Frederik Pohl - Uomo più

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Questo nuovo romanzo di Frederik Pohl ci presenta il primo tentativo di colonizzazione del pianeta Marte: non il Marte sognato dalla fantascienza di cinquant’anni fa, ma il Marte che oggi conosciamo attraverso i risultati trasmessi dalle sonde spaziali.
Il protagonista della colonizzazione è Uomo Più: l’uomo più gli ausili che gli possono offrire i computer, e il protagonista del romanzo è il primo di questi uomini. Macchine sofisticate collegate al suo corpo hanno sostituito i suoi organi con altri organi artificiali, ed egli è ora adatto a vivere nell’atmosfera rarefatta di Marte, a trarre dal sole l’energia che gli occorre. Ma i suoi ex simili, le persone umane normali, non lo riconoscono più come uno di loro, e Marte, considerato come un’avventura e un episodio, si rivela il suo esilio e la sua casa.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e Locus in 1977.

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E così Roger continuava a cambiare e a sopravvivere. Kayman trascorreva con lui un tempo sempre più lungo: ogni minuto che poteva sottrarre alla supervisione della vasca marziana. Guardava con affetto Kathleen Doughty che si aggirava per la stanza, spargendo cenere di sigaretta dovunque, tranne su Roger. Ma Kayman era ancora turbato.

Era costretto ad accettare la necessità che Roger venisse dotato di circuiti mediatori per interpretare l’eccesso di input , ma non sapeva trovare una risposta per la domanda che l’assillava: Se Roger non poteva sapere ciò che vedeva, come avrebbe potuto vedere la Verità?

CAPITOLO OTTAVO

CON OCCHI INGANNATORI

Il tempo era cambiato in fretta, e in modo decisivo. Avevamo visto arrivare il cambiamento quando un cuneo di aria polare era sceso dall’Alberta fino al Texas Panhandle. I bollettini meteorologici avevano fatto scendere al suolo gli hovercar. Quelli del progetto che non possedevano veicoli a ruote erano costretti ad andare al lavoro con mezzi di trasporto pubblici, e i parcheggi erano quasi deserti, a parte i grandi, sgraziati grovigli di tumbleweed trascinati dal vento.

Non tutti avevano dato ascolto agli avvertimenti, e ci furono i raffreddori e le influenze del primo vero freddo dell’anno. Brad si mise a letto. Weidner era in piedi, ma non poteva avvicinarsi a Roger per timore di contagiarlo con una malattia di poco conto che tuttavia quello non era in grado di affrontare. Quasi tutto il lavoro per trasformare Roger ricadde su Jonathan Freeling, la cui salute veniva protetta gelosamente quasi come quella del suo paziente, in quel periodo. Kathleen Doughty, solida e indistruttibile, era sempre nella stanza di Torraway, a spargere in giro cenere di sigaretta e a dispensare consigli alle infermiere. Trattatelo come una persona , ordinava. — E copritevi bene, prima di tornare a casa. Potrete mettere in mostra il vostro bel sederino quando vorrete… ma adesso dovete evitare di prender freddo fino a quando potremo fare a meno di voi. — Le infermiere non la contrastavano. Facevano tutte del loro meglio: persino Clara Bly, richiamata dalla luna di miele per sostituire le infermiere ammalate. Erano premurose quanto Kathleen Doughty, sebbene fosse difficile ricordare, guardando la cosa grottesca chiamata ancora Roger Torraway, che si trattava di un essere umano, capace di desideri e di depressioni, esattamente come loro.

Roger cominciava ad essere più cosciente, di tanto in tanto. Per venti e più ore al giorno era addormentato, o immerso in uno stordimento sognante causato dagli analgesici: ma qualche volta riconosceva i presenti, e qualche volta parlava addirittura con loro in modo coerente. Poi lo anestetizzavano di nuovo…

— Vorrei sapere che cosa prova lui, — disse Clara Bly all’infermiera che era venuta a darle il cambio. L’altra ragazza abbassò lo sguardo sulla maschera che era quanto restava della faccia di Roger, con i grandi occhi che erano stati fabbricati apposta per lui. — Forse è meglio per te non saperlo, — disse. — Vai a casa, Clara.

