— Molto bene, Rog. Nient’altro?
— Sì, ma non so che cosa sono. Alcune luci in basso, vicino a te. Molto fioche.
— Credo siano le tubazioni del riscaldamento. Vai magnificamente, ragazzo mio. Bene, adesso aspetto. Alzerò la luce un pochino. Tu, magari, puoi farne benissimo a meno, ma io non posso, e neppure le infermiere. Dimmi come va.
Lentamente, Brad fece girare la manopola, un ottavo di giro, un poco di più. Le lampade inserite nelle intercapedini intorno al soffitto si accesero… dapprima molto fioche, poi un poco più forti. Adesso Brad poteva vedere la figura sul letto: prima lo scintillio delle ali spiegate che erano protese in avanti, al di sopra del corpo di Roger Torraway: poi il corpo stesso, con un lenzuolo drappeggiato che lo copriva fino alla cintura.
— Adesso ti vedo, — sospirò Roger, con quella sua voce esile. — È un po’ diverso… Adesso vedo i colori, e tu non sei più tanto luminoso.
Brad scostò la mano dall’interruttore. — Così va bene, per ora. — Si appoggiò alla parete, in preda alla vertigine. — Scusami, — disse. — Ho un raffreddore o qualcosa del genere… E tu, cosa senti? Voglio dire, dolori…?
— Cristo, Brad!
— No, voglio dire in rapporto alla vista. La luce ti fa male a… agli occhi?
— Gli occhi sono l’unica cosa che non mi fa male, credo, — sospirò Roger.
— Molto bene. Adesso ti darò un altro po’ di luce… Ecco, così, okay? Nessun fastidio?
— No.
Brad si avvicinò delicatamente al letto. — Bene, ora voglio che tu provi a fare una cosa. Puoi… ecco, chiudere gli occhi? Voglio dire, puoi spegnere i ricettori della vista?
Una pausa. — Non… non credo.
— Beh, puoi farlo, Rog. È una facoltà insita, quindi devi soltanto trovarla. Willy aveva avuto qualche difficoltà, all’inizio, ma poi c’era riuscito. Diceva che aveva pasticciato un po’, e poi c’era riuscito.
— … Non succede niente.
Brad rifletté per un secondo. Era intontito dall’influenza, e sentiva che le energie l’abbandonavano. — Come mai? Hai mai avuto sinusiti?
— No… beh, forse. Un po’.
— Ricordi dove ti faceva male?
La figura si mosse a disagio sul letto, e i grandi occhi fissarono quelli di Brad. — Sì… sì, mi pare.
— Prova da quella parte, — ordinò Brad. — Vedi se trovi dei muscoli da muovere. I muscoli non ci sono, ma ci sono le terminazioni nervose che li controllavano.
— … Niente. Che muscolo devo cercare?
— Oh, diavolo, Roger! Si chiama rectus lateralis , ma a che ti serve saperlo? Continua a cercarlo.
— … Niente.
— Sta bene. — Brad sospirò. — Lascia perdere, per ora. Continua a provare più spesso che puoi, d’accordo? Scoprirai come si fa.
— Bella consolazione, — bisbigliò la voce risentita che veniva dal letto. — Ehi, Brad. Sembri più luminoso.
— Come sarebbe a dire? — scattò Brad.
— Più luminoso. Irradii più luce dalla faccia.
— Già, — fece Brad, mentre si accorgeva che le vertigini lo avevano ripreso. — Forse ho un po’ di febbre. Sarà meglio che me ne vada. Questa mascherina di garza dovrebbe impedirmi di contagiarti, ma è efficace solo per quindici minuti o poco più.
— Prima di andartene, — mormorò insistente la voce, — fammi un favore. Spegni di nuovo le luci per un minuto.
Brad alzò le spalle e obbedì. — Sì?
Udì il suono del corpo deforme che si spostava sul letto. — Mi sto voltando per vedere meglio, — riferì Roger. — Senti, Brad, volevo chiederti: come vanno le cose? Ce la farò?
Brad indugiò un attimo a riflettere. — Penso di sì, — rispose, sinceramente. — Fino ad ora è andato tutto per il meglio. Non voglio prenderti in giro, Roger. È tutta roba nuova, e qualcosa potrebbe andar storto. Ma fino ad ora non sembra.
— Grazie. Un’altra cosa, Brad. Hai visto Dorrie, ultimamente?
