Lentamente la sabbia ricadde tutt’attorno, lasciando scoperto un enorme cratere; Jeserac e Alvin fissavano immobili il cielo dove un momento prima fluttuava il robot. Jeserac cominciava a rendersi conto del perché Alvin era rimasto tanto indifferente quando il Consiglio aveva deciso la chiusura della sotterranea per Lys.
Dal deserto squarciato una nave spaziale dalle linee ardite si stava levando verso l’alto e, giunta a una certa altezza, virò puntando verso la Torre di Loranne.
Alvin prese a parlare in fretta, come se avesse poco tempo. «Il robot era stato costruito per essere il compagno e il servo del Maestro, ma soprattutto il pilota della sua nave» disse. «Prima di andare a Lys, il Maestro atterrò nel porto di Diaspar, ora sepolto sotto quelle sabbie. Già a quei tempi il porto doveva essere abbandonato. La nave del Maestro è stata probabilmente una delle ultime a raggiungere la Terra. Lui è vissuto per un certo tempo a Diaspar prima di andare a Shalmirane. Le vie aeree erano ancora aperte, ma il Maestro non ebbe più occasione di servirsi della nave, e per tutti questi milioni d’anni la macchina è rimasta ad attenderlo sotto le sabbie che a poco a poco hanno ingoiato il porto. Come la stessa Diaspar, come il robot, come tutte le cose che i costruttori del passato hanno giudicato realmente importanti, la nave è stata preservata dai suoi circuiti di eternità.
Finché ci sarà energia ad alimentarla, non potrà logorarsi né essere distrutta; l’immagine conservata nelle sue celle-memoria non sbiadirà, e quell’immagine manterrà perfetta la struttura materiale.»
Ora la nave era molto vicina e il robot la stava guidando verso la torre.
Era lunga circa trenta metri, fortemente appuntita alle estremità. Per quanto si poteva intravedere attraverso la crosta di sabbia che la ricopriva, pareva non avere né finestre né altre aperture.
Improvvisamente i due uomini furono investiti da un getto di polvere e di terriccio. Una sezione dello scafo si era aperta, lasciando scorgere l’interno di una cabina e una seconda porta in corrispondenza. La nave fluttuava a poche spanne dall’apertura della torre. Si era avvicinata adagio, accostando la torre con un’accortezza e una perizia magistrali.
«Arrivederci, Jeserac» fece Alvin. «Non posso tornare a Diaspar per salutare gli amici. Dite a Eriston e a Etania che spero di rivederli presto. Dite loro che sono grato di tutto ciò che hanno fatto per me. E sono grato a voi, Jeserac, anche se forse non approvate il modo in cui ho messo in pratica le vostre lezioni. Quanto al Consiglio… dite loro che la strada che è stata aperta non può venire chiusa da un semplice verdetto.»
La nave non era più che un punto lontano nel cielo e all’improvviso Jeserac non la distinse più. Solo il rombo gli giungeva ancora, l’eco del tuono incessante delle masse d’aria spostate dalla più miracolosa macchina creata dall’Uomo, la macchina che avanzava, chilometro dopo chilometro, scavandosi una galleria di vuoto nel cielo.
Gli ultimi echi svanirono, ma Jeserac non si mosse. Stava pensando al ragazzo che se n’era andato, perché per lui Alvin sarebbe sempre stato un ragazzo, l’unico venuto al mondo a Diaspar da quando, in tempi immemorabili, il ciclo della nascita e della morte era stato abolito. Alvin non si sarebbe mai fatto adulto; per lui l’intero universo era un giocattolo, un rompicapo da sciogliere per passare il tempo. Nei suoi giochi aveva ora scoperto l’ultimo e il più mortale dei trastulli, che poteva riuscire fatale a ciò che restava della civiltà umana… Ma qualsiasi cosa fosse accaduta, per Alvin sarebbe stata ancora un gioco.
Il sole era basso sull’orizzonte, e un vento gelido soffiava dal deserto.
Ma Jeserac aspettava immobile, dominando i suoi terrori; e a un tratto, per la prima volta in vita sua, vide le stelle.
Alvin non aveva mai visto tanto lusso, nemmeno a Diaspar. Non si poteva dire che il Maestro fosse stato un tipo ascetico. Soltanto dopo qualche minuto Alvin si rese conto che tutte quelle comodità non erano inutili stravaganze. Quello scafo aveva dovuto servire da casa al Maestro durante i suoi lunghissimi viaggi tra le stelle.
