Frederik Pohl - Uomo più

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Questo nuovo romanzo di Frederik Pohl ci presenta il primo tentativo di colonizzazione del pianeta Marte: non il Marte sognato dalla fantascienza di cinquant’anni fa, ma il Marte che oggi conosciamo attraverso i risultati trasmessi dalle sonde spaziali.
Il protagonista della colonizzazione è Uomo Più: l’uomo più gli ausili che gli possono offrire i computer, e il protagonista del romanzo è il primo di questi uomini. Macchine sofisticate collegate al suo corpo hanno sostituito i suoi organi con altri organi artificiali, ed egli è ora adatto a vivere nell’atmosfera rarefatta di Marte, a trarre dal sole l’energia che gli occorre. Ma i suoi ex simili, le persone umane normali, non lo riconoscono più come uno di loro, e Marte, considerato come un’avventura e un episodio, si rivela il suo esilio e la sua casa.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e Locus in 1977.

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Don Kayman trovò un posto a sedere accanto alla porta. Il paraplegico e il mostro eseguivano salti incredibilmente rapidi, agitando i piedi con movimenti fulminei. Non era la musica adatta per gli scambietti, pensò Kayman, ma nessuno dei due sembrava preoccuparsene. Il ballerino classico li osservava con un’espressione indecifrabile. Probabilmente vorrebbe essere un cyborg, pensò Kayman. Con simili muscoli, potrebbe dominare i palcoscenici di tutto il paese.

Era un’idea abbastanza divertente, ma impiegabilmente Kayman si sentiva a disagio. Poi ricordò: stava seduto esattamente in quel punto, quando Willy Hartnett gli era morto davanti agli occhi.

Sembrava fosse accaduto tanto tempo prima. Era trascorsa soltanto una settimana da quando Brenda Hartnett era venuta con i figli a salutare lui e suor Clotilda: ma già era quasi dileguata dalla loro mente. Il mostro chiamato Roger era il divo dello spettacolo, adesso. La morte di un altro mostro in quel luogo, avvenuta così poco tempo prima, apparteneva soltanto alla storia.

Kayman prese il rosario e cominciò a recitare le preghiere. Mentre una parte di lui ripeteva le Ave Maria, un’altra era conscia del contatto piacevole e caldo dei grani d’avorio e del netto contrasto offerto dai grani di cristallo. Aveva deciso di portare con sé su Marte il dono del Santo Padre. Sarebbe stato un peccato se fosse andato perduto… beh, lo sarebbe stato anche se fosse andato perduto lui , pensò. Non poteva calcolare i rischi in quel modo: perciò decise di fare ciò che evidentemente Sua Santità desiderava, e di portare quel dono nel più lungo viaggio che avesse mai compiuto.

Si accorse che qualcuno gli si era fermato accanto. — Buongiorno, padre Kayman.

— Salve, Sulie. — La sbirciò incuriosito. Cos’aveva di strano quella ragazza? Sembrava che i capelli neri avessero le radici dorate, ma la cosa non era molto sorprendente; anche un prete sapeva che le donne scelgono secondo il capriccio il colore della loro chioma. Del resto, lo facevano anche alcuni preti.

— Come va? — domandò Sulie.

— Direi perfettamente. Guardi come saltano! Roger mi sembra proprio a punto e, Deo volente , credo che riusciremo a farcela per la data del lancio.

— L’invidio, — disse l’infermiera, guardando l’interno della vasca marziana. Kayman si girò a fissarla, sbalordito. Nella voce di lei c’era più calore di quanto lo giustificasse un’osservazione casuale. — Dico sul serio, Don, — continuò Sulie. — La ragione principale per cui entrai nel programma spaziale era che volevo andare lassù anch’io. Forse ci sarei riuscita se…

S’interruppe e scrollò le spalle. — Beh, almeno aiuto lei e Roger, — riprese. — Non dicevano, una volta, che le donne servivano appunto a questo? Ad aiutare. Non è poi tanto male, comunque, quando si tratta di collaborare ad un’impresa importante come questa.

— Non mi sembra del tutto convinta, — osservò Kayman.

Sulie sorrise ironicamente e tornò a guardare la vasca.

La musica era cessata. Kathleen Doughty si tolse la sigaretta dalle labbra, ne accese un’altra e disse: — Okay, Roger, Alfred. Prendetevi dieci minuti di riposo. Siete andati benissimo.

Dentro la vasca, Roger sedette a gambe incrociate. Sembrava esattamente il Diavolo accovacciato sulla vetta nel classico cartone animato di Walt Disney, pensò Kayman: Una notte sul Monte Calvo.

— Cosa succede, Roger? — chiese Kathleen Doughty. — Non puoi certo esser stanco.

