Arthur C. Clarke
Gentry Lee
Culla
Questo libro è dedicato ai quattro figli minori delle nostre famiglie — Cherene, Tamara, Robert e Patrick — ai quali auguriamo una vita colma di gioia e di capacità di meraviglia.
L’acqua smeraldo s’infrange contro la cupa scogliera vulcanica. Una bianca, fine spruzzaglia incombe sulla scabra roccia, creando un velo brumoso che scintilla nella luce morente. Lontano, due soli gialli calano simultaneamente, separati di una quarantina di gradi nel momento di svanire insieme oltre l’orizzonte. Nel cielo blu-nero, sul versante opposto dell’istmo dolcemente digradante dalla scogliera vulcanica a un altro oceano, sorgono, allo svanire dei due soli, due lune piene. La loro luce gemella, benché assai più debole della vampa dei soli scomparsi, è abbastanza forte da creare una danza d’ombre lunari sull’oceano sottostante alla propaggine rocciosa.
Mentre le lune gemelle salgono dal lato orientale dell’istmo, dietro di esse, una ventina di gradi a sud, l’orizzonte comincia a brillare di luce. Dapprima il bagliore sembra simile a quello di una città lontana, poi diventa luce viva, sempre più viva col passare dei secondi, fino a diffondersi per il cielo intero. E infine, la punta emergente sull’orizzonte mentre le lune gemelle hanno raggiunto forse i dieci gradi d’arco, prende a levarsi una terza, maestosa luna. Per qualche secondo, su entrambi gli oceani scende la calma, come se il mondo sottostante alla gigantesca sfera si fosse fermato per rendere omaggio a tanto spettacolo. Nella sua lenta ascesa, che soffonde gli oceani smeraldini d’una misteriosa luce riflessa, la grande luna gialla dalla faccia scavata di crateri sembra contemplare il proprio dominio. La sua mole è cento volte quella delle lune gemelle, e la scia da essa tracciata nel cielo è più ampia di quella disegnata minuti prima dalla coppia di soli calanti.
Sotto la scogliera, nell’ombra proiettata dalla nuova luna, s’inarca dall’acqua, sollevandovisi di una ventina di piedi, un lungo oggetto sinuoso. La flessuosa apparizione avanza torcendosi verso gli scogli, e mentre avanza, riverbera contro le rocce, diffondendosi attraverso l’istmo, un acuto squillo di tromba che pare un assolo. Un momento dopo si ode un altro suono: un’eco soffocata o, forse, una risposta dall’altro mare. La creatura nuota con grazia nella luce lunare, il lungo collo flessuoso azzurro-cobalto sopra un corpo grigio in gran parte sommerso nell’oceano. Ora il serpente dal collo azzurro torna a snodarsi verso l’alto e si dirige verso terra, il muso svelato dalla luce lunare in aumento. I tratti del muso sono involuti e complessi, e presentano file di orifizi dalle funzioni ignote. Giunta al massimo dell’estensione, la creatura contorce il muso, e s’ode una mescolanza di suoni: lo squillo di tromba è ora accompagnato da un oboe e un organo. Dopo una breve pausa, riecheggia dall’istmo una soffocata risposta, meno squillante ma dotata della medesima, copiosa complessità sonora.
Il serpente si dirige a nord lungo il litorale. Dietro di esso, nella luce lunare, si levano mulinando dall’oceano una mezza dozzina di altri colli. Queste creature sono un po’ più piccole, e il cobalto dei loro colli ha sfumature assai meno vive. Il gruppo si volge a est come un solo animale, ed emette sei squilli di tromba. Una pausa precede nuovamente l’attesa risposta, che giunge come il suono di svariate trombe più deboli dalla terra lontana. All’istante, le sei nuove creature e le loro lontane amiche danno inizio a un complesso, infiorato concerto, che, lentamente, aumentando d’intensità, sale e sale in crescendo, e quindi bruscamente riscema.
