Algis Budrys - Il satellite proibito

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La fantascienza è l’unico genere letterario nel quale l’uomo sia direttamente e concretamente posto a confronto con l’infinito. In questo dato risiede il suo fascino principale: perchè dall’infinito emerge l'enigma, l’ignoto, l’incubo, ed il confronto si trasforma in una sfida. Questo romanzo di Algis Budrys (un autore che i lettori di «Futuro» hanno già avuto modo di apprezzare) ripropone uno dei temi più classici della narrativa fantascientifica: quello della minaccia nascosta in un mondo sconosciuto, del mistero che deve essere rivelato a rischio della vita. Il mondo che cela l’enigma, e dà corpo alla sfida, è il nostro satellite naturale: la Luna, che l’uomo ha appena sfiorata, e che cela nelle sue viscere un segreto mortale. Cosa si nasconde in fondo al labirinto dal quale nessun esploratore è mai uscito vivo? Quale intelligenza maligna ha potuto concepire una trappola cosi crudele e mostruosa? L’intelletto umano non possiede strutture adeguate a scandagliare un abisso così folle e contorto, anche perchè la «cosa» che si cela in fondo all’abisso è a sua volta al di là della follia e dell’assurdo. «Il satellite proibito» è il più originale e famoso tra i romanzi di Budrys.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1961.

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— Forse non è giusto per quaranta litri, signor mio? — chiese bellicoso l'uomo. — Vuole andare a vedere cosa dice quella stramaledetta pompa?

— Per trentasei litri non va bene. Ho già guardato. — Hawks continuò a fissare l'uomo, che all'improvviso si girò e frugò di nuovo nel cassetto, e poi gli diede altri spiccioli.

— Venite qui a trattare così un uomo nel suo negozio — borbottò, sottovoce. — Avanti, se ne vada, tanto non vuole comprare neinte. — E si voltò verso il retrobottega.

Hawks uscì e diede il resto alla ragazza. Quando la porta a zanzariera si chiuse alle sue spalle, il campanello tintinnò, ed egli scosse il capo. — È colpa mia se si è comportato in quel modo. L'ho sconvolto. Mi dispiace che sia stato così scortese con lei.

La ragazza aveva portato con sé la borsetta: vi ripose il resto. — Non è responsabile lei, se quello è fatto così. — Senza alzare la faccia, chiese, con un certo sforzo: — Vuole… vuole che le dia un passaggio fino in città?

— Fino alla fermata dell'autobus, sì, grazie. — Le sorrise gentilmente, quando lei alzò gli occhi. — Avevo dimenticato che non sono più un giovanotto. Ho fatto una passeggiata più lunga di quanto pensassi.

— Non è necessario che lo spieghi a me — rispose la ragazza. — Pensa di aver bisogno del passaporto, per farsi dare un passaggio?

Hawks alzò le spalle. — Sembra che la gente lo pretenda. — Scosse di nuovo il capo, un po' perplesso. — Perché non lo pretende anche lei?

La ragazza aggrottò la fronte e strisciò i piedi per terra. — Devo andare fino in città — disse. — È assurdo che la faccia scendere alla fermata dell'autobus.

Hawks tastò impacciato la giacca che teneva sul braccio. Poi l'indossò e l'abbottonò. — Va bene. — Una lieve ruga verticale gli s'incise tra le sopracciglia. Si lisciò la giacca contro le costole. — La ringrazio.

— Allora andiamo — disse la ragazza. Salirono in macchina e si inserirono nella corrente del traffico dell'autostrada.

Rimasero seduti rigidi, mentre la macchina correva, e i pneumatici sobbalzavano regolarmente sulle giunture a espansione dei blocchi di cemento.

— Non credo di aver l'aria di una di quelle che si caricano gli uomini in macchina — disse la ragazza.

Hawks la guaito, e aggrottò di nuovo la fronte. — È molto carina.

— Ma non sono una ragazza facile! Le ho solo offerto un passaggio. Perché ne ha bisogno, suppongo. — Le unghie scarlatte tambureggiavano contro la plastica consunta e graffiata del volante.

— Lo so — disse Hawks, senza alzare la voce. — E non credo che l'abbia fatto per gratitudine. Avrebbe potuto farcela da sola, a mettere al suo posto quel tipo. Io le ho solo risparmiato una piccola seccatura. Non sono il suo eroico salvatore, e non ho conquistato la sua mano in un duello mortale.

— Bene, allora — fece lei.

— Ecco che torniamo a cacciarci in trappola — disse Hawks. — Nessuno dei due sa cosa fare. Parliamo a circoli viziosi. Se quel tale non fosse uscito dal retrobottega, saremmo ancora nell'emporio, a fare una danza rituale l'uno intorno all'altra.

La ragazza annuì con veemenza. — Oh, mi scusi… Pensavo che lavorasse qui! — esclamò, parodiando se stessa.

— No… ehm… non ci lavoro — recitò lui.