— Sono stanco di questa storia, — borbottò lui. — Non so perché debba essere costretto a questi balletti. Willy non lo faceva.

— Willy è morto, — scattò Kathleen.

Vi fu un silenzio. Roger volse la testa verso di lei, sbirciando oltre il vetro con i grandi occhi compositi. Poi ringhiò: — Non certo per la mancanza di scambietti.

— E tu come lo sai? Oh, — ammise la dottoressa, burberamente, — suppongo che potresti sopravvivere senza una parte di questo addestramento. Ma ti aiuterà a destreggiarti meglio. Non si tratta semplicemente d’imparare a muoverti. Devi anche imparare a non distruggere il tuo ambiente. Hai un’idea della tua forza attuale?

All’interno della vasca Roger esitò, poi scosse il capo. — Non mi sento particolarmente forte, — disse la voce incolore.

— Sei in grado di sfondare un muro con un pugno, Roger. Domandalo ad Alfred. Che tempo fa lei sul miglio, Alfred?

L’ex paraplegico intrecciò le mani sul ventre grasso e sogghignò. Aveva cinquantotto anni e non era mai stato un atleta, neppure prima che la myasthenia gravis distruggesse i suoi arti naturali. — Un minuto e quarantasette, — disse, orgoglioso.

— Da te mi aspetto anche di meglio, Roger, — esclamò Kathleen. — Quindi devi imparare a controllare i muscoli.

Roger emise un ringhio che non era neppure una parola, poi si alzò. — Compensate il vano stagno, — disse. — Voglio uscire.

Il tecnico toccò un interruttore e le grandi pompe cominciarono a riversare l’aria nel vano stagno con un suono simile a quello di un pezzo di linoleum lacerato. — Oh, — gemette Sulie Carpenter, a fianco di Don Kayman. — Non ho messo le lenti a contatto! — E scappò via prima che Roger entrasse nella sala.

Kayman la seguì con lo sguardo. Un enigma era risolto: adesso sapeva perché gli era parso che la ragazza avesse qualcosa di strano. Ma perché mai Sulie portava le lenti a contatto che facevano sembrare verdi i suoi occhi castani?

Scrollò le spalle e non ci pensò più.

Noi sapevamo il perché. Avevamo faticato parecchio per trovare Sulie Carpenter. I fattori critici costituivano un lungo elenco, e le voci meno importanti erano proprio il colore dei capelli e quello degli occhi, perché era facile cambiarli entrambi.

Con l’avvicinarsi della data di partenza, la posizione di Roger cominciò a cambiare. Per due settimane non era stato altro che un pezzo di carne sul banco del macellaio, affettato, rigirato e tagliato, senza la minima partecipazione personale, senza la possibilità di controllare quanto gli accadeva. Poi era stato uno studente, che eseguiva gli ordini degli insegnanti, e imparava a dominare i propri sensi e ad usare i nuovi arti. Era una fase di transizione, da esemplare di laboratorio a semidio, e ormai era quasi arrivato alla meta.

Roger si rendeva conto che stava accadendo questo. Da diversi giorni, ormai, discuteva tutto ciò che gli dicevano di fare, e talvolta rifiutava di obbedire. Kathleen Doughty non era più la sua padrona, capace di ordinargli di alzare cento volte il mento e di fare piroette per un’ora. Era una sua dipendente, e lo aiutava in ciò che lui voleva fare. Brad, che era diventato meno spensieratamente spiritoso e molto più attento, adesso chiedeva favori a Roger: — Prova questi test di discriminazione dei colori, ti dispiace? Farà una bella figura nel saggio che sto preparando su di te. — Spesso Roger li assecondava, ma qualche volta non voleva saperne.

Quella che assecondava più spesso era Sulie Carpenter, perché era sempre presente ed era sempre premurosa con lui. Roger aveva quasi dimenticato che somigliava tanto a Dorrie. Si accorgeva solo che lei era molto bella.

Sulie si adeguava ai suoi guizzi d’umore. Se Roger era nervoso, lei era gaiamente serena. Se lui voleva parlare, parlava. Spesso giocavano: Sulie era un’esperta giocatrice di Scarabeo. Una volta, a tarda notte, quando Roger cercava di stabilire per quanto tempo riusciva a rimanere sveglio, Sulie aveva portato una chitarra. Aveva cantato, e la piacevole, discreta voce di contralto della ragazza aveva abbellito il bisbiglio di lui, incolore e quasi afono. Il volto di lei era cambiato, mentre Roger lo guardava: ma aveva imparato come doveva fare. I circuiti d’interpretazione del suo sensorio riflettevano i suoi sentimenti quando egli lo permetteva; e talvolta Sulie Carpenter somigliava a Dorrie più di Dorrie stessa.

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