Frederik Pohl - Uomo più

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Questo nuovo romanzo di Frederik Pohl ci presenta il primo tentativo di colonizzazione del pianeta Marte: non il Marte sognato dalla fantascienza di cinquant’anni fa, ma il Marte che oggi conosciamo attraverso i risultati trasmessi dalle sonde spaziali.
Il protagonista della colonizzazione è Uomo Più: l’uomo più gli ausili che gli possono offrire i computer, e il protagonista del romanzo è il primo di questi uomini. Macchine sofisticate collegate al suo corpo hanno sostituito i suoi organi con altri organi artificiali, ed egli è ora adatto a vivere nell’atmosfera rarefatta di Marte, a trarre dal sole l’energia che gli occorre. Ma i suoi ex simili, le persone umane normali, non lo riconoscono più come uno di loro, e Marte, considerato come un’avventura e un episodio, si rivela il suo esilio e la sua casa.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e Locus in 1977.

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— Beh, la parte successiva non era tanto normale. Stabilimmo un collegamento con il nervo auditivo, e potemmo misurare il segnale che perveniva al cervello: din-din, trenta vibrazioni al secondo, potemmo leggerlo sull’oscilloscopio. ;

«Poi cambiammo il campanello. Ne usammo uno che dava ventiquattro vibrazioni al secondo. Vuol sapere che cosa accadde? — Griffin non rispose, e Brad sorrise: — L’oscilloscopio continuò a mostrare trenta vibrazioni al secondo. Il cervello udiva qualcosa che in realtà non esisteva.

«Quindi, vede, non sono soltanto le rane che ricorrono a questo tipo di mediazione. Gli esseri umani percepiscono il mondo in modi predigeriti. Gli input sensoriali stessi correggono e riordinano le informazioni.

«Dunque, quel che ci proponiamo di fare con te, Roger, — continuò giovialmente Brad, — è darti un piccolo aiuto nell’interpretazione. Non possiamo fare molto, con il tuo cervello: efficiente o no, è quello che è e basta. È una massa di materia grigia, con una struttura che ne limita le capacità, e non possiamo continuare a inondarla di informazioni sensoriali. L’unico posto in cui possiamo lavorare è al punto di contatto… prima che l’informazione arrivi al cervello.»

Griffin batté sul piano del tavolo il palmo della mano aperta. — Possiamo farcela per la data della finestra di lancio? — ringhiò.

— Io posso solo tentare, signore, — rispose giovialmente Brad.

— Lei può soltanto andarsi a impiccare se accettiamo questa sua idea e non funziona, ragazzo mio!

L’espressione gioviale sparì dalla faccia di Brad. — Cosa vuole che le dica?

— Voglio che lei mi indichi le probabilità! — latrò Griffin.

Brad esitò. — Non sono peggiori di cinquanta per cento — disse finalmente.

— Allora, — rispose Griffin, sorridendo finalmente, — ci sto.

Cinquanta per cento, pensò Roger mentre tornava verso il suo ufficio: come probabilità non erano male. Naturalmente, tutto dipendeva dalla posta in gioco.

Rallentò per lasciare che Brad lo raggiungesse. — Brad, — gli chiese, — sei proprio sicuro di quel che hai detto?

Brad gli diede una pacca sulle spalle, amichevolmente. — Più sicuro di quanto ho ammesso, per essere sincero. Ma non volevo espormi troppo con il vecchio Griffin. E poi, senti una cosa, Roger: grazie.

— Di che?

— Di aver cercato di avvertirmi, oggi. Te ne sono grato.

— Prego, — disse Roger. Si soffermò ancora per un momento, seguendo con gli occhi Brad che si allontanava, e chiedendosi come faceva quello a sapere una cosa che lui aveva detto soltanto a sua moglie.

Avremmo potuto dirglielo noi… e in verità avremmo potuto dirgli molte, moltissime cose, persino perché i sondaggi indicavano quel che indicavano. Ma in realtà non c’era bisogno che glielo dicesse nessuno. Avrebbe potuto dirselo lui stesso… se si fosse permesso di saperlo.

CAPITOLO SETTIMO

IL MORTALE DIVENTA MOSTRO

Don Kayman era un uomo complesso, che non abbandonava mai un problema senza averlo prima risolto. Era per questo che ci tenevamo ad averlo nel progetto come areologo: ma riguardava anche gli aspetti religiosi della sua vita. C’era in fondo alla sua mente un problema religioso che lo turbava.

