Sulla strada per Airlee non incontrò nessuno. Era strano sedere nella nave spaziale mentre il suo campo visivo si muoveva lungo i sentieri noti e il mormorio della foresta gli risuonava nelle orecchie. Tuttavia gli riusciva ancora difficile identificarsi col robot, e lo sforzo per controllarlo era sensibile.
Era quasi buio quando raggiunse Airlee, e gli ultimi raggi illuminavano le facciate delle case più alte. Alvin si tenne nell’ombra, e venne scoperto soltanto quando aveva quasi raggiunto la casa di Seranis. Ci fu un rabbioso ronzio, e la visione fu offuscata da un frenetico battere d’ali. Indietreggiò istintivamente, poi si rese conto di quel che era accaduto. Krif stava dimostrando ancora una volta la sua avversione per tutto ciò che volava senz’ali.
Per non ferire la bella e stupida creatura, Alvin fermò il robot e rimase in attesa che la furia di Krif si fosse sfogata.
Lui era tranquillamente seduto a un chilometro e mezzo da lì, ma gli attacchi di Krif lo fecero sobbalzare. Fu molto lieto quando Hilvar uscì a studiare la situazione.
All’arrivo del padrone, Krif se ne andò, tra ronzii diffidenti. Nel silenzio che seguì, Hilvar restò per un poco a scrutare il robot. Poi sorrise.
«Salve, Alvin» disse. «Sono contento che tu sia tornato. O sei ancora a Diaspar?»
Non era la prima volta che Alvin provava un senso di invidiosa ammirazione per la prontezza e l’agilità di mente dell’amico.
«No» rispose, chiedendosi intanto se la voce, portata dai robot, sarebbe stata riconoscibile. «Sono ad Airlee, non molto lontano da te. Ma per il momento non mi muoverò da dove sono.»
Hilvar rise.
«Non hai torto. Seranis ti ha perdonato, ma l’Assemblea… non direi.
Proprio in questo momento si sta organizzando una riunione, la prima che si sia mai tenuta a Lys.»
«Vuoi dire che si sono riunite tutte le autorità? Con i vostri poteri telepatici, avrei scommesso che le riunioni fossero un fatto superato.»
«Sono rarissime, ma a volte avvengono. Tre senatori sono già arrivati e gli altri saranno qui da un momento all’altro.»
Alvin non poté fare a meno di sorridere. La situazione era dunque identica a quella di Diaspar. Dovunque andasse, si lasciava alle spalle allarmi e preoccupazioni.
«Hilvar, sarebbe bene che io parlassi a quelli dell’Assemblea, restandomene qui al sicuro, naturalmente.»
«Se l’Assemblea promette di non forzare le tue facoltà mentali, puoi fidarti a venire di persona. In caso contrario, resta dove sei. Ora penso io ad accompagnare il robot dai senatori… Voglio proprio vedere le loro facce.»
Alvin, addirittura entusiasta, seguì Hilvar all’interno della casa. Stava per incontrare i reggitori di Lys su un piede di parità; non serbava alcun rancore per quella gente, ma era piacevole sentirsi padrone della situazione e appoggiato da forze che lui solo poteva controllare.
Le porte della sala dove si svolgeva la conferenza erano chiuse. Hilvar dovette chiedere ripetutamente che gli aprissero. Le menti dei senatori sembravano profondamente assorte, e fu difficile distoglierli dai loro pensieri. Poi le pareti si aprirono, e Alvin fece avanzare rapidamente il robot fino al centro della sala.
I tre senatori restarono impietriti mentre il robot fluttuava verso di loro.
Solo Seranis non si mostrò troppo sorpresa. Forse il figlio l’aveva avvertita, o forse si aspettava da un momento all’altro che Alvin ritornasse.
«Buonasera» fece Alvin compitissimo, come se quel modo di presentarsi fosse il più naturale del mondo. «Ho pensato bene di ritornare.»
La sorpresa dei tre superava qualsiasi previsione. Il senatore più giovane, un bell’uomo coi capelli grigi, fu il primo a riaversi.
«Come siete venuto?» balbettò.
La ragione di quello sbalordimento era logica. Lys, proprio come Diaspar, aveva messo fuori uso la sotterranea.
