Arthur Clarke - La città e le stelle

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Diaspar, un’immensa metropoli del futuro. Una superciviltà arrivata all’ultimo stadio dello sviluppo. Un pianeta deserto, ostile, «proibito»: è in questo scenario che si muove Alvin, il giovane eroe di questo romanzo che resta fra i più celebri di Clarke. La domanda che lo ossessiona é: come riscoprire l’antico segreto della razza umana? Come uscire dal labirinto sotto vetro e tornare al volo spaziale?

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I senatori, in silenzio, aspettarono che riprendesse a parlare. Alvin sapeva che, attraverso i loro occhi e le loro orecchie, molte altre intelligenze di Lys erano in ascolto. Era il rappresentante di Diaspar e tutta Lys l’avrebbe giudicato da ciò che avrebbe detto. Sentì tutto il peso della propria responsabilità e raccolse bene le idee prima di procedere.

Il suo tema principale fu Diaspar. Illustrò la città come l’aveva vista l’ultima volta, sognante sull’orlo del deserto, con le sue torri levate al cielo.

Recitò antiche poesie che i poeti avevano scritto in onore di Diaspar, e ricordò gli uomini che avevano speso l’intera vita per abbellire la città. Nessuno, disse, per quanto a lungo potesse vivere, sarebbe mai riuscito a vedere tutti i tesori della città. Ogni giorno c’era qualcosa di nuovo. Poi si soffermò a descrivere le meraviglie che gli uomini di Diaspar avevano costruito, e cercò di far comprendere come le opere di certi artisti fossero state create per l’ammirazione eterna degli uomini. Affermò anche, con un certo orgoglio, che la musica di Diaspar era stato l’ultimo suono della Terra trasmesso verso le stelle.

Lo ascoltarono sino alla fine senza interromperlo, né fare domande.

Quando finì era tardissimo, e si sentiva esausto come non mai. Poi lo sforzo e le emozioni della giornata lo vinsero, e Alvin cadde in un sonno profondo.

Si risvegliò in una stanza sconosciuta, e solo qualche minuto dopo ricordò che non era a Diaspar. A poco a poco la luce aumentò, e alla fine Alvin venne avvolto dai raggi di sole del mattino che filtravano attraverso le pareti trasparenti. Rimase sdraiato pigramente, ricordando tutti gli avvenimenti del giorno precedente, e chiedendosi quali forze poteva aver messo in movimento. Una parete cominciò a scorrere lentamente con un lieve suono, e Hilvar si affacciò nell’apertura. Guardò Alvin con espressione un po’ divertita e un po’ preoccupata.

«Ora che sei sveglio» lo apostrofò «vuoi finalmente dirmi che intenzioni hai e come sei arrivato qui? I senatori sono appena partiti per ispezionare la sotterranea. Non riescono a raccapezzarsi. L’hai usata davvero?»

Alvin balzò dal letto e si stirò pigramente.

«Bene, andiamo a raggiungerli, allora. Non voglio che perdano altro tempo. Quanto alla tua domanda, tra poco ti darò una spiegazione pratica.»

Raggiunsero i senatori presso il laghetto. Ci fu uno scambio di saluti pieni di sussiego. I membri del Comitato di Investigazione erano un po’

seccati che Alvin sapesse dove erano diretti. La cosa li metteva in svantaggio.

«Temo di avervi detto una cosa inesatta, ieri sera» fece allegramente Alvin. «Non sono venuto a Lys col vecchio sistema, per cui la vostra precauzione di chiudere la sotterranea è stata praticamente inutile. A questo proposito vi posso dire che il Consiglio di Diaspar ha preso la stessa precauzione, altrettanto inutile.»

Le facce dei senatori erano un capolavoro di perplessità.

«Ma allora come siete venuto?» chiese il capo. Poi negli occhi dell’uomo passò un lampo. Alvin avrebbe scommesso che il vecchio cominciava a sospettare la verità. Si chiese se per caso l’ordine che aveva emesso mentalmente fosse stato intercettato, ma non disse nulla e si limitò a indicare il cielo.

Con la rapidità del lampo, un ago d’argento descrisse un arco da dietro la montagna, lasciandosi dietro una scia incandescente, e venne a fermarsi in alto, a picco sopra Lys. Non ci fu decelerazione. Non ci fu rallentamento nella pazzesca velocità. Si fermò di scatto, tanto che, da terra gli occhi di coloro che stavano osservando continuarono il movimento per qualche frazione di secondo prima che il cervello registrasse la fermata. Dal cielo venne un fragore di tuono, il sibilo dell’aria spostata dal passaggio violento della nave. Un attimo dopo lo scafo, scintillante e superbo nel sole, si posò sulla collina a neppure cento metri di distanza.