La cosa non gli impediva di fischiettare tra sé mentre si radeva meticolosamente il volto intorno alla barba alla Dizzy Gillespie e si spazzolava con cura i capelli alla paggio, guardandosi allo specchio. Tuttavia lo turbava veramente. Fissò attento la propria immagine, cercando di individuare ciò che lo rendeva inquieto. Dopo un attimo si rese conto che una delle cause, almeno, era la sua maglietta. Non andava bene. Se la sfilò e mise invece un maglioncino a quattro colori, con il collo alto, che aveva abbastanza l’aria del colletto da ecclesiastico per colpire il suo senso dell’humor.

Il citofono suonò. — Donnie? Sei quasi pronto?

— Arrivo fra un minuto, — disse Don Kayman, guardandosi intorno. Che altro? La giacca sportiva era appesa a una sedia accanto alla porta. Le scarpe erano ben lucide. I calzoni erano abbottonati. — Divento sempre più distratto, — si disse. Ciò che lo turbava era qualcosa che riguardava Roger Torraway, che in quel momento gli faceva una gran pena.

Scrollò il capo, prese la giacca, se la buttò sulla spalla, percorse il corridoio e andò a bussare alla porta del monastero di suor Clotilda.

— Buongiorno, padre, — disse la novizia che lo fece entrare. — Si accomodi. Vado a chiamarla.

— Grazie, Jess. — Mentre la novizia si allontanava, Kayman la guardò con aria da intenditore. L’abitudine di portare calzamaglie aderenti metteva in risalto la sua figura, e Kayman si godette la vaga, antica sensazione di peccato che gli dava. Era un vizio gradevole, come mangiare roast beef di venerdì. Ricordava i suoi genitori che ogni venerdì sera masticavano ostinatamente frutti di mare congelati, sebbene la dispensa fosse diventata generale. Non ritenevano che fosse un peccato mangiare carne, questo no: ma il loro apparato digestivo si era così abituato al pesce, il venerdì, che non sapevano cambiare. I sentimenti di Kayman nei confronti del sesso erano qualcosa di molto simile. Quando l’obbligo del celibato era stato soppresso, non era bastato a eliminare il condizionamento ancestrale di duemila anni d’un sacerdozio che aveva finto di non sapere a cosa servisse l’apparato genitale.

Suor Clotilda entrò a passo svelto nella stanza, gli diede un bacio sulla guancia appena rasata e lo prese a braccetto. — Hai un buon profumo, — disse.

— Vuoi che andiamo a prendere il caffè da qualche parte? — chiese Kayman, guidandola fuori dalla porta.

— Direi di no, Donnie. Su, usciamo.

Il sole autunnale era rovente: dal Texas arrivavano correnti calde. — Abbassiamo la capotte?

Clotilda scosse il capo. — Ti spettineresti tutto. Comunque, fa troppo caldo. — Si girò, dentro la cintura di sicurezza che la tratteneva, per guardarlo. — Cos’è successo?

Kayman scrollò le spalle, avviando la macchina e guidandola sulla corsia automatica. — Non… Non sono sicuro. Ho l’impressione come se ci fosse qualcosa che ho dimenticato di confessare.

Clotilda annuì, comprensiva. — Me?

— Oh, no, Tillie! E… non so bene che cosa. — Le prese distrattamente la mano, guardando fuori dal finestrino laterale. Quando passarono su un viadotto, Kayman poté scorgere lontano, all’orizzonte, il gran cubo bianco del palazzo del progetto.

Non era il suo interesse per suor Clotilda a turbarlo, di questo era sicuro. Sebbene gli facesse piacere provare il brivido sottile di un blando peccato, non era affatto disposto a violare le leggi della sua Chiesa e del suo Dio. Forse, pensò, poteva rivolgersi a un ottimo avvocato e battersi: ma non violare una legge. Considerava piuttosto temeraria la corte che faceva a suor Clotilda: e il risultato sarebbe dipeso da ciò che avrebbe deciso l’ordine cui lei apparteneva, se e quando egli fosse riuscito a convincerla a chiedere una dispensa. Non provava interesse per i vari gruppi dissidenti, come le comuni religiose o i nuovi catari.

— Roger Torraway? — chiese Clotilda.

— Non ne sarei sorpreso, — rispose lui. — C’è qualcosa che mi preoccupa, nel modo in cui alterano i suoi sensi. Le sue percezioni del mondo.

Suor Clotilda gli strinse la mano. Nella sua qualità di psichiatra e assistente sociale, era autorizzata a sapere ciò che facevano al progetto, e conosceva Don Kayman. — I sensi sono bugiardi, Donnie. Lo affermano le Scritture.

— Oh, sicuro. Ma Brad ha forse il diritto di dire in che modo mentono i sensi di Roger?

Clotilda accese una sigaretta e gli lasciò il tempo di riflettere. Solo quando furono arrivati nelle vicinanze del centro commerciale gli disse: — Il prossimo svincolo, vero?

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