Brad aveva l’aria non solo sofferente, ma anche molto preoccupata. — Ciao, Roger, — disse. — Gesù, che spavento ci hai fatto prendere. È colpa mia; avrei dovuto avvertirti, ma questa maledetta influenza…
— Sono sopravvissuto, — disse Roger, studiando la faccia piuttosto normale di Brad e chiedendosi perché non provava sdegno e risentimento.
— Per un po’ ti daremo parecchio da fare, — cominciò Brad, accostando una sedia. — Abbiamo escluso alcuni dei tuoi circuiti mediatori, per il momento. Quando funzioneranno di nuovo a pieno ritmo dovremo limitare i tuoi input sensoriali… dovrai abituarti ad affrontare un ambiente totale un po’ alla volta. E Kathleen non vede l’ora di cominciare a riaddestrarti… sai, imparare ad usare i muscoli e tutto il resto. — Si voltò a lanciare un’occhiata ai tre astanti silenziosi. La sua espressione, pensò Roger, era improvvisamente piena di paura.
— Credo di essere pronto, — disse Roger.
— Oh, sicuro, lo so, — disse Brad, sorpreso. — Non ti hanno riferito i dati più aggiornati delle tue letture? Funzioni come un orologio a diciassette rubini, Roger. Tutti gli interventi chirurgici sono finiti. Hai tutto ciò che ti serve. — Si rilassò un po’ sulla sedia, scrutandolo. — Se posso dirlo, — proseguì, con un sorriso, — tu sei un’opera d’arte e io sono l’artista, Roger. Vorrei tanto poterti vedere su Marte: quello è il tuo posto, ragazzo mio.
Uno dei tre si schiarì la gola. — È quasi arrivato il momento, dottor Bradley.
L’espressione preoccupata riapparve sulla faccia di Brad. — Vado subito. Stammi bene, Rog. Torno a trovarti più tardi.
Brad uscì, e i tre agenti del governo lo seguirono, mentre Clara Bly entrava per riordinare la stanza.
Il mistero si schiarì all’improvviso. — Dash viene a trovarmi, — indovinò Roger.
— Bene! — fece un po’ stizzita Clara. — Bene, penso sia giusto che tu lo sappia. Ma non pensavano che fosse giusto che lo sapessi io. Credono che sia un segreto. Ma che razza di segreto è, quando mettono sottosopra l’intero ospedale? Hanno piazzato quei tipi dappertutto, prima che io prendessi servizio.
— Quando arriverà? — chiese Roger.
— Questo è l’unico vero segreto. Per me, almeno.
Ma il segreto non durò a lungo; dopo un’ora, al suono di un «Saluto alla bandiera» che non si udiva ma che tutti sentivano fortemente, il presidente degli Stati Uniti entrò nella stanza. Con lui c’era il valletto che l’aveva servito a bordo dell’aereo presidenziale: ma questa volta era chiaro che non si trattava di un valletto, bensì di una guardia del corpo.
— È meraviglioso rivederla, — disse il presidente, tendendo la mano. Non aveva mai visto la versione riveduta e corretta dell’astronauta, e certamente la pelle lucida, i grandi occhi sfaccettati e le ali fluttuanti dovevano apparirgli strani: ma la faccia ben disciplinata del presidente esprimeva soltanto amicizia e piacere. — Ho fatto una sosta, poco fa, per salutare la sua cara moglie, Dorrie. Spero mi abbia perdonato di averle fatto rovinare lo smalto delle unghie il mese scorso: ho dimenticato di chiederlo. Ma lei come si sente?
Roger si sentiva stupito, ancora una volta, del fatto che il presidente fosse al corrente di tutto, ma disse soltanto: — Molto bene, signor presidente.
Dash inclinò la testa verso la guardia del corpo, senza guardarla. — John, hai il pacchetto per il colonnello Torraway? È un regalo che Dorrie mi ha pregato di consegnarle: potrà aprirlo quando ce ne saremo andati. — La guardia del corpo depose sul comodino un pacco avvolto nella carta bianca e, quasi nello stesso istante, spinse avanti una sedia per il presidente, proprio mentre questi accennava a sedersi. — Roger, — disse Deshatine, assestandosi le pieghe dei calzoncini Bermuda, — so di poter essere sincero con lei. Lei è tutto ciò di cui disponiamo, adesso, e ci è indispensabile. Gli indici peggiorano di giorno in giorno. Gli asiatici vanno in cerca di guai, e non so per quanto tempo potrò evitare di accontentarli. Dobbiamo farla arrivare su Marte, e quando sarà là, lei dovrà funzionare perfettamente. Non so dirle fino a che punto questo è importante.