— Beh… uhm… non c'è nessuno?

— Non lo so. Pensa che dovremmo provare a chiamare, o qualcosa del genere?

— Cosa dovremmo dire?

— Ehi!?

— Forse dovremmo battere una moneta sul banco?

— Io… ehm… ho solo un biglietto da cinque dollari.

— Beh, allora… — Hawks s'interruppe, in una tesa imitazione di un mormorio imbarazzato.

La ragazza batté spazientita il piede sinistro sul tappetino. — Sì, sarebbe andata esattamente così! E adesso lo stiamo facendo qui, anziché là. Lei non può rimediare?

Hawks trasse un profondo respiro. — Mi chiamo Edward Hawks. Quarantadue anni, scapolo, laureato. Lavoro per la Continental Electronics.

La ragazza disse: — Mi chiamo Elizabeth Cummings. Ho appena cominciato a lavorare come disegnatrice di moda. Nubile. Venticinque anni. — Poi gli lanciò uno sguardo di sottecchi. — Perché andava a piedi?

— Facevo spesso lunghe passeggiate, quand'ero ragazzo — disse lui. — Avevo molte cose cui pensare. Non riuscivo a capire il mondo, e cercavo di scoprire il segreto per vivere bene. Se mi sedevo in poltrona a casa, per pensarci, i miei genitori si preoccupavano. Qualche volta pensavano che la mia fosse pigrizia, e qualche volta che io fossi strano. Non so bene. Se andavo in qualche altro posto, c'era sempre gente di cui dovevo tener conto. Perciò facevo delle passeggiate, per stare solo con me stesso. Camminavo per chilometri e chilometri. E non riuscivo a scoprire il segreto del mondo, né che cosa non andava in me. Ma sentivo che mi stavo avvicinando. Bene, con il passare del tempo, ho imparato poco a poco a comportarmi nel modo più appropriato, secondo me. — E sorrise. — È per questo che andavo a piedi, questo pomeriggio.

— E adesso dove sta andando?

— Torno al lavoro. Devo fare alcuni preparativi per un progetto che incominciamo domani. — Guardò per un attimo fuori del finestrino, poi tornò a fissare Elizabeth. — Lei dove va?

— Ho uno studio in centro. Anch'io devo lavorare fino a tardi, stasera.

— Mi darà l'indirizzo e il numero del telefono, in modo che domani possa chiamarla?

— Sì — disse lei. — Domani sera?

— Se posso.

Elizabeth disse: — Non mi faccia domande, se conosce le risposte. — E lo guardò. — Non mi dica cose senza importanza, solo per passare il tempo.

— Allora avrò molte più cose da dirle.

La ragazza fermò la macchina davanti al cancello della Continental Electronics, per farlo scendere. — Lei è il famoso Edward Hawks — disse.

— E lei è la famosa Elizabeth Cummings.

La ragazza indicò i bianchi edifici sparsi. — Sa benissimo cosa intendo dire.

Lui la guardò, serio serio. — Io sono il famoso Edward Hawks che è importante per un altro essere umano. E lei è l'altrettanto famosa Elizabeth Cummings, nello stesso senso.

La ragazza gli sfiorò la manica, mentre Hawks apriva la portiera. — È troppo pesante per portarla in una giornata così.

Hawks si soffermò accanto alla macchina, si sbottonò la giacca e la tolse, se la gettò di nuovo sul braccio. Poi sorrise, alzò la mano in un gesto incerto, si voltò, e passò oltre il cancello che una guardia gli teneva aperto.

PARTE TERZA

1

La mattina, alle nove meno un quarto, il telefono del laboratorio squillò. Sam Latourette prese il ricevitore dalle mani del tecnico che l'aveva sollevato. Disse: — Beh, se è così, non lasciarti incantare, Tom. Digli che aspetti. Avvertirò Ed Hawks. — Riattaccò e si recò trascinando i piedi verso il punto dove Hawks si trovava in compagnia di un gruppo di tecnici della Marina, che preparavano l'equipaggiamento destinato a Barker.

La tuta era aperta sul lungo tavolo regolabile, come un'aragosta sezionata: dai lati scendevano i tubi staccati dell'aria, e le giunture seghettate spiccavano come deformate dall'artrite, a causa dei motorini elettrici e dei pistoni idraulici incorporati che dovevano muoverle. Hawks aveva portato i fili da una presa di corrente alle giunture: la tuta si fletteva e si torceva, strusciando pesantemente le gambe sul rivestimento di plastica del tavolo e agitando le chele e gli utensili all'estremità delle braccia.

Uno degli specialisti della Marina accostò una bombola d'aria compressa e vi inserì i tubi. A un cenno di Hawks il casco, crestato da costolature di rinforzo e con il vetro anteriore sbarrato da una grata di tondini d'acciaio, emise un sibilo stridulo attraverso le prese, mentre la superficie del tavolo scricchiolava.

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