Frederik Pohl - Uomo più

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Questo nuovo romanzo di Frederik Pohl ci presenta il primo tentativo di colonizzazione del pianeta Marte: non il Marte sognato dalla fantascienza di cinquant’anni fa, ma il Marte che oggi conosciamo attraverso i risultati trasmessi dalle sonde spaziali.
Il protagonista della colonizzazione è Uomo Più: l’uomo più gli ausili che gli possono offrire i computer, e il protagonista del romanzo è il primo di questi uomini. Macchine sofisticate collegate al suo corpo hanno sostituito i suoi organi con altri organi artificiali, ed egli è ora adatto a vivere nell’atmosfera rarefatta di Marte, a trarre dal sole l’energia che gli occorre. Ma i suoi ex simili, le persone umane normali, non lo riconoscono più come uno di loro, e Marte, considerato come un’avventura e un episodio, si rivela il suo esilio e la sua casa.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e Locus in 1977.

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— No, signore, — riconobbe l’uomo. — Lei non è sotto la mia giurisdizione. Ma ho l’ordine di condurla là, signore, e con tutto il dovuto rispetto, lo farò.

Il fisioterapista sfiorò la spalla di Kayman. — Vada. Don, — disse. — Ho l’impressione che lei sia ormai lanciato nelle alte sfere.

Borbottando, Kayman si lasciò condurre fuori e caricare su una hoverjeep. Il pilota aveva una fretta terribile. Non si prese il disturbo di percorrere le strade, ma puntò diritto verso la risacca, calcolò tempo e distanza e sfrecciò sulla superficie dell’oceano, tra le onde. Poi svoltò verso sud, sparatissimo : in dieci secondi raggiunsero una velocità non inferiore ai centocinquanta chilometri orari. Anche con i compressori al massimo e tre metri d’aria tra loro e l’altezza media dell’acqua, il ritmo brusco delle onde che si accavallavano lì sotto costrinse Kayman a deglutire saliva e a cercare un sacchetto impermeabile, in previsione di doversene servire al più presto. Cercò di convincere il caporale a rallentare. — Dolente, signore. — Era l’espressione favorita dell’MP, a quanto pareva.

Comunque, riuscirono a raggiungere la spiaggia alla Base Patrick prima che padre Kayman vomitasse; e ritornato sulla terraferma, il pilota procedette a velocità ragionevole. Il prete scese vacillando e rimase fermo nella notte umida fino a quando altri due MP, avvertiti via radio del suo arrivo, lo scortarono in un edificio bianco.

Prima che fossero trascorsi dieci minuti, Kayman venne spogliato completamente e perquisito, e comprese a quali alte sfere stava in effetti per accedere.

Il jet presidenziale atterrò a Patrick alle quattro in punto. Kayman aveva sonnecchiato su una sdraio, con una coperta buttata sulle gambe. Venne svegliato con una cortese scrollata e condotto verso la scaletta, mentre le autocisterne rifornivano i serbatoi delle ali in uno strano silenzio. Non c’erano conversazioni, né i tonfi dei tubi di bronzo contro i bocchettoni d’alluminio, solo il rombo delle pompe delle autocisterne.

Qualcuno molto importante dormiva. Kayman si augurò con tutto il cuore di poter dormire anche lui. Venne accompagnato ad una poltroncina con lo schienale reclinabile, legato con la cintura di sicurezza e lasciato lì: e prima ancora che la sua hostess-ausiliaria si allontanasse, il jet si mise in modo sulla pista di decollo.

Kayman cercò di appisolarsi, ma mentre il jet stava ancora salendo verso l’altitudine di crociera, il valletto del presidente arrivò ad annunciargli: — Il presidente vuole vederla subito.

Seduto, le guance rasate di fresco intorno alla barbetta a punta, il presidente Deshatine sembrava il ritratto di se stesso dipinto da Gilbert Stuart. Era seduto tranquillo su una poltrona di cuoio, e con gli occhi sfocati guardava dal finestrino del jet presidenziale, mentre ascoltava in cuffia qualcosa registrato su nastro. Una tazza di caffè fumava accanto al suo gomito, e una tazza vuota attendeva accanto alla caffettiera d’argento. Accanto alla tazza c’era una scatola piatta di pelle purpurea, ornata da una croce argentea.

Dash non fece aspettare Kayman. Girò la testa, sorrise, si tolse la cuffia e disse: — La ringrazio per avermi permesso di rapirla, padre Kayman. Si accomodi, prego. Si serva il caffè, se ne vuole.

— Grazie. — Il valletto si precipitò a versare e si ritirò, mettendosi alle spalle di Don Kayman. Il prete non si voltò; sapeva che il valletto avrebbe spiato ogni tremito dei suoi muscoli, perciò evitò i movimenti bruschi.