Una pausa. — No, Roger. Non la vedo da una settimana circa. Sono stato piuttosto male, e quando non stavo male avevo troppe cose da fare.
— Già. Senti, credo che potresti lasciare le luci come le avevi regolate prima, in modo che le infermiere ci vedano.
Brad girò di nuovo l’interruttore. — Ritornerò appena mi sarà possibile. Esercitati a chiudere gli occhi, d’accordo? E poi hai un telefono… chiamami quando vuoi. Non intendo se qualcosa andasse male… questo verrò a saperlo, non ti preoccupare: non vado neppure al gabinetto senza lasciare il numero dove possono rintracciarmi. Voglio dire, se hai voglia di parlare.
— Grazie, Brad. Arrivederci.
Gli interventi chirurgici erano finiti… almeno la parte peggiore. Quando Roger se ne rese conto, provò un sollievo che gli fece bene, anche se nella sua mente vi erano ancora troppe tensioni che non si sentiva di affrontare.
Clara Bly lo pulì e, nonostante gli ordini precisi, gli portò dei fiori per tirarlo un po’ su di morale. — Sei una brava ragazza, — mormorò Roger, girando la testa per guardare i fiori.
— Come li vedi?
Roger tentò di descriverli. — Ecco, sono rose, ma non sono rosse. Giallo chiaro? Hanno all’incirca lo stesso colore del tuo braccialetto.
— Arancione. — Clara finì di stendergli il lenzuolo nuovo sulle gambe. Il telo ondeggiò dolcemente, nella corrente irradiata dal letto fluidizzato. — Vuoi la padella?
— Per cosa? — borbottò Roger. Era arrivato alla terza settimana di dieta a basso residuo, e al decimo giorno di assunzione controllata di liquidi. Il suo apparato escretorio era diventato, come diceva Clara, quasi esclusivamente ornamentale. — Del resto, sono autorizzato ad alzarmi, — disse lui. — Quindi, se succede qualcosa, posso arrangiarmi da solo.
Sei grande, sorrise Clara, raccogliendo la biancheria sporca e uscendo. Roger si mise a sedere e ricominciò a esplorare il mondo intorno a lui. Studiò con interesse le rose. I grandi occhi sfaccettati captavano quasi un’ottava di radiazioni in più. il che significava mezza dozzina di colori che Roger non aveva mai visto prima, dall’infrarosso all’ultravioletto: ma non sapeva come chiamarli, e l’iride che aveva visto per tutta la sua vita si era estesa fino a includerli tutti. Quello che gli appariva come un rosso scuro era, lo sapeva, un lieve calore. Ma non era vero neppure che gli sembrasse rosso: era solo una diversa qualità della luce, che aveva associazioni con il calore e il benessere.
Comunque, c’era qualcosa di molto strano nelle rose, e non era il colore.
Roger gettò via il lenzuolo e si guardò. La pelle nuova non aveva pori, né peli, né grinze. Sembrava più una tuta da sommozzatore che la sua pelle naturale. E sotto quella, lo sapeva, c’era un’intera muscolatura nuova, mossa dall’energia: ma non se ne scorgeva la minima traccia.
Tra poco avrebbe potuto alzarsi e camminare da solo. Non era ancora pronto a farlo. Accese il televisore. Lo schermo s’illuminò di una schiera abbagliante di punti magenta, fiordaliso e verdi. Roger dovette compiere uno sforzo di volontà per guardarli e vedere tre ragazze che cantavano e ballavano: i suoi occhi nuovi aspiravano ad analizzare l’immagine nelle sue componenti. Cambiò stazione e trovò un telegiornale. La Nuova Asia Popolare aveva inviato altri tre sommergibili atomici in «visita di cortesia» in Australia. L’addetto stampa del presidente Deshatine affermava severamente che i nostri alleati del Mondo Libero potevano contare su di noi. Tutte le squadre di football dell’Oklahomà avevano perduto. Roger spense l’apparecchio: gli stava venendo mal di testa. Ogni volta che cambiava posizione le linee sembravano inclinarsi, e dalla parte posteriore del televisore si irradiava una luminosità sconcertante. Dopo aver tolto la corrente, rimase a guardare per qualche tempo la luce del tubo catodico che si affievoliva, il bagliore che usciva dalla parte posteriore oscurarsi. Era calore, pensò.
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