Frederik Pohl - Uomo più

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Questo nuovo romanzo di Frederik Pohl ci presenta il primo tentativo di colonizzazione del pianeta Marte: non il Marte sognato dalla fantascienza di cinquant’anni fa, ma il Marte che oggi conosciamo attraverso i risultati trasmessi dalle sonde spaziali.
Il protagonista della colonizzazione è Uomo Più: l’uomo più gli ausili che gli possono offrire i computer, e il protagonista del romanzo è il primo di questi uomini. Macchine sofisticate collegate al suo corpo hanno sostituito i suoi organi con altri organi artificiali, ed egli è ora adatto a vivere nell’atmosfera rarefatta di Marte, a trarre dal sole l’energia che gli occorre. Ma i suoi ex simili, le persone umane normali, non lo riconoscono più come uno di loro, e Marte, considerato come un’avventura e un episodio, si rivela il suo esilio e la sua casa.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e Locus in 1977.

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Scanyon scattò, brusco: — Sputi l’osso, maggiore!

— Credo che sentirà la mancanza di sua moglie e noi potremo rimediare solo in parte. Va già abbastanza male adesso. L’ho osservato mentre guardava quella cassetta. Non muoveva un muscolo, concentrazione assoluta: non voleva che gli sfuggisse nulla. Quando sarà a sessanta milioni di chilometri da lei… Beh, ho registrato tutto, generale. Eseguirò una simulazione con il computer, e dopo, forse, potrò essere più precisa. Ma sono preoccupata.

Lei è preoccupata! — sbottò Scanyon. — Dash vorrà la mia testa se porto Torraway lassù e quello crolla.

— Cosa posso dirle, generale? Mi lasci eseguire la simulazione. Allora, forse, potrò dirle cosa possiamo fare.

Sulie sedette senza essere invitata e si passò le mani sulla fronte. — Vivere una doppia vita è pesante, generale, — dichiarò. — Otto ore come infermiera e otto ore come psichiatra non sono una cosa divertente.

— Dieci anni di servizio nell’Antartide è meno divertente ancora, — si limitò a osservare Vern Scanyon.

Il jet presidenziale raggiunse l’altitudine di crociera di 31.000 metri e accelerò al massimo… Mach 3 e qualcosa, una velocità grottescamente superiore anche a quella prevista per il CB-5 presidenziale. Ma Deshatine aveva fretta.

La Conferenza al Vertice di Midway si era conclusa con un insuccesso. Disteso sul divano con gli occhi chiusi, fingendo di dormire per non essere scocciato dai senatori che l’avevano accompagnato, Dash esaminò lugubremente le possibilità di scelta. Non erano molte.

Non aveva sperato molto dalla conferenza, che comunque era incominciata bene. Gli australiani avevano dichiarato che avrebbero accettato una collaborazione limitata della Nuova Asia Popolare per lo sviluppo dell’entroterra, purché venissero fornite adeguate garanzie, eccetera eccetera. I delegati della Nuova Asia Popolare si erano consultati sottovoce e avevano annunciato che sarebbero stati lieti di fornire le garanzie, poiché il loro unico, vero scopo consisteva esclusivamente nel contribuire a sopperire alle esigenze vitali di tutta la popolazione mondiale, considerata come un tutto unico indipendentemente dagli antiquati confini nazionali, eccetera. Dash aveva zittito i mormoni dei suoi consiglieri e aveva dichiarato che l’America si interessava alla conferenza solo per assicurare assistenza e buoni uffici ai due cari vicini, e non voleva nulla per sé, eccetera; e per un po’, per quelle due ore, era sembrato che la conferenza potesse portare a un risultato concreto, positivo.

Poi avevano cominciato a discutere i dettagli. Gli asiatici offrivano un’Armata del Suolo forte di un milione di uomini, più una quantità di navi cisterna che ogni settimana avrebbero portato dodici milioni di litri di liquame estratto dalle fogne di Shangai. Gli australiani avevano accettato il fertilizzante, ma avevano parlato di un massimo di cinquantamila asiatici per coltivare la terra. Inoltre, avevano fatto educatamente osservare, che siccome sarebbero stati sfruttati il suolo australiano e la luce solare australiana, quello che sarebbe cresciuto sarebbe stato grano australiano. Il rappresentante del Dipartimento di Stato aveva ricordato a Dash gli impegni americani con il Perù, e con una stretta al cuore Dash si era alzato per insistere nel chiedere almeno una concessione del 15 per cento del prodotto ai buoni vicini del continente sudamericano. E avevano incominciato a saltare i nervi, un po’ a tutti. L’incidente che aveva fatto precipitare la situazione era stato causato da un aereo spola della Nuova Asia Popolare, che era incappato in uno stormo di albatross a zampe nere mentre decollava dalla pista di Sand Island ed era precipitato in fiamme su un’isoletta della laguna, sotto gli occhi dei membri della conferenza raccolti sul giardino pensile del Holiday Inn. Allora erano cominciate a correre parole grosse. Il membro giapponese della delegazione della Nuova Asia Popolare aveva trovato il coraggio di dire ciò che fino a quel momento si era limitato a pensare: la pretesa americana di tenere la conferenza sul luogo di una delle battaglie più famose della seconda guerra mondiale era un deliberato affronto agli asiatici. Gli australiani avevano osservato che, siccome loro erano riusciti benissimo a controllare le popolazioni degli uccelli selvatici, non capivano come mai gli americani non fossero stati capaci di fare altrettanto. E dopo tre settimane di preparativi e due giorni di speranza, il solo risultato era stato un gelido comunicato per annunciare che le tre potenze avevano convenuto di proseguire le discussioni. Chissà quando. Chissà dove. Non molto presto.