«Con lo stesso sistema dell’altra volta» spiegò Alvin, per divertirsi un po’ a spese loro.
Gli altri due senatori fissarono il primo, che spalancò le braccia in un gesto di perplessità e di costernazione. Il più giovane parlò di nuovo.
«Non avete incontrato… difficoltà?»
«Per niente» ribatté Alvin, deciso ad aumentare la loro confusione. «Sono tornato» riprese «di mia spontanea volontà, perché ho importanti notizie per voi. A ogni modo, in considerazione del risentimento che mi dovete portare, preferisco starmene in disparte. Mi promettete di non forzare la mia volontà, se vengo di persona?»
Nessuno parlò. Il gruppetto si stava evidentemente consultando. Infine Seranis rispose per tutti. «Non cercheremo di ostacolarvi… tanto più che, finora, non ci è servito molto.»
«Benissimo. Sarò ad Airlee il più presto possibile.»
Aspettò che il robot fosse di ritorno; poi, con molta precisione, gli diede le istruzioni e se le fece ripetere. Seranis, si poteva star certi, non gli avrebbe mancato di parola; ma era sempre meglio proteggersi la ritirata.
Uscì dallo scafo. Un attimo dopo ci fu un sibilo, una sagoma scura si stagliò contro il cielo, e la nave sparì in lontananza.
Quando lo scafo fu scomparso, Alvin si rese conto di aver fatto uno sbaglio. Uno di quegli sbagli che possono trasformare il piano migliore in un completo disastro. Si era dimenticato che i sensi del robot erano molto più acuti dei suoi, e che la notte si stava facendo sempre più scura. Diverse volte smarrì il sentiero che stava percorrendo e rischiò di urtare malamente contro gli alberi della foresta. A un tratto sentì uno schianto di rami, e da un cespuglio sbucò un grosso animale. Vide due occhi verdi che lo stavano fissando. Si fermò, e una lingua incredibilmente lunga gli raspò il dorso di una mano. Poi sentì un grosso corpo che gli si strofinava amichevolmente contro le gambe. Alla fine l’animale si allontanò, senza aver emesso un solo suono. Non seppe mai che tipo di animale fosse.
Le luci del villaggio cominciarono a filtrare fra gli alberi, ma quella guida non gli occorreva più. Il sentiero sotto i suoi piedi si era mutato in un fiume di luce azzurra, smorzata. Il muschio su cui camminava era luminoso, e i suoi piedi lasciavano chiazze scure che svanivano subito dietro di lui. Uno spettacolo straordinario e affascinante, e quando Alvin si chinò a raccogliere un lembo dello strano muschio, brillò per minuti nella conca delle sue mani prima che la luminosità si spegnesse.
Hilvar gli venne incontro per la seconda volta, e per la seconda volta lo accompagnò dalla madre e dai senatori, che lo salutarono con aria un po’
bellicosa, ma con rispetto. Forse si chiedevano che fine avesse fatto il robot, ma non fecero commenti.
«Sono molto spiacente» cominciò Alvin «per essermi allontanato da voi in modo poco urbano. Vi interesserà sapere che mi è stato altrettanto difficile allontanarmi da Diaspar…» Lasciò che la frase facesse il suo effetto, poi aggiunse subito: «Ho parlato di Lys alla mia gente, facendo del mio meglio per dare un’impressione favorevole. Ma Diaspar non vuole avere niente a che fare con voi. Nonostante tutti i miei bei discorsi, desidera evitare i contatti con una cultura che ritiene inferiore.»
Osservò soddisfatto la reazione dei senatori. Perfino Seranis era impallidita leggermente. «Se riesco a fare in modo che Lys e Diaspar si sentano reciprocamente urtate nella loro suscettibilità» pensava Alvin, «il problema è belle risolto. Saranno così ansiose di provare ciascuna la propria superiorità che le barriere cadranno in quattro e quattr’otto.»
«Perché siete tornato a Lys?» s’informò Seranis.
«Perché voglio convincervi, come vorrei fare con Diaspar, che siete entrambi in errore.» Tacque l’altra ragione, e cioè che a Lys c’era l’unico amico di cui si fidava e di cui aveva bisogno.
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