Non si vedevano pulsanti o strumenti di comando d’alcun genere. Solo il largo schermo ovale che copriva completamente la parete in fondo indicava che quella non era una camera qualunque. Davanti allo schermo, disposte a semicerchio, c’erano tre cuccette basse; il resto della cabina era occupato da due tavolini e da un certo numero di sedie imbottite, alcune di una forma chiaramente studiata per ospitare corpi non umani.
Alvin si sistemò comodamente davanti allo schermo e si guardò attorno per cercare il robot. Era scomparso. D’un tratto lo scorse, incuneato in una nicchia del soffitto. Aveva portato il Maestro attraverso lo spazio fino alla Terra, l’aveva seguito come servo a Lys, e ora, come se gli eoni trascorsi non fossero passati affatto, era pronto a esplicare di nuovo i suoi compiti di pilota.
Alvin gli diede un comando a mo’ di esperimento e subito lo schermo s’illuminò, inquadrando la Torre di Loranne vista di scorcio e apparentemente coricata su un fianco; poi il cielo, la città e la grande distesa del deserto. Le immagini erano nitide, chiarissime. Alvin tentò parecchi ordini per impratichirsi, finché riuscì a ottenere tutte le inquadrature che desiderava. Si poteva partire.
«Portami a Lys.» L’ordine era semplice, ma come avrebbe potuto ubbidirgli la nave se lui stesso non aveva alcuna idea sulla direzione da prendere? Alvin non ci aveva pensato, e quando se ne ricordò lo scafo stava già sorvolando il deserto a velocità pazzesca. Si strinse nelle spalle e accettò con un sospiro di sollievo il fatto di avere dei servi tanto più sapienti di lui.
Era difficile giudicare la velocità dell’immagine che si proiettava sullo schermo, ma molti chilometri dovevano passare a ogni minuto. Poco lontano dalla città il colore del terreno divenne di colpo grigio scuro, e Alvin comprese che stava sorvolando il letto di uno degli oceani scomparsi. Una volta Diaspar doveva essere stata molto vicina al mare, ma nei vecchi documenti non ne veniva mai fatto cenno. Per quanto vecchia, Diaspar doveva essere nata parecchio tempo dopo la scomparsa degli oceani.
Dopo centinaia di chilometri Alvin fermò la sua nave sopra uno strano schema di linee che si intersecavano, appena appena visibili sulla coltre di sabbia. Restò un po’ a fissarlo senza capire, poi si rese conto che doveva trattarsi delle rovine di una città sepolta. Ripartì quasi subito; era straziante pensare che miliardi di uomini non avevano lasciato altra traccia della loro esistenza che quei solchi nella sabbia.
Alla fine, la leggera curva dell’orizzonte venne interrotta dall’irregolare contorno delle montagne. E subito, quasi nell’istante in cui le vide, le montagne furono sotto di lui. La macchina rallentò e scese verso terra compiendo un grande arco di un centinaio di chilometri. E alla fine vide Lys, con le sue foreste e i suoi fiumi di incomparabile bellezza. A est la Terra era in ombra, e i grandi laghi sembravano macchie di notte più scura. Ma a ovest le acque danzavano, riflettendo colori che non aveva mai immaginato.
Riuscì a localizzare Airlee quasi subito, e fu una fortuna, perché il robot non avrebbe saputo condurlo oltre. Alvin se lo era quasi aspettato, e si sentì felice nell’avere la conferma che la macchina aveva dei limiti. Con tutta probabilità il robot non aveva mai sentito parlare di Airlee, e quindi la posizione del villaggio non poteva essere registrata nelle sue cellule mnemoniche.
Dopo qualche esperimento Alvin fece scendere lo scafo nei pressi della collina da dove aveva scorto Lys per la prima volta. Era abbastanza facile controllare la macchina. Non doveva far altro che indicare il suo desiderio, e il robot si sarebbe incaricato di tutti i particolari. Forse era stato condizionato a ignorare ordini pericolosi o impossibili. Lui comunque non aveva nessuna intenzione di darne di simili. Alvin era quasi certo che nessuno avesse visto il suo arrivo. Era un fatto di estrema importanza, perché non aveva nessuna intenzione di ingaggiare un combattimento mentale con Seranis. I suoi piani erano ancora alquanto vaghi, ma non avrebbe corso rischi prima di aver ristabilito relazioni cordiali. Il robot gli avrebbe fatto da ambasciatore, e lui sarebbe rimasto all’interno dello scafo.
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