Qualche momento ancora, e gli oceani separati dall’istmo brulicano entrambi di una massa di serpenti d’ogni forma. Centinaia, anzi migliaia di serpenti, che coprono l’acqua fin dove giunge l’occhio, prendono languidamente a tendere il collo, e, torcendosi come per guardarsi intorno, s’uniscono al canto. I serpenti del mare orientale sono leggermente più piccoli dei cugini occidentali, e hanno colli celesti anziché cobalto. I serpenti celesti hanno altresì per compagne una folla di minuscole creature dai colli maculati d’un celeste chiarissimo, e il verso di queste creature, acuto e un po’ irregolare, somiglia a quello di ottavini mescolati qua e là con campanelle di cristallo.
Le acque degli oceani smeraldini cominciano a montare in una frenetica marea: ora risalgono rapide le scogliere della riva occidentale, e velocemente sommergono grandi tratti di terra del pendìo che si getta nell’oceano orientale. L’attrazione concertata di tutte le lune genera una marea che finirà per ricoprire l’istmo per intero, e per unire così i due oceani. Mentre le acque s’avvicinano sempre più le une alle altre, la musica della miriade di serpenti canori si gonfia sino alla magnificenza, inondando l’intera zona di un suono di mesmerica bellezza. Un suono che è, al tempo stesso, un gemito di desiderio e di pregustazione: il grido universale del desiderio lungamente represso e sul punto di venire soddisfatto.
I grandi serpenti collolungo di Canthor concludono l’annuale sinfonia d’accoppiamento mentre i due oceani diventano uno, e i loro abitanti scelgono, nelle acque unite, i compagni della vita. In ogni anno canthoreano, le notti in cui le forze della marea convergono a sommergere l’istmo e a permettere il mescolamento sessuale dei serpenti, sono cinque: cinque notti di gioco e gaiezza amorosi, di rinnovamento e promessa, prima del prescritto ritorno agli oceani separati dell’anno d’attesa preludente al ritorno della grande marea.
Per i piccoli, ossia per i nuovi serpenti entrati in gestazione nel raduno annuale precedente e fatti nascere dalle madri nell’oceano orientale, la grande marea è un periodo di eccitazione e tristezza. In esso devono infatti separarsi dai compagni di gioco, uscire dall’infanzia. Una metà deve lasciare anche le madri, e andare a nuotare fra il popolo sconosciuto degli adulti azzurro-cobalto. Questa metà, avendo passato la vita esclusivamente tra amici materni, attraverserà in superficie l’istmo, la quinta notte, a fianco dei padri. Una volta nell’oceano occidentale, i colli celesti cominceranno a iscurirsi, segno dell’inizio del passaggio dalla pubertà alla vita adulta. E, l’anno seguente, le vocine saranno maturate di quel tanto che basterà a ciascuno per cogliere qualche risposta eccitante e positiva al richiamo da ciascuno lanciato durante la sinfonia dell’accoppiamento.
Sul pianeta Canthor passano millenni. Le forze del cambiamento cospirano contro i bei serpenti colloazzurro. Prima arriva una grande età glaciale, che imprigiona una parte d’acqua del pianeta in calotte polari perenni e abbassa il livello dei mari. Il numero di giorni in cui la grande marea sommerge l’istmo si riduce a quattro, poi a tre e, infine, a due soltanto. Il complesso rito d’accoppiamento dei serpenti, elaborato nel corso di centinaia di generazioni, necessita di cinque notti di corteggiamento per funzionare al meglio. Così, nelle svariate centinaia d’anni in cui due sole sono le notti disponibili per l’accoppiamento, il numero di concepimenti annui di serpenti precipita a picco. E la popolazione totale dei serpenti di Canthor si assottiglia pericolosamente.
Col tempo, l’irraggiamento dei soli gemelli torna ad aumentare un poco, e Canthor emerge dalla glaciazione. Il livello dei mari sale, e il numero di giorni riservati all’accoppiamento torna finalmente a cinque. La sinfonia dei serpenti, che nei duri anni di notti ridotte era risuonata come un triste contrappunto, echeggia di nuovo ebbra di gioia. Per varie generazioni, il numero dei serpenti cresce; poi, le fascinose creature incontrano un nemico nuovo.
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