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Sheri Tepper: Pianeta di caccia

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Sheri Tepper Pianeta di caccia

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Marjorie Westriding Yrarier è stata inviata sul pianeta Grass per rispondere a un misterioso interrogativo: un contagio si sta spargendo fra le stelle, un’epidemia mortale che minaccia di distruggere la razza umana. Nessun pianeta ne è rimasto immune, tranne Grass. Perché? Poco si conosce di Grass, se non che si tratta di un luogo idilliaco, dove la natura è assolutamente intatta e l’ambiente conserva un perfetto equilibrio. Interamente coperto dalle più strane varietà di vegetazione che si possano immaginare, il pianeta è un’autentica anomalia cosmica. Un gruppo di famiglie giunte secoli prima per colonizzarlo hanno edificato rapidamente una nuova società, ignorando la presenza aliena e creando un’aristocrazia che ruota attorno all’evento della Caccia. Con il passare delle generazioni, la vita su Grass e i vari usi e costumi sono sempre più sprofondati nel mistero e la Caccia, evento già ben noto sulla Terra, si è ora trasformato in uno strano rito, tremendo e inquietante. Già, perché qual è la vera natura e la vera funzione delle creature che partecipano alla Caccia, che cosa si nasconde dietro questo ciclico rituale e soprattutto... qual è la preda? Come ben presto intuisce Lady Westriding, su questo strano pianeta lontano milioni di chilometri vi sono più misteri di quanti se ne possano immaginare. Un romanzo originalissimo, magistrale nel ritratto di un’ecologia aliena e nello studio dei Nominato per i premi Hugo e Locus per in 1990.

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Alcuni di noi odiavano gli umani perché ci cacciavano. Alcuni pensavano che non fosse affar nostro, che non dovessimo preoccuparci, perché non sareste diventati nostri amici, più di quanto lo fossero diventati gli Arbai. Io spiegai che Mainoa era un amico, però mi risposero che era unico, diverso da tutti gli altri: una eccezione. Io sostenni che altri sarebbero diventati amici. Poi sei arrivata tu. Gli altri hanno detto che anche tu eri una eccezione, ma io ho sostenuto che altri diventeranno amici. Ne abbiamo discusso a lungo, infine siamo giunti a un compromesso. Allegria. Quasi una risata. Ma anche tristezza, esitazione. Abbiamo concordato che, se sei davvero mia amica, posso dirlo a te.

A me?

Se mi darai la tua parola di essermi amica come lo è stato Mainoa, e di restare con me.

Poiché aveva già deciso di rimanere su Grass, dove almeno la gente avrebbe capito quello che era accaduto a Stella, Marjorie assentì senza esitare: Hai la mia parola.

Resterai con me?

Sì.

Anche se non sarà qui?

Non qui? E dove, se non qui? Invano Marjorie attese risposta, rammaricandosi di non vedere il Suo viso, la Sua espressione.

Ogni volpe vede le altre volpi.

Era naturale: ogni volpe vedeva le altre volpi, nell’intimo. Marjorie arrossì: lei stessa avrebbe potuto vedere le volpi allo stesso modo se si fosse spogliata di se stessa per unirsi a loro. Come gli amanti si denudavano per unirsi ai loro amanti, così le volpi si spogliavano da tutti i veli dell’illusione per percepire la realtà. Tuttavia Marjorie in quel momento non riusciva a vedere Lui. Non le restava che rifiutare le sue condizioni, oppure accettarle come se si trattasse di un rituale, o una cerimonia di matrimonio, promettendo di abbandonare tutti gli altri per una creatura enigmatica, senza alcuna certezza su cui basarsi, e giurando di rinunciare al nucleo della propria personalità per qualcosa d’altro. Consapevole del pericolo, Marjorie trasalì. Si trattava di prendere o lasciare, ma come poteva? Era proprio quello che voleva anche Rigo, e lei aveva tentato più e più volte, sempre invano, perché non era riuscita a conoscerlo, a fidarsi di lui. Doveva fidarsi di Primo? Non soltanto Lui era riuscito a comprenderla, ma aveva impegnato Se Stesso e la Sua gente per salvare lei e la sua gente. Cos’altro avrebbe potuto fare per meritare fiducia? Cos’altro avrebbe potuto chiedergli di fare? Sentendosi soffocare, Marjorie sospirò e si impegnò per sempre: Sì, lo prometto.

Allora Lui le mostrò perché e come gli Arbai erano morti, e perché l’umanità stava morendo.

Quando ebbe compreso, Marjorie si appoggiò a Lui, mentre idee, ricordi, riflessioni, intuizioni le turbinavano senza ordine nella mente. Poco a poco, e senza che Lui intervenisse, ogni dettaglio si combinò con gli altri a comporre finalmente un quadro preciso e coerente. La sua comprensione era soltanto parziale, eppure la risposta era là, vicina, come un tesoro che si rivelasse scintillando nella corrente di un fiume. C’è una cosa che devi prendere per me , pensò Marjorie. Poi dovrò percorrere questi sotterranei fino alla città.

In silenzio, senza farsi notare, Marjorie arrivò nella caverna e rimase immobile in un angolo, a concentrarsi per essere in grado di spiegare tutto nella maniera più ordinata.

Dopo un poco, Lees Bergrem, curva sulla scrivania, si accorse di essere osservata e alzò lo sguardo: — Marjorie?! Pensavo che foste all’Albergo dell’Astroporto, assediata dagli Hippae!

— Esiste almeno una galleria che passa sotto la Mug. Me ne sono servita per tornare qui. Debbo parlarvi.

— Non ho tempo per parlare di niente — rifiutò Lees, volgendosi per riprendere il proprio lavoro.

— Credo di sapere come trovare una cura per la peste.

