Frederik Pohl - Uomo più

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Questo nuovo romanzo di Frederik Pohl ci presenta il primo tentativo di colonizzazione del pianeta Marte: non il Marte sognato dalla fantascienza di cinquant’anni fa, ma il Marte che oggi conosciamo attraverso i risultati trasmessi dalle sonde spaziali.
Il protagonista della colonizzazione è Uomo Più: l’uomo più gli ausili che gli possono offrire i computer, e il protagonista del romanzo è il primo di questi uomini. Macchine sofisticate collegate al suo corpo hanno sostituito i suoi organi con altri organi artificiali, ed egli è ora adatto a vivere nell’atmosfera rarefatta di Marte, a trarre dal sole l’energia che gli occorre. Ma i suoi ex simili, le persone umane normali, non lo riconoscono più come uno di loro, e Marte, considerato come un’avventura e un episodio, si rivela il suo esilio e la sua casa.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e Locus in 1977.

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Freeling guardò Weidner e alzò le spalle. — Credo, — disse, — che fossero semplicemente i tuoi circuiti mediatori all’opera. Capisci? Traducono ciò che vedi in qualcosa che tu puoi afferrare immediatamente.

— Non mi va, — scattò Roger.

— Bene, dovremo parlarne a Brad. Ma francamente, Roger, penso che sia giusto così. Credo che il computer abbia preso tutte le tue sensazioni di paura e di dolore, sai, ciò che prova chiunque quando subisce un’operazione, e le abbia assommate allo stimolo visivo: le nostre facce, le maschere, tutto il resto. Interessante. Mi domando fino a che punto si è trattato di mediazione, e fino a quale era pura e semplice illusione postoperatoria.

— Mi fa piacere che tu lo trovi interessante, — ribatté Roger, irritato.

Ma, in tutta sincerità, anch’egli lo trovava interessante. Quando fu di nuovo nella sua stanza lasciò la propria mente libera di vagare. Non era in grado di evocare a volontà le immagini della fantasia: venivano quando volevano, ma non erano spaventose come quella prima visione terribile di mandibole scarnite e di occhiaie vuote. Quando Clara entrò con la padella e poi se ne andò appena lui la rifiutò con un gesto, guardò la ragazza attraverso la porta che si chiudeva: e l’ombra dell’uscio divenne l’entrata di una grotta, e Clara Bly un orso delle caverne che gli ringhiava contro, irritato. Era un po’ stizzita, pensò: un indizio subsonico sul volto di lei venne registrato dai sensi di Roger, e fu analizzato dal ronzante 3070, nel sotterraneo, e presentato come avvertimento.

Ma quando Clara rientrò, aveva il volto di Dorrie. Poi quel viso si dissolse, si rimodellò nella sua solita pelle scura, negli occhi luminosi, e non somigliò più a Dorrie: ma Roger l’interpretò come un segno che tra loro tutto era ritornato a posto…

Tra lui e Clara.

No, pensò: tra lui e Dorrie. Guardò il telefono accanto al letto. I circuiti del visore erano permanentemente staccati, dietro sua richiesta: non voleva chiamare qualcuno dimenticando che l’altro poteva vederlo. Ma non se ne era mai servito per chiamare Dorrie. Spesso tendeva la mano verso l’apparecchio, ma ogni volta la ritraeva.

Non sapeva che dirle.

Come fai a chiedere a tua moglie se va a letto con il tuo migliore amico? Affronti la questione apertamente e glielo chiedi, diceva l’istinto a Roger: ma non sapeva decidersi a farlo. Non era abbastanza sicuro. Non poteva arrischiarsi a lanciare quell’accusa: poteva sbagliarsi.

Il guaio era che non poteva discuterne con nessuno dei suoi amici. Don Kayman sarebbe stato il confidente ideale, per una cosa del genere: era la funzione del prete. Ma Don era così chiaramente, soavemente, teneramente innamorato della sua graziosa suorina che Roger non poteva addossarsi il dolore di discutere il dolore con lui.

E per quanto riguardava la maggioranza dei suoi amici, il guaio era che, in tutta sincerità, non avrebbero capito i motivi del suo turbamento. Il matrimonio «aperto» era così comune a Tonka, anzi in quasi tutto il mondo occidentale, che erano proprio le poche coppie chiuse a suscitare pettegolezzi. Era molto difficile ammettere di essere gelosi.

E del resto, si disse con fermezza Torraway, non era la gelosia a turbarlo. Non era esattamente la gelosia. Era qualcosa d’altro. Non era il maschilismo siciliano o l’indignazione del proprietario che scopre qualcuno a sollazzarsi nel suo fertile giardino. Era che Dorrie doveva voler amare soltanto lui. Poiché Roger voleva amare soltanto lei…

Si accorse di scivolare verso uno stato d’animo che sicuramente avrebbe fatto squillare il campanello d’allarme sui monitor telemetrici. E questo non lo voleva. Risolutamente, allontanò da sé il pensiero di sua moglie.