Il presidente disse: — Nelle ultime quarantotto ore ho girato tanti fusi orari che ho dimenticato com’è veramente il mondo. Monaco, Beirut, Roma. Ho prelevato Vern Scanyon a Roma quando ho sentito delle difficoltà con Roger Torraway. Mi ero spaventato a morte, padre. Per poco non l’avete perduto, vero?

Kayman disse: — Io sono un areologo, signor presidente. Non è stata responsabilità mia.

— Lasci perdere, padre. Non voglio dar la colpa a nessuno: ci sarebbe tanto da dire, volendo. Mi interessa sapere cos’è successo.

— Sono sicuro che il generale Scanyon potrebbe spiegarglielo meglio di me, signor presidente, — disse Kayman, irrigidendosi.

— Se avessi voluto accontentarmi della versione di Vern, — rispose con pazienza il presidente, — non mi sarei fermato per prendere a bordo lei. E lei era presente. Vern non c’era. Era a Roma, alla Conferenza Pacem in Excelsis del Vaticano.

Kayman bevve un sorso di caffè, in fretta. — Beh, è mancato poco. Credo che Torraway non fosse stato informato adeguatamente di quanto stava per accadere, perché c’era un’epidemia di influenza. Eravamo a corto di personale. Brad non c’era.

— Questo era già accaduto, — osservò il presidente.

Kayman si strinse nelle spalle, senza rispondere. — Lo hanno castrato, signor presidente. Quella che i sultani chiamavano castrazione completa, pene e tutto. Torraway non ne ha bisogno, perché nel suo organismo entrano così poche sostanze consumabili che tutto viene escreto analmente, perciò era semplicemente un punto vulnerabile, nient’altro. Non c’è dubbio, l’asportazione era opportuna, signor presidente.

— E la… come la chiamate? Prostatectomia? Anche quello era un punto vulnerabile?

— Dovrebbe chiederlo a uno dei medici, signor presidente, — rispose Kayman. in tono difensivo.

— Lo chiedo a lei. Scanyon ha detto qualcosa a proposito di «mattia dei preti», e lei è un prete.

Don Kayman sogghignò. — È una vecchia espressione, e rìsale ai tempi in cui tutti i preti erano celibi. Ma sì, posso spiegarglielo: ne parlavamo spesso in seminario. La prostata produce fluido… non molto, poche gocce al giorno. Se un uomo non ha eiaculazioni, quasi tutto esce insieme all’orina, ma se è eccitato sessualmente, se ne produce di più, e non tutto esce. Si accumula, e la congestione causa guai.

— Perciò gli hanno asportato la prostata.

— E hanno innestato una capsula di steroidi, signor presidente. Torraway non diventerà effemminato. Fisicamente, ora è un eunuco ben compensato… Oh, volevo dire un’unità ben compensata.

Il presidente annuì. — È quel che chiamano un lapsus freudiano.

Kayman scrollò le spalle.

— E se lei la pensa così, — insistette Deshatine, — cosa diavolo crede che pensi Torraway?

— So che per lui non è facile, signor presidente.

— A quanto ne so, — proseguì Dash, — lei non è soltanto un areologo, Don; è anche consulente matrimoniale. E non va molto bene, vero? Quella sgualdrinella della moglie di Torraway sta facendo soffrire il nostro ragazzo.

— Dorrie ha molti problemi.

— No. Dorrie ha un problema. Lo stesso problema che abbiamo tutti. Sta affossando il nostro progetto marziano, e non possiamo permettere che questo avvenga. Lei può rimetterla in carreggiata?

— No.

— Beh, non pretendo che la renda perfetta. Avanti, Don! Voglio dire, non può metterla un po’ tranquilla, almeno quanto basta perché Torraway non abbia altri traumi? Non so, dargli un bacio e una promessa, mandargli una lettera d’amore per San Valentino quando lui sarà su Marte… Dio sa che Torraway non pretende di più, ormai. Ma a questo ha diritto.

— Posso tentare, — disse Kayman, poco convinto.

— E ho intenzione di parlare anche con Brad, — fece torvo il presidente. — L’ho detto a lei, l’ho detto a tutti, questo progetto deve realizzarsi. Non mi interessa se qualcuno ha il raffreddore di testa o se qualcun’altra ha le mutandine che scottano. Io voglio Torraway su Marte, e voglio che ci vada contento.

L’aereo virò per cambiare rotta, allontanandosi dal traffico intorno a New Orleans, e un baluginio di sole mattutino brillò sulla superficie oleosa del Golfo. Il presidente socchiuse gli occhi, guardandolo irritato. — Padre, mi permetta di dirle quello che penso. Sono convinto che Roger preferirebbe piangere sua moglie morta in un incidente di macchina piuttosto di doversi preoccupare di quello che lei può combinare quando non lo ha intorno. Non mi piace pensare queste cose. Ma ho poche possibilità di scelta, Kayman, e sono costretto a scegliere il male minore. E adesso, — aggiunse, con un sorriso inatteso, — ho qualcosa per lei, da parte di Sua Santità. È un dono: lo guardi.

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