Con occhi ardenti, Lees si rigirò a scrutare Marjorie: — Ah, così, semplicemente, lo sapete?

— Sì, così. Per la verità, sono a conoscenza di qualcosa d’importante. O meglio: due cose importanti.

— Dite pure.

— La prima cosa importante è questa: gli Hippae sterminarono gli Arbai scagliando pipistrelli morti nei loro apparecchi di teletrasporto. Poiché noi non disponiamo di nulla del genere, gli Hippae ci uccidono collocando pipistrelli morti nelle nostre cosmonavi.

— Pipistrelli morti! — Less si imbronciò, meditando. — Sylvan bon Damfels ha detto che si tratta di un comportamento simbolico.

— Oh, certo che è simbolico. Il problema è che abbiamo pensato che fosse soltanto simbolico. Invece avremmo dovuto rammentare che spesso i simboli sono, per così dire, distillati di realtà. Ad esempio, le bandiere erano un tempo stendardi di battaglia, mentre la croce era anticamente uno strumento di esecuzione capitale. Voglio dire, insomma, che i simboli si riferiscono a qualcosa che è, oppure era, reale.

— Fin qui siamo d’accordo — ammise Lees, scrutando torvamente Majorie. — Ma quale realtà simboleggiano i pipistrelli?

Marjorie si massaggiò tristemente la testa: — Parassiti che provocano dolorose ferite al collo, in origine. Gli Hippae si scagliano pipistrelli morti a vicenda: li ho veduti io stessa.

— Ma questo lo sappiamo! Sylvan bon Damfels ha spiegato che scagliarsi pipistrelli morti equivale ad una offesa. Significa: «Sei soltanto un parassita».

— Sì, questo era il significato, in origine, nonché all’epoca in cui gli Hippae scagliarono pipistrelli morti agli Arbai. Un tempo, sulla Terra, esistevano animali che gettavano feci alle creature di razze diverse. Ebbene, gli Hippae disprezzano gli stranieri. Credono che le altre creature siano strumenti da usare, come i migerer e i cacciatori, oppure da disprezzare e, se possibile, da uccidere. Gli Arbai rientravano in quest’ultima categoria, perciò gli Hippae scagliarono pipistrelli morti contro di loro, nelle loro case, nei loro apparecchi di telestraporto. Così, per puro caso, un pipistrello morto, che qua su Grass era usato soltanto in funzione simbolica, fu teletrasportato su un altro pianeta, dove assunse un altro significato: peste, morte.

— Il veicolo del contagio.

— Esatto. Accadde quasi sicuramente così: sul pianeta dove uno o più pipistrelli morti furono casualmente teletrasportati, gli Arbai perirono. In seguito, gli Arbai che abitavano Grass raccontarono stupidamente agli Hippae quel che era avvenuto. Da allora in poi il significato del comportamento simbolico mutò da «sei un parassita» a «sei morto». Una volta scoperto il modo di uccidere, gli Hippae continuarono a scagliare pipistrelli morti negli apparecchi di teletrasporto. Tale comportamento non era più meramente simbolico, bensì anche reale.

— Continuate.

— In questo modo, tutti gli Arbai dell’universo furono contagiati. Forse bastò poco tempo: un giorno soltanto, o una settimana. Ogni volta che potevano farlo senza essere osservati, gli Hippae diffondevano il contagio. Gli Arbai erano così categorici nella loro filosofia, che non pensarono neanche, mai, a sorvegliare gli apparecchi di teletrasporto. Supponiamo che, come una rete computerizzata, gli apparecchi di teletrasporto degli Arbai fossero collegati gli uni agli altri e, come certi computer, fossero attivabili a voce. Ogni unità di ingresso e uscita poteva condurre a qualsiasi altra su altri pianeti, come Pentimento o Shafne, dove sono state trovate rovine arbai, oppure tanti altri mondi che ci sono ancora ignoti. Ciò spiegherebbe in qual modo gli Hippae riuscirono a diffondere ovunque il contagio, sterminando gli Arbai. Comunque sia, gli Hippae celebrarono l’evento con le loro danze, tramandandolo come una grande vittoria: «Gioia nell’uccidere gli stranieri». Quando gli umani arrivarono su Grass, gli Hippae non poterono agire nello stesso modo, anche se lo avrebbero voluto, perché la nostra civiltà non usa apparecchi di teletrasporto, bensì astronavi. Così furono costretti ad adeguarsi: dato che i pipistrelli morti avevano funzionato con gli Arbai, decisero di gettarli nelle cosmonavi, che però erano protette dalla foresta, entro la quale le volpi avevano indotto gli umani a costruire l’astroporto, convinte che esso sarebbe stato al sicuro. Le volpi provavano simpatia per gli Arbai, ma, essendo telepatiche, trascurarono le normali relazioni, che pure avrebbero gradito, per tentare di comunicare in un modo molto più diretto e più intimo, che gli Arbai rifiutarono. Per questo motivo non tentarono neppure di entrare in rapporto con noi umani: ci considerarono creature simpatiche, intelligenti, interessanti, però incapaci di amicizia. Credettero che fossimo abbastanza al sicuro, ma sottovalutarono gli Hippae, forse credendo che, dopo tanti secoli, non ricordassero più. Invece, gli Hippae rammentavano a perfezione: mediante le loro danze e gli ideogrammi impressi nel terreno, avevano tramandato l’esperienza del genocidio degli Arbai. Così, già all’epoca della colonizzazione di Grass, incaricarono i migerer di scavare una piccola galleria, appena sufficiente a consentire il passaggio di una persona alla volta. Si trattava di «messaggeri», per così dire: individui completamente privati della personalità, tranne uno specifico impulso , e condizionati a compiere una determinata attività.

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