Per un po’ si esercitò a «chiudere gli occhi»: era rassicurante saper usare quella facoltà nuova quando lo voleva. Non avrebbe saputo descrivere cosa faceva, come non vi era riuscito Willy Hartnett: ma poteva prendere la decisione di interrompere la ricezione degli input visivi, e i circuiti dentro la sua testa e giù, nella stanza del 3070, riuscivano a convertire quella decisione in tenebra. Poteva addirittura ridurre selettivamente la luce, e poteva ravvivarla. Scoprì che poteva escludere tutte le bande di lunghezza d’onda tranne una, oppure sopprimerne una, o fare in modo che uno o più colori dell’arcobaleno fossero più vivi degli altri.

Era molto soddisfacente, davvero, anche se con il passar del tempo annoiava. Roger avrebbe desiderato poter attendere il pranzo, ma quel giorno il pranzo non vi sarebbe stato: un po’ perché aveva subito un’operazione, un po’ perché lo disabituavano gradualmente a mangiare. Nelle prossime settimane avrebbe mangiato e bevuto sempre meno: al momento di arrivare su Marte, avrebbe avuto bisogno di mangiare soltanto un buon pasto al mese.

Gettò via il lenzuolo e osservò pigramente il manufatto in cui era stato trasformato il suo corpo.

Un secondo più tardi lanciò un grande urlo straziato di paura e di sofferenza. Tutti i monitor telemetrici lampeggiarono di un rosso accecante. Nel corridoio esterno, Clark Bly si voltò di scatto e si precipitò verso la sua porta. Nell’appartamento da scapolo di Brad i campanelli d’allarme squillarono un secondo esatto più tardi, parlandogli di qualcosa di urgente e di grave che lo riscosse da un sonno inquieto ed esausto.

Quando Clara aprì la porta, vide Roger, raggomitolato in posizione fetale sul letto, gemente e disperato. Con una mano si copriva l’inguine, tra le gambe strette. — Roger? Cosa succede?

La testa si rialzò, gli occhi d’insetto la guardarono ciechi. Roger non interruppe i lamenti animaleschi che gli uscivano dalla gola, non parlò. Alzò soltanto la mano.

Lì, tra le gambe, non c’era niente. Niente pene, testicoli, scroto: nient’altro che la lucida pelle artificiale, con un bendaggio trasparente, che nascondeva i segni dell’intervento chirurgico. Era come se non vi fosse mai stato niente. Dei segni diagnostici della virilità… non c’era traccia. La piccola operazione era finita, e non era rimasto nulla.

CAPITOLO NONO

DASH IN VISITA A UN PAZIENTE

A Don Kayman la cosa non andava molto a genio, ma non aveva scelta: doveva andare dal sarto. Purtroppo, il suo sarto stava a Merritt Island, in Florida, all’Atlantic Test Center.

Partì in volo, preoccupato, e arrivò preoccupato. Non solo per quanto era accaduto a Roger Torraway. La situazione sembrava sotto controllo, grazie alla Divina Provvidenza, anche se Kayman non poteva fare a meno di pensare che avevano rischiato di perderlo e che qualcuno aveva commesso un errore gravissimo, non preparandolo per quell’ultimo intervento di «semplice chirurgia estetica». Probabilmente, pensò con spirito caritatevole, era accaduto perché Brad stava male. Ma senza dubbio era mancato poco che saltasse l’intero progetto.

L’altra cosa che lo angustiava era l’impossibilità di sottrarsi alla segreta sensazione peccaminosa, la certezza interiore che, in fondo al cuore, egli si era augurato che il progetto saltasse davvero. Aveva trascorso un’ora dolorosa con suor Clotilda quando la probabilità che egli andasse su Marte si era fatta concreta. Dovevano sposarsi prima? No. No. per ragioni pratiche, pragmatiche: sebbene non vi fosse dubbio che entrambi potevano chiedere o ottenere la dispensa da Roma, non vi erano molte speranze che la dispensa arrivasse in meno di sei mesi.

Se avessero fatto domanda prima…

Ma non l’avevano fatto, ed entrambi sapevano di non essere disposti a sposarsi senza la dispensa, e neppure ad andare a letto insieme senza il sacramento. — Almeno, — aveva detto Clotilda, verso la fine del colloquio, — non dovrai temere che io ti tradisca. Se non infrango i voti per te, non credo che lo farei per nessun altro uomo.

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