Era difficile dire chi fosse più sorpreso. Alvin, comunque, fu il primo a riprendersi.

Mentre si avviavano quasi di corsa verso la nave, il giovane si chiedeva se, normalmente, la nave viaggiasse con quella velocità da meteora. Il solo pensiero era sconcertante, sebbene, durante il viaggio, il movimento non si avvertisse affatto. La cosa più strana, poi, era che il giorno prima quello scafo era incrostato di terra e sabbia e non era affatto lucente. Alvin, raggiunta la nave, commise l’imprudenza di appoggiare le dita sullo scafo. Si scottò ben bene, ma capì cos’era avvenuto. La crosta di terra si era fusa col calore; solo a poppa se ne vedeva ancora qualche piccola traccia, fusa allo stato di lava. Tutto il resto non c’era più; nulla offuscava lo scafo che né il tempo né le forze della Natura potevano toccare.

Con Hilvar a fianco, Alvin si voltò a guardare i senatori. Cercò di immaginare cosa stessero pensando… o meglio, cosa stesse pensando l’intera Lys. Dalle loro espressioni si sarebbe detto che non riuscissero più nemmeno a pensare.

«Vado a Shalmirane» annunciò. «Sarò di ritorno tra circa un’ora. Ma questo è solo l’inizio dei miei viaggi, e mentre sarò assente vorrei che meditaste su un fatto. La macchina che vedete è una delle più rapide navi spaziali che siano mai state costruite. Se volete sapere come l’ho trovata, andate a Diaspar e scoprirete la risposta. Dovete andarci, perché Diaspar non verrà fino a voi.»

Si volse a Hilvar e gli indicò la porta dello scafo. Hilvar esitò un istante, gettando un’ultima occhiata alla sua terra, poi entrò coraggiosamente nella cabina.

I senatori restarono a fissare la nave che, con minor velocità poiché il percorso sarebbe stato breve, spariva verso sud. Poi l’uomo coi capelli grigi scosse filosoficamente la testa e si girò verso i compagni.

«Vi siete sempre opposti a noi perché volevamo dei cambiamenti» disse.

«Finora avete vinto. Ora però non credo che il futuro possa risiedere in uno solo dei nostri due gruppi. Lys e Diaspar sono giunte ai termine di un’era.»

«Temo che tu abbia ragione» disse uno del gruppo. «Siamo alla crisi, e Alvin sapeva cosa stava dicendo consigliandoci di andare a Diaspar. Ora sanno che esistiamo, quindi è inutile continuare a nasconderci. Ci conviene entrare in contatto con i cugini… Forse li troveremo disposti a cooperare.»

«Ma le due estremità della sotterranea sono bloccate.»

«Noi apriremo la nostra, e fra non molto quelli di Diaspar faranno altrettanto.»

Le menti dei senatori, di quelli presenti ad Airlee e di quelli che si trovavano in punti lontani di Lys, considerarono la proposta. Non l’approvavano, ma non c’era altra alternativa.

Il seme gettato da Alvin aveva dato i suoi frutti molto prima del previsto.

Quando raggiunsero Shalmirane, le montagne erano ancora avvolte nell’ombra. Dall’altezza a cui si trovavano la grande conca della fortezza sembrava una piccola macchia. Si stentava a credere che il destino della Terra fosse un giorno dipeso da quel pozzo scuro.

Quando Alvin fermò la nave tra le rovine si sentì stringere la gola da tanta desolazione. Aprì il compartimento stagno e la quiete irreale di quel posto morto penetrò fin nella cabina. Hilvar, che aveva taciuto quasi sempre durante il viaggio, domandò piano: «Perché sei voluto tornare qui?»

Alvin non rispose finché non ebbero raggiunto la sponda del lago. «Volevo farti provare la nave» disse poi «e inoltre speravo che il polpo fosse tornato in vita. Mi sento in debito verso di lui, devo dirgli cosa ho scoperto.»

«In questo caso dovrai aspettare. Sei tornato troppo presto.»

Alvin se l’era immaginato; la sua speranza era stata così piccola che non si sentiva nemmeno deluso. Le acque del lago erano perfettamente calme.

Si inginocchiò sull’orlo e cercò di scrutare il fondo.

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