Roger disse: — Credo di capirlo, signore.
— Beh, in un certo senso, immagino lo capisca. Ma lo capisce con tutto il suo. essere? Sente davvero, fin nel profondo delle sue viscere, di essere l’uomo che ad ogni generazione diventa tanto importante per la razza umana che persino nella sua mente ciò che gli accade non ha altrettanta importanza? Ebbene, quell’uomo è lei, Roger. Io so, — proseguì il presidente, in tono addolorato, — che si sono prese terribili libertà con la sua persona. Non le hanno dato la possibilità di dire sì, no o forse. Non l’hanno neppure avvertita. È un modo schifoso di trattare un essere umano qualsiasi, peggio ancora qualcuno che conta quanto lei, e quanto lei meritevole. Ho detto il fatto loro a parecchi, qui dentro, proprio per questo. E sarei felice di continuare. Se lei lo vuole, me lo dica. In qualunque momento. È meglio che provveda io… non vorrei, con quei muscoli d’acciaio che le hanno dato, che lei cominciasse a prendere a calci un po’ tutti, magari rovinando ì graziosi sederini delle infermiere. Le dispiace se fumo?
— Cosa? Oh, diavolo, no certo, signor presidente.
— Grazie. — Il valletto porse con una mano un portasigarette aperto e con l’altro l’accendino già splendente, non appena il presidente fece un cenno. Poi questi trasse una profonda boccata e si appoggiò alla spalliera della sedia. — Roger, — disse, — mi consenta di confidarle una mia fantasia su ciò che forse lei sta pensando. Lei pensa: «Ecco qui il vecchio Dash, politicante fino alle ossa, che sciorina retorica e promesse, e cerca di convincermi a tirargli fuori le castagne dal fuoco. Sarebbe disposto a dire qualunque cosa, a promettere qualunque cosa. Vuole solo tutto ciò che può ottenere da me.» Ci sono andato abbastanza vicino, finora?
— Ma… no, signor presidente! Beh… un po’.
Il presidente annuì. — Sarebbe pazzo, se non la pensasse così, — disse apertamente. — È tutto vero, sa. Fino a un certo punto. È vero che sarei disposto a prometterle qualunque cosa, a dirle tutte le bugie che mi venissero in mente, pur di mandarla su Marte. Ma è vera anche un’altra cosa: lei ci tiene tutti in pugno, Roger. Abbiamo bisogno di lei. Scoppierà presto una guerra se non facciamo qualcosa per impedirlo: ed è assurdo, ma le proiezioni delle tendenze dimostrano che l’unica cosa per impedirlo è mandare lei su Marte. Non mi domandi perché. Io mi baso su ciò che mi dicono i tecnici, e costoro affermano che i risultati elaborati dai computer sono questi.
Le ali di Roger si agitavano inquiete, ma gli occhi erano fissi sul presidente.
— Quindi, vede, — disse pesantemente Deshatine, — io mi autonomino suo dipendente, Roger. Mi dica cosa vuole. E io farò in modo che lei lo abbia. Può alzare quel ricevitore in qualunque momento, giorno o notte: la metteranno in comunicazione con me. Se dormo, può svegliarmi, se crede. Se si tratta di qualcosa che può attendere, mi lasci un messaggio. Qui dentro nessuno le farà più scherzi, e se mai avesse il sospetto che questo succeda, me lo dica e io interverrò. Cristo, — disse, sorridendo ampiamente e alzandosi, — sa cosa diranno di me i libri di storia? «Fitz-James Deshatine, 1943-2026, quarantaduesimo presidente degli Stati Uniti. Durante la sua amministrazione la razza umana fondò la prima colonia autosufficiente su un altro pianeta.» È tutto quello che otterrò, Roger, ammesso che ci riesca… e lei è l’unico che può darmelo.
«Bene, — prosegui, avviandosi verso la porta, — mi aspettano alla conferenza dei governatori a Palm Spring. Mi aspettano da sei ore, ma ho pensato che lei fosse molto più importante. Dia un bacio a Dorrie per me. E mi telefoni. Se non ha nulla di cui lamentarsi, mi chiami per salutarmi. Quando vuole.»
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