Roger udì quelle parole: la traccia sull’oscilloscopio indicò che le aveva sentite. Studiando la telemetria, noi potevamo farci un’idea di quel che c’era nella sua mente. Spesso soffriva: questo era evidente. Ma il dolore non era il segnale di qualcosa che richiedeva attenzione, né un incitamento all’azione. Era semplicemente una realtà della sua vita. Aveva imparato ad aspettarselo e ad accettarlo. Non era cosciente di molto di più, per quanto riguardava il suo corpo. I sensi della conoscenza fisiologica non avevano ancora imparato ad affrontare la realtà del suo corpo nuovo. Non sapeva quando venivano sostituiti o modificati gli occhi, i polmoni, il cuore, le orecchie, il naso, la pelle. Non sapeva riconoscere i segnali che avrebbero potuto fornirgli qualche informazione. Il sapore del sangue e del vomito in fondo alla gola: come poteva sapere che questo indicava l’assenza dei polmoni? La tenebra, il dolore represso dentro al cranio erano così diversi da tutte le emicranie che aveva provato: come poteva capire cosa significava, come poteva distinguere tra l’asportazione dell’intero apparato ottico e lo spegnersi di un interruttore della luce?

A un certo punto, Roger Torraway si rese conto vagamente di non sentire più il solito odore d’ospedale, deodorante e disinfettante mescolati. Quando? Non lo sapeva. Sapeva soltanto che nel suo ambiente non c’erano più odori.

Poteva udire. Con una acutezza di discriminazione ed un livello di percezione che non aveva mai conosciuto, poteva udire ogni parola che veniva pronunciata nella stanza, anche sottovoce, ed anche quasi tutto ciò che accadeva nelle stanze adiacenti. Udiva ciò che dicevano gli altri, quando era abbastanza cosciente per udire. Comprendeva le parole. Poteva sentire la buona volontà di Kathleen Doughty e di Jon Freeling, e comprendeva la preoccupazione e la collera che colorivano le voci del vicedirettore e del generale.

E soprattutto, poteva sentire il dolore.

C’erano tanti tipi diversi di dolore! C’erano tutte le fitte, in tutte le parti del suo corpo. C’erano le ferite degli interventi chirurgici, e c’erano le pulsazioni rabbiose dei tessuti che erano stati intaccati dalle modifiche principali. C’erano le incessanti, piccole fitte, quando Freeling o le infermiere inserivano gli strumenti in mille punti dolenti della superficie del suo corpo, per poterne studiare i dati.

E c’era il dolore interno, più profondo, che talvolta sembrava fisico, e che lo prendeva quando pensava a Dorrie. Qualche volta, quando era sveglio, si ricordava di domandare se lei era venuta lì o aveva telefonato. Non riusciva a ricordare, però, di aver mai ricevuto una risposta.

E poi, un giorno, sentì dentro alla testa un nuovo dolore bruciante… e comprese che era la luce.

Ora vedeva di nuovo.

Quando le infermiere si accorsero che Roger Torraway poteva vederle, lo riferirono immediatamente a Jon Freeling, il quale prese il telefono e chiamò Brad. — Vengo subito, — rispose quello. — Tenetelo al buio fino al mio arrivo.

Brad impiegò più di un’ora per compiere quel tragitto, e quando arrivò si vide benissimo che faticava a reggersi in piedi. Si sottopose a una doccia antisettica, a uno spray orale, si fece mettere una maschera da chirurgo, e poi, cautamente, aprì la porta ed entrò nella stanza di Roger.

Dal letto, una voce disse: — Chi è? — Era debole e tremante, ma era la voce di Roger.

— Io. Brad. — Bradley cercò a tentoni lungo la cornice della porta, fino a che trovò l’interruttore. — Accenderò la luce poco a poco, Roger. Dimmi quando riesci a vedermi.

— Adesso ti vedo, — sospirò la voce. — Almeno, mi pare che sia tu.

Brad fermò la mano. — Ma come fai… — incominciò. Poi s’interruppe. — Come sarebbe a dire? Mi vedi? E che cosa vedi?

— Beh, — sussurrò la voce, — non sono molto sicuro, per la faccia. C’è una specie di bagliore. Ma posso vedere le tue mani, e la testa. Sono luminose. E riesco a distinguere abbastanza bene il tuo corpo e le braccia. Molto più fiochi, però… sì, posso vedere anche le gambe. Ma la faccia è strana. La parte centrale è soltanto una chiazza.

Brad si toccò la mascherina da chirurgo. Aveva capito. — Infrarossi. Tu vedi il calore. Che altro riesci a vedere, Roger?

Silenzio, per un momento. Poi: — Ecco, c’è una specie di quadrato luminoso: credo sia il vano della porta. Vedo soprattutto il contorno. E qualcosa di molto luminoso là, contro la parete, dove sento anche qualcosa… i monitor telemetrici? E posso vedere il mio corpo, o almeno il lenzuolo che mi copre, e con una specie di contorno del mio corpo.

Brad girò lo sguardo intorno a sé. Sebbene avesse avuto un po’ di tempo per adattarsi all’oscurità, non vedeva quasi nulla: la punteggiatura luminosa dei quadranti dei monitor, e un esile filo di luce intorno alla porta, dietro di lui.

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