Stupito, Kayman aprì la scatola purpurea. Conteneva un rosario, annidato sul velluto purpureo nell’astuccio di pelle. I grani delle Avemaria erano d’avorio, intagliati in forma di boccioli di rosa; quelli del Paternoster erano di cristallo intarsiato. — Ha una storia interessante, — spiegò il presidente. — Fu inviato a Ignazio Loyola da una delle sue missioni in Giappone, e poi rimase in Sud America per duecento anni con le… come dite, voi? … le Riduzioni del Paraguay? È un autentico pezzo da museo, ma Sua Santità ha voluto donarlo a lei.
— Non… non so cosa dire, — balbettò Kayman.
— E il papa l’ha benedetto. — Il presidente si appoggiò alla spalliera: sembrava invecchiato di colpo. — Lo usi nelle sue preghiere, padre, — disse. — Io non sono cattolico. Non so cosa pensi lei di queste cose. Ma le chiedo di pregare perché Dorrie Torraway metta la testa a posto quanto basta per tener tranquillo per un po’ suo marito. E se non servirà a niente, allora lei farà meglio a pregare per tutti noi.
Quando ritornò nella cabina principale, Kayman si legò con la cintura di sicurezza al sedile e si impose di dormire per l’ora di volo che ancora restava prima dell’arrivo a Tonka. Lo sfinimento ebbe la meglio sulla preoccupazione, ed egli si assopì. Non era il solo a preoccuparsi. Noi non avevamo valutato esattamente il trauma che Roger Torraway avrebbe subito per l’asportazione dei genitali, e per poco non l’avevamo perduto.
Era una disfunzione critica. Non si poteva correre di nuovo un simile rischio. Avevamo già organizzato un’assistenza psichiatrica per Roger; e a Rochester il computer portatile veniva provveduto di nuovi circuiti, per sorvegliare le tensioni psichiche e per reagire prima che le sinapsi umane di Roger, più lente, potessero causare convulsioni.
La situazione mondiale si evolveva secondo le previsioni. New York City era naturalmente in preda ai disordini, nel Medio Oriente la pressione si accumulava rischiando di saltare, e la Nuova Asia Popolare lanciava furiosi appelli denunciando il massacro dei calamari del Pacifico. Il pianeta si andava avvicinando rapidamente alla massa critica. Secondo le nostre proiezioni, il futuro della razza era in dubbio, sulla Terra, di lì a due anni. Noi non potevamo permetterlo. Lo sbarco su Marte doveva riuscire.
Quando Roger uscì dallo stordimento, dopo la crisi, non si rese conto di essere stato sul punto di morire: si rese conto soltanto di essere stato ferito in tutte le sue parti più sensibili. Era la desolazione: la desolazione più squallida e disperata. Non soltanto aveva perso Dorrie; aveva perduto la sua virilità. La sofferenza era troppo grande per alleviarla con il pianto, anche se egli avesse potuto piangere. Era il tormento di un intervento dentistico senza anestesia, così acuto che non costituiva più un avvertimento, ma solo un fattore ambientale, qualcosa da subire e sopportare.
La porta si aprì, ed entrò un’infermiera nuova. — Salve. Vedo che è sveglio.
Si avvicinò e gli posò le dita tepide sulla fronte. Sono Sulie Carpenter, — disse. — In realtà il mio nome è Susan Lee, ma mi chiamano Sulie. — Ritrasse la mano e sorrise. — Lei pensa che dovrei saperne abbastanza per non cercare di sentire se ha la febbre, vero? So già che figura sui monitor, ma penso di essere una ragazza all’antica.
Torraway la udiva appena: era assorto a guardarla. Era uno scherzo dei circuiti mediatori? Alta, con gli occhi verdi e i capelli scuri: somigliava tanto a Dorrie che egli tentò di cambiare il campo visivo dei grandi occhi d’insetto, zumando sui pori della pelle spruzzata di lentiggini, alterando il valore dei colori, riducendo la sensibilità, in modo che lei sembrasse svanire in un crepuscolo. Tutto inutile. Somigliava egualmente a Dorrie.
Sulie si mosse per controllare i monitor a muro. — Va davvero molto bene, colonnello Torraway, — disse, girando la testa. — Tra poco le porterò il pranzo. Vuole qualcosa, adesso?
