Quando egli ebbe finito le prove di quel giorno nella vasca marziana, Sulie fece a gara con lui nel tornare di corsa alla sua stanza: una ragazza ridente contro un pesante mostro, lungo gli ampi corridoi del laboratorio: vinse lui senza difficoltà, naturalmente. Chiacchierarono un po’, e poi Roger la mandò via.
Nove giorni alla partenza.
In realtà, si trattava di un periodo ancora più breve. Roger sarebbe stato condotto in aereo a Merritt Island tre giorni prima del lancio, e durante il suo ultimo giorno di permanenza a Tonka avrebbero provveduto ad adattargli il computer a zaino e a risintonizzare alcune parti del suo sistema sensoriale sulle tipiche condizioni marziane. Quindi gli restavano sei giorni… no, cinque.
E non vedeva Dorrie da intere settimane.
Si guardò nello specchio che aveva fatto installare: occhi d’insetto, ali di pipistrello, epidermide lucida. Si divertì a lasciar fluire le sue interpretazioni visive: pipistrello, mosca gigante, demonio… se stesso, così come si ricordava, con una faccia simpatica, giovanile.
Se almeno Dorrie avesse avuto a disposizione un computer per mediare la propria vista! Se avesse potuto vederlo così come era un tempo! Giurò a se stesso che non l’avrebbe chiamata; non poteva costringerla a vedere quella macchina da fumetti che era diventato suo marito.
E appena ebbe giurato, prese il telefono e fece il numero di Dorrie.
Fu un impulso irresistibile. Attese. Il suo senso del tempo, estensibile come una fisarmonica, prolungò l’attesa, e trascorse un’eternità prima che lo schermo cominciasse a lampeggiare e il cicalino dell’altoparlante trasmettesse il primo squillo.
Poi il tempo lo tradì di nuovo. Gli parve che trascorressero secoli, prima che giungesse il secondo squillo. Poi risuonò, e durò un’eternità, e cessò.
Dorrie non rispondeva.
Roger era il tipo che faceva caso a queste cose, e sapeva che molte persone non rispondono prima del terzo squillo. Dorrie, però, era sempre curiosa di conoscere chi mai era colui o colei che il telefono portava nella sua vita. Sia che fosse profondamente addormentata, sia che si trovasse nella vasca da bagno, ben di rado lasciava squillare l’apparecchio più di due volte.
Finalmente giunse il terzo squillo, e anche stavolta non ci fu risposta.
Roger cominciò a soffrire.
Si dominò meglio che poteva, perché non voleva far suonare l’allarme nei monitor telemetrici. Ma non riuscì a dominarsi completamente. Dorrie era uscita, pensò. Suo marito era diventato un mostro, e lei non era in casa a soffrire o a preoccuparsi: era uscita a far spese, o trovare un’amica, o a vedere un film.
Oppure era con un uomo.
Che uomo? Brad, pensò Roger. Non sarebbe stato impossibile; aveva lasciato Brad giù, davanti alla vasca, venticinque minuti prima, secondo l’orologio. Avevano avuto tutto il tempo per incontrarsi da qualche parte. Anzi, Brad aveva avuto addirittura il tempo di arrivare a casa Torraway. Forse Dorrie non era uscita. Forse…
Il quarto squillo…
Forse erano là, tutti e due, nudi, e si accoppiavano sul pavimento, davanti al telefono. Dorrie avrebbe detto: — Vai nell’altra stanza, tesoro, voglio vedere chi è. — E Brad avrebbe detto, ridendo: — No, rispondiamo così. — E lei avrebbe detto…
Quinto squillo… e lo schermo fiorì dei colori del viso di Dorrie. La sua voce disse: — Pronto?
Rapido come il suono, il pugno di Roger scattò e coprì la lente. — Dorrie, — disse. La sua voce gli sembrava aspra e inespressiva. — Come stai?
— Roger! — esclamò lei. La gioia di quel tono sembrava autentica. — Oh, tesoro, sono così felice di sentirti! Come va?
La voce di Roger rispose, automaticamente: — Benissimo. — Poi prosegui, senza bisogno di collaborazione da parte della sua mente conscia, a correggere l’affermazione, a raccontare ciò che gli accadeva, catalogando i test e gli esercizi. E nello stesso tempo scrutava lo schermo, con tutti i sensi acuiti al massimo.
