garage , e alzò la porta con uno scroscio, mentre Hawks attendeva ai piedi della scala d'ardesia. Dietro di lui, Claire mormorò: — Guardi come si muove… guardi come fa le cose. È una macchina meravigliosa, costruita di viscere e di legno di quercia. Non esistono altri uomini come lui, Ed… nessuno è uomo quanto lui! — Hawks dilatò le narici.

Nel garage il motore si accese con un rombo rabbioso, e poi una macchina sportiva corta, larga, quasi squadrata uscì in una nube di suono. — È la mia nuova mangiastrada — gridò Barker, seduto al volante.

Hawks fece il giro, salì a bordo dell'auto senza portiere, e si raggomitolò nel sedile di metallo privo d'imbottitura, sistemato in modo da lasciare più spazio al guidatore. La macchina aveva un'altezza massima, forse, di ottanta centimetri nel punto più alto della sua linea nettamente curva.

— Non è ancora stata spremuta al massimo! — gridò Barker nell'orecchio di Hawks. Claire stava a guardare, con gli occhi accesi. Connington, afflosciato sul volante della Cadillac e girato di sbieco verso di loro, alzò la faccia gonfia e contorse le labbra in una smorfia triste.

— Pronto? — gridò Barker, alzando i giri del motore e scostando il piede destro dal centro del pedale del freno, fino a quando lo tenne premuto solo con l'orlo della suola di cartone dei modesti sandali da spiaggia. — Non ha paura, vero? — Lanciò a Hawks un'occhiata penetrante. — Vero?

Hawks tese la mano e staccò la chiavetta dell'accensione. — Capisco — disse sottovoce.

Con uno scatto fulmineo, Barker gli serrò rabbiosamente il polso. — Io non sono Connington, e questa non è una bottiglia… mi restituisca le chiavi.

Hawks allentò le dita, fino a quando le chiavi furono sul punto di cadere. Tese l'altro braccio, bloccando il goffo tentativo che Barker faceva per prenderle con la sinistra. — Adoperi la mano con cui mi tiene il polso — disse.

Lentamente, Barker prese le chiavi. Hawks scese dalla macchina.

— Come conti di arrivare in città? — chiese Claire, mentre lui passava davanti alla scala.

— Quand'ero ragazzo, facevo lunghissime passeggiate. Ma non per dimostrare la mia resistenza fisica.

Claire s'inumidì le labbra. — Nessuno riesce a crearti fastidi che contano, vero? — chiese.

Hawks si voltò e si avviò a passo fermo verso il vialetto in pendenza.

Aveva appena posto piede sull'inizio della discesa quando Barker gli gridò dietro qualcosa con voce strozzata e incomprensibile, e la macchina si rimise in moto e gli passò accanto, sfrecciando. Barker guardava fisso oltre il cofano corto: lanciò la vettura in una sterzata. Sollevando una nube di polvere e ghiaia, con il muso verso la parete rocciosa. Nell'istante in cui il paraurti anteriore sinistro ebbe superato l'angolo del precipizio, Barker cambiò bruscamente marcia. Per un istante, il fianco destro si sporse oltre l'orlo del piccolo burrone. Poi le ruote posteriori fecero presa e la macchina sfrecciò oltre il primo angolo del viottolo, fuori di vista. Si udì immediatamente lo stridore dei freni, un grande urlo dei pneumatici.

Hawks continuò a scendere a passo deciso, in mezzo alla polvere turbolenta che gradualmente ricadde in due solchi fumanti, provenienti dalle strisciate della curva. Barker fissava il mare, seduto, le mani contratte sulla parte alta del volante e la faccia sudata incrostata di polvere gialla. La macchina era sporca, e tremava ancora un po' per la tensione degli ammortizzatori, ferma accanto alla cassetta delle lettere e separata dall'oceano, solo dalla larghezza della strada d'accesso. Quando Hawks sopraggiunse, senza muovere la testa, Barker disse con voce chiara: — Non avevo mai fatto questo tratto a tale velocità.

Hawks svoltò per la via d'accesso e si avviò verso il ponte di legno.

— Ha intenzione di farsela a piedi fino in città? — abbaiò rauco Barker. — Coniglio d'un figlio di vacca!

Hawks girò su se stesso. Tornò indietro, si fermò, appoggiando le mani sul bordo della macchina, dalla parte del sedile passeggeri, e guardò Barker dall'alto in basso. — L'aspetto all'ingresso principale domattina alle nove in punto.

— Cosa le fa pensare che verrò? Cosa le fa pensare che prenderò ordini da un uomo che non fa quello che saprei fare io? — Gli occhi di Barker scintillavano di frustrazione. — Che cosa le ha preso?

— Io sono una specie d'uomo. Lei è di un'altra specie.

— E questo cosa vorrebbe dire? — Barker cominciò a battere il palmo della mano sul volante. Era iniziato come un tocco delicato e divenne un martellare meccanico. — Non la capisco !

— Lei è un suicida — disse Hawks. — Io sono un assassino. — Si voltò per andarsene. — Dovrò ucciderla molte, molte volte, in molti modi incredibili. Spero soltanto che lei ci s'impegni con tutto l'amore che crede di poterci mettere. Domattina alle nove in punto, Barker. Al cancello faccia il mio nome. Avvertirò che la lascino passare.

E si avviò.

Barker borbottò: — Già. — Si alzò dal sedile e urlò: — Connie aveva ragione, lo sa? Aveva ragione! Noi due facciamo una grande coppia!

La luce del sole gli danzava sulla faccia, riflessa dalle schegge della bottiglia di whisky caduta sull'orlo della strada. La sua espressione cambiò bruscamente, e invertì la marcia, risalendo il viottolo con la stessa rapidità con cui il camaleonte fa saettare la lingua, e sparì oltre la diramazione.

PARTE SECONDA

Hawks arrivò finalmente all'emporio che sorgeva nel punto in cui la strada di sabbia si congiungeva con l'autostrada. Portava la giacca sul braccio e la camicia, che aveva slacciato alla gola, era umida di sudore e gli aderiva al magro corpo.

Si fermò e diede un'occhiata all'emporio, un piccolo edificio di legno grigiastro, con una falsa facciata squadrata, accanto alla quale si ammucchiavano malconce cassette di bottiglie vuote e sporche di bibite analcoliche.

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