Roger si scosse e si rialzò a sedere: — Niente che io possa avere, — disse amaramente.
— Oh, no, colonnello! — Gli occhi della donna erano sgomenti. — Voglio dire… beh, mi scusi. Non ho il diritto di parlarle così. Ma santo Dio, colonnello, se al mondo c’è qualcuno che può avere tutto ciò che desidera, quello è lei!
— Vorrei pensarla così anch’io, — borbottò Roger; ma la osservava attentamente, curiosamente, e sentiva qualcosa… qualcosa che non riusciva a identificare, ma che non era la sofferenza da cui era stato travolto solo pochi istanti prima.
Sulie Carpenter diede un’occhiata al suo orologio, poi accostò una sedia. — Mi sembra giù di corda, colonnello, — disse in tono comprensivo. — Capisco che tutto questo sia difficile da accettare.
Roger distolse lo sguardo verso le grandi ali nere che ondeggiavano lentamente sopra la sua testa. Poi disse: — Ha i suoi lati brutti, mi creda. Ma sapevo che cosa mi aspettava.
Sulie annuì. Poi disse: — lo ho sofferto molto quando il mio… il mio fidanzato morì. Naturalmente, non ha niente a che vedere con ciò che fa lei. Ma in un certo senso, forse, era peggio… vede, era così assurdo. Un giorno stavamo bene, e parlavamo di sposarci. Il giorno dopo, lui tornò dopo essere stato dal medico e risultò che i suoi mali di testa erano… — Sulie trasse un profondo respiro. — Un tumore al cervello. Maligno. Tre mesi dopo era morto, e io non riuscivo a farmene una ragione. Dovevo andarmene da Oakland. Feci domanda di venir trasferita qui. Non avevo mai sperato di riuscirci, ma penso che siano ancora a corto di personale per colpa dell’influenza…
— Mi dispiace, — disse in fretta Roger.
La giovane donna sorrise. — Non importa, — disse. — Ma c’era un posto vuoto, nella mia vita, e sono veramente lieta di avere la possibilità di colmarlo, qui. — Diede un’altra occhiata all’orologio e balzò in piedi. — La capoinfermiera se la prenderà con me, — disse. — Ora senta, davvero, c’è qualcosa che io possa procurarle? Libri? Musica? Ha tutto il mondo ai suoi comandi, sa, me compresa.
— Non voglio nulla, — disse Roger, sinceramente. — Comunque grazie. Come mai ha scelto di venir qui?
La giovane donna lo guardò pensosa e incurvò gli angoli delle labbra in un lieve sorriso. — Beh, — disse, — sapevo qualcosa del programma in fase di realizzazione qui: in California sono stata per dieci anni nella medicina aerospaziale. E sapevo chi era lei, colonnello Torraway. Se lo sapevo? Tenevo il suo ritratto appeso in camera mia, quando lei salvò i russi. Non potrebbe neppure credere la parte che lei aveva in alcune delle mie fantasie, colonnello Torraway.
Sorrise e si avviò, soffermandosi sulla porta. — Mi farebbe un favore?
Roger era sorpreso. — Sicuro. Quale?
— Ecco, vorrei avere una foto più recente. Lei sa come sono, qui, quelli del servizio sicurezza. Se io porto qui dentro una macchina fotografica, posso scattarle un’istantanea? Così avrò qualcosa da mostrare ai miei nipoti, se mai li avrò.
Roger protestò: — Se la scoprono l’ammazzano, Sulie.
Lei strizzò l’occhio. — Correrò il rischio; ne vale la pena. Grazie.
Quando Sulie fu uscita, Roger si sforzò di pensare di nuovo alla castrazione e al tradimento: ma, inspiegabilmente, sembravano meno strazianti. Del resto, non ebbe molto tempo per pensarci. Sulie entrò portandogli un pranzo a basso residuo, un sorriso e la promessa di tornare il mattino dopo. Clara Bly gli praticò un enema, e poi Roger rimase disteso a stupirsi mentre tre uomini identici, dai baffi chiari, entravano e ripassavano ogni centimetro quadrato del pavimento, delle pareti e dei mobili con detector di metalli e rivelatori elettronici. Erano degli sconosciuti: e rimasero nella stanza, piantati su sedie portate apposta, silenziosi e attenti, mentre entrava Brad.
Читать дальше