Ma la verità, ammise Dash mentre si agitava irrequieto sul divano, era che quel confronto era avvenuto faccia a faccia. Qualcuno avrebbe dovuto cedere, e nessuno era stato disposto a farlo.

Si alzò e chiese il caffè. Quando glielo portarono, arrivò anche un biglietto scarabocchiato sulla carta intestata della Casa Bianca Volante, e firmato da uno dei senatori: «Signor Presidente, prima di atterrare dobbiamo sistemare la proclamazione delle aree disastrate.»

Dash appallottolò il foglio. Era il senatore Talltree, che aveva un sacco di lagnanze da presentare. Il lago Altus si era ridotto al venti per cento delle sue dimensioni normali, il turismo nelle Arbuckle Mountains era finito perché le cascate Turner non gettavano più acqua, la Fiera Statale di Sooner era stata abolita a causa delle tempeste di polvere. L’Oklahoma doveva venir dichiarata «area disastrata». Lui aveva da pensare a cinquantaquattro stati, rifletté Dash, e se avesse dato ascolto a tutti i senatori e a tutti i governatori, avrebbe dovuto proclamare cinquantaquattro aree disastrate. In realtà, vi era un’unica area disastrata. Si dava soltanto il caso che fosse grande quanto il mondo.

E io che me lo sono cercato , questo lavoro, si disse, quasi con stupore.

Pensare all’Oklahoma gli ricordò Roger Torraway. Per un momento ebbe l’idea di chiamare il pilota per dirottare l’aereo verso Tonka. Ma la riunione con i Capi di Stato Maggiore non poteva essere rinviata. Sarebbe stato costretto ad accontentarsi del telefono.

Non era veramente lui a suonare la chitarra, pensò Roger, ma era il 3070 che ricordava tutti i movimenti e comandava alle sue dita di fare ciò che decideva il suo cervello. Aveva impiegato meno di un’ora ad imparare tutti gli accordi del testo, e ad usarli con scioltezza. Qualche altro minuto per registrare nella banca dei dati il significato dei segnali del tempo: poi i suoi orologi ulteriori si erano impadroniti dei tempi e non aveva più dovuto preoccuparsene. Per quanto riguardava la melodia, imparò quale tasto su ogni corda corrispondeva ad ogni nota su un rigo musicale; una volta impressa sui nuclei magnetici, la corrispondenza tra la musica stampata e la corda pizzicata era stabilita per sempre. Sulie impiegò dieci minuti a mostrargli quali note dovevano essere diesis e quali bemolle: e da quel momento la galassia di diesis e di bemolle sparsi sul rigo al segno di chiave non gli incusse più spavento. Il pizzicato: per i sistemi nervosi umani, occorrono due minuti per imparare il principio e cento ore di esercizi prima che diventi automatico: pollice sulla corda del re, anulare sul mi alto, medio sul si, pollice sul la, anulare sul mi, medio sul si e così via. Ma due minuti d’apprendimento bastarono a Roger. A partire da quel momento i circuiti comandarono le sue dita, e l’unico limite al suo tempo fu costituito dalla velocità con cui le corde potevano produrre una nota senza spezzarsi.

Roger stava suonando a memoria un recital di Segovia, dopo averne ascoltato il nastro una sola volta, quando arrivò la telefonata del presidente.

Un tempo, Roger si sarebbe sentito invaso dalla soggezione e dalla gioia, ad una chiamata del presidente degli Stati Uniti. Adesso era una seccatura: lo costringeva ad abbandonare la sua chitarra. Ascoltò appena ciò che aveva da dire il presidente. Fu colpito dalla preoccupazione che leggeva sul viso di Dash, dai segni profondi che solo pochi giorni prima non c’erano, dagli occhi infossati. Poi si accorse che i suoi circuiti interpretativi esageravano ciò che vedeva per richiamare la sua attenzione sui cambiamenti; escluse i circuiti di mediazione e vide Dash com’era in realtà.

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