Dorrie appariva… cosa? Stanca? Quella stanchezza confermava le paure di Roger. Lei se la spassava con Brad ogni notte, senza pensare al marito sofferente e umiliato. Riposata e gaia? Anche l’aria riposata e gaia era una conferma. Significava che lei si divertiva… senza preoccuparsi dei tormenti del marito.
Non c’era nulla che non andasse nel cervello di Torraway, poiché era abituato da sempre all’analisi e alla logica. Si rendeva perfettamente conto che il gioco che giocava con se stesso si chiamava «Tu perdi comunque». Tutto costituiva una prova della colpa di Dorrie. Eppure, sebbene egli scrutasse meticolosamente l’immagine di lei con quei suoi sensi potenziati, Dorrie non appariva ostile né affettatamente affettuosa. Era Dorrie e basta.
Quando pensò questo, Roger provò uno slancio di tenerezza che gli spezzò la voce. — Mi sei mancata tanto, tesoro, — disse, senza espressione. L’unica cosa che tradiva i suoi sentimenti fu il distacco d’una frazione di secondo prima dell’ultima sillaba: — Teso… ro.
— Mi sei mancato anche tu. Ho cercato di fare qualcosa, per tenermi occupata, caro, — cinguettò Dorrie. — Ho cominciato a ridipingere la tua stanza. È una sorpresa, ma naturalmente passerà tanto tempo prima che tu la veda… Beh, è color pesca. Con i pannelli di legno in color ranuncolo… e magari dipingerò il soffitto in celeste chiaro. Ti piace? Avevo pensato di farla tutta ocra e bruno, sai, i colori dell’autunno, i colori di Marte, per commemorare. Ma poi mi sono detta che quando ritornerai sarai stufo dei colori marziani! — Poi in fretta, senza pause: — Quando ti vedrò? — Il cambiamento di tono colse Roger di sorpresa.
— Beh, sono abbastanza orribile, — disse lui.
— Lo so come sei. Buon Dio, Roger, credi che Midge, Brenda e Callie ed io non ne abbiamo parlato in questi ultimi due anni? Fin dall’inizio del programma. Abbiamo visto i disegni. Abbiamo visto le foto dei modelli. E anche le foto di Willy.
— Non sono più come Willy. Hanno cambiato molte cose…
— E so anche questo, Roger. Brad mi ha raccontato tutto. Vorrei vederti.
In quel momento il viso di sua moglie divenne, senza preavviso, la faccia d’una strega. L’uncinetto che aveva in mano divenne una pesante scopa di saggina. — Vedi spesso Brad?
Vi fu una pausa d’un microsecondo, prima che lei rispondesse? — Penso che non avrebbe dovuto dirmelo, — fece, — per via della sicurezza e tutto il resto. Ma io ho voluto che me lo dicesse egualmente. Non è un gran male, tesoro. Non sono una bambina. Posso sopportarlo.
Per un attimo, Roger provò l’impulso di togliere la mano dalla lente e di farsi vedere, ma si sentiva strano, confuso. Non sapeva interpretare ciò che provava. Era vertigine? Una disfunzione della metà di lui che era una macchina? Sapeva che di lì a pochi istanti Sulie o Don Kayman o qualcun altro si sarebbe precipitato nella stanza, messo sull’avviso dagli apparecchi telemetrici. Si sforzò di dominarsi.
— Forse più tardi, — disse, senza convinzione. — Credo… credo che adesso farei bene a riattaccare, Dorrie.
Dietro di lei, anche il soggiorno di casa loro stava cambiando. La profondità del campo della lente non era delle migliori: persino per i suoi sensi meccanici il resto della stanza era confuso. C’era un uomo in piedi nell’ombra? Portava la camicia da ufficiale dei Marines? Era Brad?
— Adesso devo riattaccare, — disse: e lo fece.
Entrò Clara Bly, agitata, e cominciò a fare domande. Roger scosse il capo senza dir nulla.
Nei suoi occhi nuovi non c’erano ghiandole lacrimali, perciò naturalmente non poteva piangere. Gli era negato persino quel conforto.
CAPITOLO UNDICESIMO
DOROTHY LOUISE MINTZ TORRAWAY NELLA PARTE DI PENELOPE
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